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La spedizione Cosenz


Le diverse navi della spedizione Cosenz

Quando ho scritto per la prima volta queste note mi sono basato sul racconto di Francesco Parodi che si imbarcò sul Provence il 2 luglio 1860 e per quanto riguarda le concitate fasi dell'imbarco ho anche tenuto conto di quanto raccontato dai volontari lodigiani che non riuscirono a salire sull'Washington perché già troppo carico e rimasero a terra.

Successivamente ho letto quanto scritto da Alessandro Magni [1] che partecipò alla spedizione sulla stessa nave sulla quale si era imbarcato Cosenz ed ho avuto la sorpresa di trovare delle notevoli differenze nelle date della partenza, nei nomi delle navi e nel numero dei volontari.

Basandomi anche su quanto si dice nel libro Garibaldi and the making of Italy di George Macaulay Trevelyan [2] che dà molte informazioni anche sule spedizioni successive alla prima ho cercato di ricostruire quanto avvenuto. Nel giugno del 1860 moltissimi giovani stavano radunandosi a Genova per cercare di raggiungere Garibaldi in Sicilia. Il comitato d'arruolamento si trovava al primo piano di una casa di fronte alla chiesa di San Matteo.

Il comitato era diretto dal dottor Agostino Bertani che aveva da Garibaldi l'incarico di raccogliere uomini e mezzi per aiutare la spedizione in Sicilia. I compiti del dott. Bertani era stati delineati da Garibaldi in una lettera inviatagli proprio il 5 maggio, il giorno stesso della partenza da Quarto [3].

Ai giovani che andavano ad arruolarsi nella seconda metà di giugno fu detto di aver pazienza e di tenersi pronti perché presto sarebbe partita una grossa spedizione. Questi nuovi garibaldini dovevano essere affidati al colonnello Enrico Cosenz che si era dimesso dal suo grado nell'esercito. I volontari arrivavano da tutta l'alta Italia e specialmente dalla Lombardia.

Finalmente, sabato 30 giugno, si cominciò a dire ai volontari di tornare alla mattina di lunedì 2 luglio, pronti a partire. Nella stessa giornata i volontari che si erano raccolti a Milano (circa 1500 secondo Magni) partirono con treno speciale giungendo a Genova all'alba del 1 luglio.

Alessandro Magni racconta che la spedizione fu allora ripartita su due piroscafi Washington e Wellington e che sul primo salì il Colonnello Cosenz con lo Stato Maggiore e 350 volontari, fra i quali anche lui, salpando il mattino stesso e che il secondo lo seguì il giorno 3 ma ciò non concorda con quanto scrivono gli altri autori che parlano di questa spedizione.

Tutti parlano di due navi che sono però il Provence che salpa per primo il 2 luglio con a bordo circa ottocento volontari e l'Washington, su cui effettivamente salì Cosenz, che salpa nelle prime ore del 3 luglio con oltre mille volontari lasciandone molti a terra e ritengo che questi siano i dati giusti.

E' vero che molta confusione nasce dal fatto che era abitudine rinominare le navi e che l'Washington prima si chiamava Helvétie e che quindi questo Wellington, di cui non trovato traccia, potrebbe essere il Provence così ribattezzato ma è diverso anche l'ordine di partenza dei due piroscafi, le relative date ed il numero di volontari imbarcati.

Alla mattina del 2 fu dato a tutti il biglietto di arruolamento che consisteva in un semplice biglietto stampato con scritto Soccorso a Garibaldi e fu detto di trovarsi verso sera alla cava Bonino alla Chiappella, che era vicino a porta Lanterna, per partire con la spedizione comandata dal colonnello Cosenz.

Il pomeriggio del 2 iniziarono le operazioni di imbarco dei giovani volontari che furono fatti salire sul piroscafo Provence che batteva bandiera francese ed aveva equipaggio francese.
I volontari furono imbarcati come passeggeri e salendo presentavano come biglietto la cartella avuta dal comitato d'arruolamento.

Ben presto a bordo del Provence vi erano circa ottocento volontari e quindi, verso le cinque del pomeriggio, il Provence salpò portandosi alla boa dove rimase fino alla mezzanotte.

Intanto continuavano ad arrivare volontari, molti dei quali giungevano in qual momento a Genova in treno da varie parti del Nord-Italia. I treni li portavano vicino alla spiaggia alla quale scendevano per un viottolo stretto e scosceso.

Si iniziò quindi a far salire questi volontari sul battello a pale Washington. Alle prime ore del 3 luglio l'Washington aveva già le macchine in pressione ma i volontari continuavano ad arrivare e ad essere imbarcati.

Quando a bordo dell'Washington era ormai già imbarcato circa un migliaio di volontari, il capitano dichiarò che la sua nave non poteva portarne di più.
I volontari però non se ne diedero pensiero e continuavano a salire a bordo per cui il capitano levò l'ancora e diede moto alle ruote.

Moltissimi volontari, con loro grande disperazione, rimasero a terra a fra questi vi erano anche i volontari lodigiani, la cui spedizione racconto nei dettagli in altre pagine di questo sito.
I volontari rimasti a terra riuscirono poi a partire il lunedì successivo (9 luglio) sul Saumont [4], una vecchia carcassa mercantile destinata al trasporto del carbone e che, per la fretta della partenza, non fu nemmeno ripulita e sulla quale fu caricato un numero di volontari assai superiore di quello che poteva portare.

Cosenz era partito anche lui, per cui, questa successiva spedizione fu comandata dal Maggiore Vacchieri che, durante la Seconda Guerra d'Indipendenza, era stato nei Cacciatori delle Alpi ed aveva comandato la 7a Compagnia del 2° Reggimento (comandato da Medici) col grado di Capitano [5].

Dal racconto di Francesco Parodi

Fra i volontari che riuscirono ad imbarcarsi sul Provence vi era il genovese Francesco Parodi che all'epoca era ventenne e che fu poi decorato con la medaglia d'argento al valor militare per il suo comportamento durante la battaglia del Volturno col diritto anche di ricevere una pensione annua di cento lire.

Fra il 1901 ed il 1905, molti anni dopo la spedizione in Sicilia, Francesco Parodi scrisse il racconto di quanto gli era accaduto. Questo racconto non fu mai pubblicato e rimase su svariati quaderni di scuola.
Nel 1987 questi quaderni furono trovati da Manlio Bonati che poi ne ha curato la pubblicazione sul bollettino della Domus Mazziniana
[6].

La lettura di queste note ci permette di ricostruire la storia del volontari imbarcati sul Provence il 2 luglio 1860.

Come si è detto a mezzanotte il Provence uscì dal porto di Genova. I volontari a bordo erano parecchi e molti di loro dovettero dormire in coperta.
Il tempo era buono e limpido ma faceva piuttosto fresco e vari, fra i quali anche il Parodi, cercarono un po' di calore vicino alle macchine a vapore.

Il viaggio fu abbastanza veloce e all'alba del 5 luglio i volontari sbarcavano sul molo di Palermo. I cancelli per entrare in Palermo erano chiusi e sorvegliati da una sentinella siciliana.
Prima ancora del sorgere del sole però i cancelli furono aperti e Garibaldi in persona venne ad accogliere i volontari che furono poi alloggiati nella villa reale della Favorita distante qualche chilometro da Palermo.

Francesco Parodi rimase stupito ed ammirato dall'atmosfera che aveva trovato a Palermo e scrive: Ma il più che destava la nostra ammirazione era l'effervescenza di gioia di quella grande popolazione, da appena un mese redenta a libertà, stupita delle gesta dei suoi liberatori e dai miracolosi prodigi di Garibaldi per cui lo veneravano come una divinità. Molti caffè e moltissimi negozi avevano esposto il suo ritratto coi lumi accesi. Quand'Egli passava per le contrade oltrecché tutti scoprirsi il capo tanti s'inginocchiavano commossi alle lacrime star in adorazione finché la vettura non li aveva oltrepassati d'un tratto. Generale era la fiducia che avrebbe liberato, non solo la Sicilia e il Napoletano, ma anche il resto dell'Italia oppressa.

Il 6 luglio, fra i volontari, furono scelti quelli che, per le loro conoscenze o la loro professione, erano in grado di far parte di reparti particolari quali Il Genio, l'Artiglieria, etc.

Il 7 luglio giunsero altri volontari con una ulteriore spedizione organizzata da Medici e l'8 tutti i reparti, compresi i battaglioni di Picciotti siciliani, furono passati in rivista in un ampio campo situato sotto il monte Pellegrino.
Erano tutti con la camicia rossa tranne i Carabinieri genovesi che avevano il corpetto blu ed i volontari giunti da poco che erano ancora in borghese e senza armi.

Il 9 luglio ai volontari arrivati da poco fu distribuita l'uniforme garibaldina, le coperte da campo, il tascapane, la borraccia e le armi. Fu anche dato il consiglio di vendersi i vestiti borghesi che si erano portati fino ad allora.

La sera stessa i volontari giunti con Cosenz partivano per Bagheria. Il Parodi giungeva il 19 a Naso ed entro sera era a Patti. Vi era da poco sbarcato Garibaldi con circa 1500 volontari fra i quali anche quelli di Lodi che, non essendo riusciti ad imbarcarsi sull'Washington, erano arrivati a Palermo il 14 luglio.

Garibaldi, che il giorno precedente aveva annunziata l'intenzione di tentare uno sbarco in Calabria, aveva poi deciso di portarsi invece verso le avanguardie, che erano formate da garibaldini di Medici, e che erano state attaccate a Meri dai borbonici del colonnello Bosco che si trovava a Milazzo.

I volontari, fra i quali era il Parodi, ricevono quindi l'ordine di portarsi il più in fretta possibile verso Milazzo. Alla mattina del 20 erano a Barcellona, dove ricevettero galletta, carne secca e vino, e proseguirono verso Milazzo da dove giungeva il fragore della battaglia già iniziata.

Dapprima dovettero difendere la strada per Barcellona, dato che la mira del colonnello Bosco era di sfondare l'ala sinistra, e curare il trasporto dei feriti.
Per l'assalto decisivo fu dato l'ordine di avanzare da ponente verso l'istmo e l'unica porta di Milazzo. Garibaldi che attaccava di fronte e da est riuscì ad entrare per primo e poi tutti lo seguirono. Cosenz rimase ferito al collo.

Il 26 luglio, il Parodi, assieme a tre compagni, ricevette l'ordine di andare a scortare il bagaglio del reggimento che era rimasto a Barcellona. Qui vide i numerosissimi feriti che era stati portati in questa cittadina, la cosa lo colpì molto e scrive nelle sue note:

Da per tutto feriti gementi; l'ospedale, le chiese, il convento e i cortili ne erano pieni, adagiati su pagliericci ed anche a paglia a terra. Nella case molte famiglie ne avevano pure accolto. Per le strade ovunque s'incontravano garibaldini imbendati. La popolazione ne era commossa e loro prestava caritatevoli cure.
Affacciatomi, mi pare, ad un oratorio dove si sentì gridare, amputavano una gamba ad un ragazzo. Ogni poco portavano qualche cadavere al sepolcro. Poveri infelici, dopo aver sofferto tanti dolori scendevano nella tomba inconsolati! ma almeno questi avranno avuto miglior sepoltura di quelli morti sul campo di battaglia che l'ebbero sulla spiaggia del mare e le loro ossa non si rinverranno mai più
.

Dopo Milazzo l'esercito garibaldino venne chiamato l'Armata Meridionale e le sue Divisioni numerate con numeri successivi a quelli delle Divisioni dell'esercito piemontese. L'organizzazione interna invece rimase la stessa in quanto ricalcava già quella dei Cacciatori della Alpi che, l'anno precedente, avevano combattuto agli ordini di Garibaldi.
Francesco Parodi faceva parte della 16a Divisione (Cosenz), 1a Brigata (Assanti), 2° Reggimento, 2° Battaglione, 5a Compagnia.

Dopo un mese, la notte del 20 agosto, alla brigata Assanti, della quale faceva parte il Parodi, ad una compagnia di bersaglieri garibaldini e alla compagnia dei carabinieri genovesi comandata dal capitano Antonio Mosto venivano distribuiti due pacchi di cartucce, in aggiunta ai altri due che avevano, due gallette ed un pezzo di carne salata, poi in silenzio, si imbarcavano su circa centotrenta barche da pesca, ognuna delle quali conteneva sei rematori e dodici garibaldini che erano state tenute nascoste nel canale che da Milazzo sbocca al Faro.

Alle due del giorno 21 agosto i rematori, tutti siciliani, si misero a vogare seguendo quattro barche cannoniere che erano in testa percorrendo una diagonale a sinistra che evitasse la fortezza di Scilla che, quando fu giorno, aprì il fuoco senza però colpire alcuna imbarcazione.

Anche i forti di Alta Fiumara e Torre Cavallo siti sopra Villa San Giovanni aprirono il fuoco ma le barche erano ormai fuori tiro; però i rumore degli spari misero sull'avviso la fregata la Borbona che comparve in vista mentre i garibaldini erano ancora al largo, press'a poco a quattro quinti di cammino.

Garibaldi allora fece mettere in posizione, sulla spiaggia del Faro, una batteria con pezzi di grosso calibro che obbligò la Borbona a rallentare la sua corsa.
Molti dei garibaldini presero i remi in aiuto ai rematori siciliani ormai esausti e lo sbarco ebbe luogo fra Scilla e Bagnara.

Una volta sbarcati i garibaldini salirono per una ripida mulattiera e si diressero verso Solano dove i primi garibaldini arrivarono mentre i borbonici stavano arrivando in paese dal lato opposto.

Lo scontro durò circa un'ora ed alla fine i garibaldini rimasero padroni del paese. Era però rimasto ucciso il capitano De Flotte, volontario francese; inoltre vi era una quindicina di garibaldini feriti oltre ad una donna del paese colpita mentre portava acqua ai garibaldini. Diciotto borbonici furono catturati.

Successivamente i volontari ebbero l'ordine di risalire la Calabria. L'8 di settembre erano a Morano dove giunse la notizia dell'entrata in Napoli di Garibaldi.
Sotto una fitta pioggia arrivarono a Rotonda e proseguirono per Lauria ed il 10 erano a Lagonegro dove ricevettero l'ordine di non proseguire ma di deviare per Sapri dove sarebbero stati imbarcati e portati a Napoli.

L'11 settembre arrivavano a Sapri dove trovavano la popolazione chiusa nelle case e dove fecero fatica ad ottenere il necessario per il rancio [7].
Il 12 settembre arrivavano a Sapri due piroscafi, che un tempo erano della marina da guerra napoletana ed erano poi passati dalla parte dei garibaldini.

I volontari venivano imbarcati e si salpava nel pomeriggio, nonostante il mare assai mosso, giungendo di notte a Napoli dove i garibaldini si fermarono nel castello dell'Arsenale.
Il giorno successivo, con vari viaggi del treno, venivano spostati tutti a Maddaloni da dove andarono a Caserta e vennero ospitati nel quartiere San Carlino.
Il 15 settembre Francesco Parodi veniva nominato caporale.

Qui si stava formando la linea di battaglia ed i garibaldini, tra i quali si trovava il Parodi, facevano servizio d'avamposto. Intanto iniziava a fare freddo per cui furono distribuiti cappotti e pantaloni di panno grigio scuro eguali a quelli dei soldati piemontesi.

Dopo lo scontro di Caiazzo i volontari, durante le notti dal 25 al 27 settembre, per essere più pronti non dormirono più nei cameroni ma nella corte del quartiere di San Carlino e in previsione di una grande battaglia, dal 28 al 30, dormirono sulla piazza, davanti al palazzo reale dove abitava Garibaldi e che era sede del quartier generale.

Alle quattro di mattina del primo ottobre venivano svegliati dal generale Sirtori al quale era arrivata la notizia dell'inizio della battaglia con l'ordine di inviare una brigata a Santa Maria.
Alle sei di mattina i garibaldini arrivavano a Santa Maria ed il loro colonnello brigadiere Assanti li precedeva per andare a ricevere gli ordini dal generale Milbitz.

Una volta tornato, Assanti ordinava di mettere le baionette in canna e di marciare verso Sant'Angelo ma, appena fuori Santa Maria, i garibaldini si trovavano sotto il fuoco nemico e caricavano alla baionetta.
La battaglia infuriava fino alle tre del pomeriggio senza che le posizioni mutassero.

Alle tre pomeridiane giungeva Garibaldi in persona con delle riserve arrivate da Caserta per condurre l'assalto definitivo contro i bavaresi. L'attacco, condotto alla baionetta, ebbe successo e le truppe napoletane tornarono verso la Scafa di Triflisco da dove erano venute.

Anche i garibaldini della Divisione Medici presero l'offensiva marciando verso il Volturno ed inseguendo i fuggiaschi. La Compagnia del Parodi, assieme ad alcuni volontari di Medici, prese una batteria borbonica che cercava di ostacolarne l'avanzata catturando anche un pezzo da campagna che fu subito usato contro i borbonici stessi.

Al pomeriggio la battaglia era vinta. Al tramonto passò di nuovo Garibaldi, con due compagnie di bersaglieri di Milano, che si complimentò con loro e disse di rimanere sul posto agli ordini del generale Medici.

Successivamente giunti i soldati piemontesi il reggimento fu sciolto e la cosa che più dispiacque al Parodi fu di dover restituire il suo fucile.
Il 30 novembre il Parodi raggiunse in treno Napoli ed assieme a tanti garibaldini, fu imbarcato su di un trasporto della marina sarda giungendo a Genova alla mattina del 3 dicembre.

Furono poi tutti condotti sulle mura di Santa Chiara dove c'era la sede di un reggimento di fanteria e dove l'aiutante maggiore garibaldino che li aveva accompagnati, consegnò loro il congedo e la paga. Francesco Parodi, che era caporale, ebbe circa 250 lire.

Le ulteriori informazioni che si ricavano dal racconto di Alessandro Magni

Dato che Alessandro Magni, riguardo alla partenza della spedizione, dà delle date diverse da quelle indicate dagli altri autori, anche le date di arrivo sono diverse. Magni dice che l'Washington giunse a Palermo poco prima di mezzogiorno del 3 luglio e che l'altra nave giunge il 6 mentre Parodi dice che il Provence sbarcò i volontari a Palermo all'alba del 5 luglio.

Considerato che il 9 luglio il Provence era già tornato indietro ed imbarcava 765 volontari comandati da Curci che, in gran parte erano quelli che non si erano potuti imbarcare sull'Washington nella notte fra il 2 ed il 3 luglio, pensò che la date giuste siano quelli indicate dal Parodi.

A parte le date, il Magni ci dà una informazione interessante sul viaggio e cioè che l'Washington, ripartito dopo una breve sosta nella rada di Cagliari, alla mattina fu avvicinato dalla fregata Vittorio Emanuele il cui comandante disse con il megafono tenetevi sula nostra sinistra, se udiste un colpo di cannone retrocedete e che poi li accompagnò fino a Palermo.

Ciò dimostra che la spedizione Cosenz godeva del completo appoggio delle autorità piemontesi che si manifestò anche nel fatto che la spedizione si era imbarcata completamente equipaggiata e che i suoi ufficiali, che provenivano dall'Esercito, ne vestivano ancora le divise.

Con l'arrivo di più di duemila nuovi volontari, i garibaldini erano ormai svariate migliaia e così furono riordinati in quattro divisioni e presero il nome di Esercito Meridionale. Furono numerate da 15 a 18 per far vedere la continuità con l'esercito piemontese (che fu chiamato Esercito Settentrionale) che era composto da quattordici divisioni.

Il colonnello brigadiere Cosenz, come altri suoi colleghi, fu promosso e diventò Maggior Generale ma la sua Divisione (la 16a) rimase provvisoriamente composta di una sola brigata con due reggimenti ed una compagnia di Carabinieri Genovesi per scorta al generale. Il comando del primo reggimento fu dato al colonnello Conte Fazioli, il secondo al colonnello Filippo Borghesi.
Alessandro Magni si trovava nella terza compagnia del secondo reggimento ed aveva avuto il grado di furiere poiché aveva partecipato alla campagna del 1859.

I volontari vennero passati in rivista da Garibaldi e poi la divisione partì per Milazzo preceduta da Cosenz che era assieme ai Carabinieri Genovesi. Parodi racconta che la rivista avvenne l'8 luglio e che i volontari di Cosenz partirono alla sera del 9. Alla mattina del 18 i due reggimenti giunsero a Cefalù e per affrettare il viaggio li si imbarcò su delle navi a vela ma ci volle del tempo e l'imbarco avvenne solo qualche ora dopo mezzogiorno quando ci fu una eclisse parziale di sole.

Dopo il mare però era piuttosto mosso ma senza vento. Si cercò allora di rimorchiare le navi con dei canotti ma con scarsi risultati per via del mare ondulato e si approdò ad una paesello a qualche chilometro appena da Cefalù. Per ricuperare si marciò anche di giorno sotto il sole ma si arrivò a Milazzo solo verso la sera del 20 dopo che era stata vinta la battaglia nella quale il generale Cosenz fu leggermente ferito al collo.

Successivamente i garibaldini di Cosenz furono mandati a Messina dove rimasero assieme alla 17a divisione Medici nelle capanne dei pescatori sotto un torrido sole.

Il 21 di agosto la 18a divisione, comandata da Bixio, sbarcò a sud di Reggio e la sera stessa le divisioni Medici e Cosenz vennero imbarcate, la prima a nord della Punta del Faro e la seconda a sud, su battelli da pesca con 15/20 volontari ognuno e condotti da 10/12 rematori. Ci volle qualche ora per vincere la corrente, girare la Punta del Faro e unirsi alle barche della divisione Medici.

Mentre tutti i battelli stavano fermi in attesa dell'alba si videro i fanali di due navi borboniche dirette nello stretto che non si accorsero di nulla. All'alba il forte di Scilla sparò alcune cannonate contro la flottiglia ma era fuori tiro. Lo sbarco fu fatto in una spiaggia tra Scilla e Bagnara e le due navi cannoniere che erano in testa avanzarono ed aprirono il fuoco contro i borbonici che dalla via Consolare contigua alla spiaggia cercavano di impedire lo sbarco.

Appena sbarcati sulla spiaggia di grossa ghiaia quelli di Cosenz salirono sulla montagna che li sovrastava mentre quelli di Medici rimasero vicino alla spiaggia per chiudere la via di Napoli ai borbonici che erano accampati a sud di Scilla. Solo alle dodici i volontari di Cosenz arrivarono a Solano dove, mentre già accendevano i fuochi per il rancio, furono attaccati da alcuni soldati borbonici.

Una palla andò verso Cosenz che li osservava ma un ramo di un albero la deviò. I Carabinieri Genovesi risposero al fuoco ma gli spari cessarono e si udirono delle voci che dicevano No, siamo italiani noi. Erano i borbonici che si arrendevano agli uomini del capitano De Flotte che, con la sua compagnia, si era arrampicato dal fondo del burrone ed aveva assalito i borbonici che, però, prima di arrendersi erano riusciti a colpire ed uccidere il capitano.

Il mattino dopo salirono l'Aspromonte dove arrivarono dopo le dodici e digiuni. Verso sera giunse una carovana con viveri e vino condotta da patrioti calabresi ma suonò l'allarme e si dovette lasciare tutto, ripartire digiuni e discendere dal monte di notte e senza luna. Dopo si dovette salire su di un altro monte e al mattino del 24 agosto si era su di un altopiano prospiciente il mare.

Vicino alla spiaggia c'erano 4/5000 borbonici comandati dal generale Briganti a cui Garibaldi aveva intimato di arrendersi perché accerchiati a nord dagli uomini di Medici, a sud da quelli di Bixio, arrivati dopo la presa di Reggio e a ovest dal mare. L'arrivo dei volontari di Cosenz completò l'accerchiamento ad est e così i borbonici si arresero.
Garibaldi poi visitò e lodò i volontari.

Quando Garibaldi si recò direttamente a Napoli, Cosenz lo accompagnò e fu poi nominato Ministro della Guerra. Il comando dell'unica brigata della 16a divisione fu dato al colonnello brigadiere Damiano Assanti. Ci furono poi lunghe marce per la via Consolare fino a Lagonegro e per un sentiero a Sapri dove due piroscafi, il 15 settembre, trasportarono i volontari a Napoli.

A Napoli ci fu una breve sosta e poi, il mattino del 19, i garibaldini della 16a divisione furono portati a Caserta in treno e lì alla brigata fu aggiunto un terzo reggimento comandato dal colonnello Albuzzi che precedette gli altri assieme ad Assanti partecipando ai combattimenti avvenuti il giorno stesso sulle rive del Volturno presso Caiazzo assieme alla Brigata Sacchi della 15a divisione Türr. Qui fu ferito mortalmente Benedetto Magni fratello di Alessandro.

Il mattino del 1 ottobre la brigata Assanti, tranne il 2° battaglione del 2° reggimento comandato dal maggiore Pilade Bronzetti che fu distaccato a Castel Morrone, si recò da Caserta a Santa Maria di Capua e fu posta sotto il comando del generale Milbitz e divisa in quattro colonne.

La prima, composta dal 3° reggimento, rimase a Santa Maria di Capua con l'incarico di difendere la barricata e i cannoni allo sbocco della città sulla via di Sant'Angelo. La seconda, composta dal 2° battaglione andò a Porta Capuana in aiuto al brigadiere Malenchini assalito da numerosi corpi borbonici comandati dal generale Tabacci. Ci furono alcune ore di combattimenti, i borbonici furono respinti e Milbitz fu ferito.

La terza, composta dal primo battaglione del 2° reggimento, andò verso Sant'Angelo e deviò verso Capua per respingere i Dragoni della cavalleria borbonica. La quarta, composta dal 1° reggimento con il brigadiere Assanti, proseguì per Sant'Angelo e a destra occupò il cimitero ed una casa mentre un battaglione avanzava fino al ponte collocandovi un cannone e malgrado il fuoco dei borbonici comandati dal generale Alfan de Rivera, impediva loro di avanzare verso Santa Maria.

Intanto il battaglione Bronzetti era impegnato nell'eroica difesa di Castel Morrone dove fu ferito mortalmente lo stesso Bronzetti, come molti altri, finché, finite le munizioni, i pochi superstiti si arresero ai borbonici del generale Perrone riuscendo però a ritardare la sua marcia verso Caserta tesa ad accerchiare gli altri.

Dopo le dodici si calmò la battaglia davanti alla fortezza e alle 15 Garibaldi che veniva dal monte Sant'Angelo giunse vicino a Santa Maria e disse ad Assanti Vi ringrazio, voi comandate una schiera di prodi, ora vado a prendere le ultime riserve e riprendiamo il fuoco su tutta la linea.

Con corpi freschi della divisione Türr assalì i borbonici che alle 17 si ritirarono. Verso sera il 1° e 3° reggimento furono inviati verso Caserta dove si dirigevano i borbonici che avevano combattuto con Bronzetti. Il primo battaglione del 2° reggimento fu mandato a custodire la riva sinistra del Volturno sotto il monte Sant'Angelo.

La marcia avvenne sotto una pioggia di granate che arrivavano dalla fortezza ed alla mattina giunse l'ordine di abbandonare la posizione troppo esposta e di andare agli avamposti di Porta Capuana a Santa Maria. Il 2 ottobre i due reggimenti, meno il 2° battaglione del 2° reggimento, vanno da Caserta verso San Leucio e Casapulla e guidati da Garibaldi ed assieme ad altri, compresi due battaglioni dell'Esercito Settentrionale, assalirono i borbonici che avanzavano, respingendoli e facendo alcune centinaia di prigionieri, anche con l'aiuto della divisione Bixio.

Il battaglione del 3° reggimento rimasto a Caserta assalì e mise in fuga una colonna di borbonici sbandati dall'avanguardia di Perrone che erano entrati in città ed avevano devastato il magazzino della brigata con le casse degli ufficiali e saccheggiato alcuni negozi. Il comandante del battaglione rimase leggermente ferito.

Tra l'1 e il 2 ottobre la 16a divisione, compreso il battaglione Bronzetti, ebbe 147 morti, 355 feriti, 339 dispersi e fu quella che ebbe le maggiori perdite dopo quella di Medici.

Gli avanzi della brigata Assanti rimasero agli avamposti di Capua fino agli ultimi giorni di ottobre sotto la pioggia e senza tende. Dopo andarono a Santa Maria e a Caserta finché, alla fine di novembre, fu sciolto l'esercito. I superstiti andarono a Napoli e furono imbarcati sulla corvetta Ettore Fieramosca giungendo a Genova la sera del 2 dicembre.


[1] - Alessandro Magni - La XVI Divisione Cosenz nella Guerra del 1860 - Tipografia Forzani e C. - Roma, 1903.   <<

[2] - George Macaulay Trevelyan - Garibaldi and the making of Italy - Fourth impression - Longsman, Green and Co. - London, 1912.   <<

[3] - Alexandre Dumas - Les garibaldiens - 1861; in italiano I garibaldini - Editori Riuniti 1996.   <<

[4] - In alcuni scritti la vecchia carboniera è chiamata Saumont (è il cognome di una famiglia nobile), in altre opere troviamo invece Saumon (che in francese significa salmone). La pronuncia è la medesima per entrambe le parole ma il nome corretto è il secondo come si può leggere nel libro Le carte di Agostino Bertani che fu colui che noleggiò questa imbarcazione francese.   <<

[5] - Bortolo Vanazzi - I Lodigiani nella guerra del 1860 - Editori Quirico e Camagni - Lodi 1910; pubblicato anche in Archivio storico per la Città e i Comuni del circondario di Lodi - Anno XXIX (1910).   <<

[6] - a cura di Manlio Bonati - Memorie inedite del garibaldino Francesco Parodi - pubblicate in Bollettino della Domus Mazziniana - Anno 1993, numero 1, pp. 49-69.   <<

[7] - Il giorno precedente, 10 settembre, era giunta a Sapri la Brigata Sacchi che però si era accampata fuori dal paese e si era imbarcata all'alba dell'11.   <<


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