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Andrea Cavallari - Vela
 
1998 - La prima settimana del corso di vela di Utopia


Premessa

Il 7 giugno 1998 parto in treno diretto a Piombino dove prenderò l'aliscafo per Cavo. Durante il lungo viaggio rileggo un manuale sulla vela di Dennis Conner, il famoso skipper che ha vinto quattro volte la Coppa America, che ho comprato e letto subito essermi iscritto al corso di vela.

A Cavo siamo un gruppetto e ci viene incontro uno degli istruttori della scuola (Giorgio). Sull'aliscafo c'erano anche due ragazze di Bologna (Giorgia e Roberta) ma loro faranno il corso sulle derive [1] e non quello che seguo io.

Nel mio corso siamo in quattro, c'è una coppia che viene da Francoforte, lui è italiano (Gianni), lei olandese (Conny) e poi un ragazzo che si chiama Roberto. Gli altri vanno tutti sulle derive.
Siamo alloggiati all'Ecovillaggio in stanzette da due letti. Conosciamo Donato che sarà il nostro istruttore. Il programma è: colazione alle otto e mezza, lezione di teoria dalle 9 alle 9.30/10 e poi mare fino alle 12 e 30. Alle tredici si mangia a terra, riposo fino alle tre e poi ancora in mare fino alle cinque e rotti, infine cena alle otto.

Lunedì 8 giugno 1998 - Strambate e virate

Fatta colazione tutti assieme si fa lezione di teoria. Noi quattro ci mettiamo sul retro dove c'è un bel prato con una lavagna. Donato ci chiede varie cose e tutto sommato le sappiamo abbastanza tranne il nome dei venti.

Prima ancora di salire in barca, Donato ci fa imparare ad adugliare le cime [2] poi ci spiega tutta la nomenclatura (che conoscevo ma che non avevo ancora visto) e ci fa vedere tutte le cime e come usare gli winch [3].
La barca che useremo questa settimana è un Rimar 31, si chiama Luni ed è lunga 31 piedi (che sono nove metri).

Togliamo il copriboma, si parte a motore e poi, fuori dal porto, si issa la randa e poi si srotola il fiocco [4].
Si parte in bolina stretta [5] verso Palmaiola facendo continue virate. Io prima faccio il prodiere (cioè mi occupo del fiocco) poi manovro la randa ed infine sto al timone che su questa barca è a barra.

Non c'è molto vento e quando torniamo indietro si va piano. Proviamo anche le strambate [6]. Arrivati vicino al porto si ammaina il fiocco e poi si ammaina la randa e si riaccende il motore.
Io sto a prua per prendere il cavo lasciato sulla barca di fianco alla nostra e si ormeggia. Nel complesso non siamo andati malaccio.

Nel pomeriggio c'è molto più vento e proviamo strambate e virate a iosa. Nelle strambate la cosa più difficile è, quando la si è finita, fare la cosa giusta per non rifarla per sbaglio, questo perché, cambiando di mura il vento, orza e poggia si invertono [7].

Il vento si alza forte mentre siamo tra l'isola dei Topi e la terraferma così si incanala e l'effetto è maggiore. Donato prende una mano di terzaroli [8] ma le raffiche si susseguono finché si rompe la borosa [9].
A virare di prua ci si inclina moltissimo e si fa fatica fisica a stare diritti. Comunque andiamo molto bene. Stiamo per provare un'altra serie di strambate quando arriva il vento di colpo e Donato deve saltar su per prendere una mano di terzaroli. Il vento arriva fino a 23 nodi relativi.

Si torna indietro e si riduce anche il fiocco ma poi si riesce ancora a fare tantissime virate e simili anche se il mare è un po' più mosso e tutto diventa più complicato.
Quando siamo a ridosso il vento cala un po'. Si torna a riva, si ammaina quasi tutto e si va a motore ad un gavitello. Io lo prendo col mezzomarinaio [10] e ci fermiamo.

Scendo in acqua con pinne e maschera. Per fortuna non è tanto freddo. Controllo ben bene il timone che temono abbia preso un colpo nei giorni scorsi ma tutto è a posto.
Rimango a mollo un po' e si va in porto a motore mentre io mi asciugo, attracchiamo e poi aiuto a sguazzare la coperta per lavarla.

Martedì 9 giugno 1998 - Mano di terzaroli e strambate

Di bolinaOggi abbiamo una lezione teorica relativamente lunga perché Donato ci spiega la presa di terzaroli che ieri ha fatto lui in emergenza. Prima di partire Donato impiomba [11] la borosa che si era rotta ieri.
Io sto ai piedi dell'albero e scopro che è un posto comodo da dove non si deve fare molto e si ha la vista ottima. Specialmente quando si vira di prua l'effetto è notevolissimo e sarebbe bello filmarlo.

Poi devo provare e riprovare la strambata finché non la faccio bene. Dopo si fa un lungo tratto di bolina ed io devo tenere il timone, cosa non facile perché la barca è sensibile e si tende ad esagerare ogni correzione dovendola poi rifare. Torniamo all'una passata.

Nel pomeriggio prima ripassiamo le mani di terzaroli e le varie cose, poi ci mettiamo al gran lasco [12] ed andiamo fin oltre Palmaiola (con varie correzioni di rotta). Si va abbastanza oltre e ci si mette in bolina stretta e con un gran bordo [13] si torna verso riva doppiando l'isola.

Io faccio un po' il prodiere poi mi scambio con Roberto e vado al piede d'albero e scatto qualche foto mentre siamo di bolina e tutti sbandati. Si arriva in porto a motore, si mette tutto a posto e si scende.
Io sento un lieve mal di mare eppure sono a terra! Si tratta del cosiddetto mal di terra cioè un lieve capogiro che può venire appena tornati a terra dopo molto tempo in mare.

Mercoledì 10 giugno 1998 - Presa di gavitello, cappa e uomo a mare

Oggi sono di comandata (cioè di turno, detto in linguaggio marinaresco), l'aiuto che dobbiamo dare a turno consiste solo nell'apparecchiare, c'è infatti una cuoca che pensa a tutto e che ci prepara ottimi manicaretti.

Alle nove Donato ci fa la lezione teorica (in terrazza ma all'ombra) e ci spiega la presa di gavitello a vela (cioè come ormeggiare la barca ad un gavitello facendo l'intera manovra a vela e non a motore). Ci vuole il suo tempo e scendiamo alle dieci passate.
Appena fuori dal porto proviamo ad ormeggiare, io sto a prua e prendo con facilità il gavitello col mezzo marinaio ma poi non so cosa fare e come attaccarsi. Non è così semplice e riproviamo la manovra molte volte con Conny che mi aiuta (e poi prova lei) e Roberto e Gianni che governano da soli.

Avvistiamo un sacchetto galleggiante e Donato fa manovrare per prenderlo su (si impiglia nelle eliche e può uccidere tartarughe e cetacei). Ne avvistiamo altri e per un po' giriamo su e giù per la baia e raccogliamo sacchetti. Gianni e Roberto diventano bravissimi ed io e Conny ci divertiamo a prua col fiocco che ci passa continuamente sulla testa e dobbiamo chinarci fin quasi distesi per terra per lasciarlo passare.

Alla fine io passo al timone, Conny manovra le scotte [14] e Donato va a prua con Roberto e Gianni per spiegare loro la manovra però è ora di pranzo e torniamo a riva. Comunque timonare non è affatto facile.

Alle tre facciamo la solito lezione teorica. Donato ci spiega la cappa ardente e la cappa filante [15], facciamo varie domande e così ci spiega anche la presa dell'uomo a mare. Si scende poi alla barca e continuiamo le prove di presa di gavitello. Conny ed io siamo stati a prua stamattina ed ora tocca starci a Gianni e a Roberto. Anche Gianni e Roberto, una volta che hanno in mano il gavitello si confondono e fanno la nostra stessa figura di stamattina.

Poi tocca a me timonare, ci allontaniamo un bel po' ed intanto arriva una barca che si ancora non troppo distante dal nostro gavitello così non possiamo più continuare. Si passa allora a provare la presa di uomo a mare. Anziché arrivare sull'uomo a mare di prua come fanno alcuni, rischiando di travolgerlo, proviamo a prenderlo superandolo e mettendosi poi in cappa per scarrocciargli [16] sopra e prenderlo di poppa o di fianco.

L'uomo in mare consiste in un parabordo [17] legato ad un bugliolo (cioè un secchio detto in linguaggio marinaresco) che, riempiendosi di acqua, lo tiene abbastanza fermo.
Ovviamente la manovra non è facile e passiamo più volte vicino all'uomo mancandolo e scarrocciando poi troppo in là. Ci divertiamo ad immaginare le parolacce che ci direbbe se fosse veramente in acqua e ci vedesse passare più volte vicinissimi senza prenderlo su.

Quello che imbroglia è che guidando un oggetto come il Rimar che è lungo come un camion, uno pensa che si debbano fare larghe curve ed invece la barca gira in pochissimo spazio e non si può certo correggere la virata perché se si va in prua al vento ci si ferma. Quindi, benché ci aiuti Donato, è difficile capire che manovre fare per andare da un punto all'altro.

Mentre scendiamo dal Luni, arriva in porto una barca a vela non molto grande che si chiama Peyote. A bordo c'è un ragazzo da solo che chiede notizie degli istruttori di Utopia e poi chiede dove ormeggiare. La manovra da solo è difficile e Donato sale con lui per aiutarlo.
Alla sera conosciamo il ragazzo di prima che si chiama Alessandro ed è un istruttore di Utopia arrivato qui per restarvi a lungo. E' di Roma e la barca è sua, è venuto da Fiumicino da solo in tre giorni.

Giovedì 11 giugno 1998 - Ancoraggi

Oggi c'è la partita dell'Italia ai mondiali di calcio e quindi abbiamo deciso di rimanere fuori senza rientrare ad ora di pranzo per poi smettere prima al pomeriggio e fare in tempo a vedere la partita che inizia alle cinque e mezza.

Prima di partire però c'è la lezione teorica che è abbastanza lunga perché riguarda gli ancoraggi a vela e c'è quindi una prima parte sui vari tipi di ancora (e di fondali) e poi su come fare le manovre a vela.

Si va al porto e si sale in barca, con noi abbiamo della frutta e del sugo al pesto che ci ha dato la cuoca che non era stata avvisata della nostra intenzione di rimanere fuori e che quindi non ha preparato panini.

Si prepara l'ancora e la catena prima di partire. Si parte, si esce, si fa qualche virata e si torna subito sottocosta dirigendosi verso la zona a monte del porto ai piedi di una casa-castello in una posizione invidiabile.

Per il primo ancoraggio io sto all'ancora e si fa tutta la manovra abbastanza bene. Donato ogni tanto si dichiara soddisfatto dei nostri progressi e del nostro affiatamento.

Intanto si è fatta ora di pranzo e Donato mette su l'acqua. Io vado in mare e vengono anche lui e Conny. Mi metto la maschera e le pinne e faccio un lungo giro fino alle rocce della costa. Il fondo è bello con posidonie fin sotto riva, nuotare sulle praterie di posidonia dà l'impressione di volare.

Intanto la pasta è cotta e risalgo. Ci mangiamo degli ottimi fusilli al pesto comodamente seduti nel pozzetto [18], poi ci si riposa un po' al sole e mangiamo la frutta. Dopo faccio io il caffè ed accendo il fornello da barca che è dondolante, fornito di bloccapentole e con termostato di sicurezza fatto come quelli delle caldaie a gas.

Si riparte abbastanza presto per continuare gli ancoraggi. Ora tocca a me timonare, si toglie l'ancora e la manovra non è molto difficile (almeno per il timoniere), andiamo al largo e torniamo in bolina stretta.

Siamo appunto in bolina stretta con le vele cazzate a ferro [19] quando arriva una raffica di vento, la barca, che è già sbandata, si inclina ancora di più ma all'improvviso lo sbandamento aumenta vistosamente.

Donato salta su come un tappo e mi zompa praticamente in braccio prendendo il timone e la scotta di randa e manovra il tutto rapidamente cambiando rotta e lascando la randa [20].

E' successo che, oltre ad arrivare una raffica, è girato il vento che ci è venuto di lato facendoci sbandare ancora di più. Riprendo il timone ed arriviamo a riva mentre io cerco di capire le variazioni continue del vento per rimanere di bolina.

Comunque alla fine dobbiamo fare qualche virata in più del previsto ma arriviamo in zona. La manovra di ancoraggio è un po' laboriosa perché la barca si sposta continuamente e non sta al vento che gira spesso. Comunque ci si ancora e l'ancora tiene.

Poi Donato ci spiega varie cosette su quello che è successo oggi. Si avvicina l'ora della partita e si riparte a motore per entrare in porto. Oggi però Donato ci ha anche spiegato come si accende e si usa il motore (che in questa barca è un entrobordo diesel) con Roberto al timone che prova anche l'ancoraggio in banchina.

Ci si ancora, si sistema la barca, la si lava di fuori (la vetroresina col sale del mare si rovina) e si scende.
Si avvicina un tizio che si mette a chiacchierare con Donato che ce lo presenta, si chiama Pierre ed è un sessantenne belga proprietario dell'Alize, una barca a due alberi ormeggiata al molo proprio all'altezza del nostro pontile.

Ci dice che la barca è di fabbricazione belga ed infatti ha una linea molto diversa da quella delle altre, appare molto più panciuta e pensata per affrontare altri climi. Non è particolarmente grande ma ha già fatto due volte la traversata dell'Atlantico!

Venerdì 12 giugno 1998 - Meteorologia e tracciamento delle rotte

Di notte c'è un vento tremendo. Scendo a colazione. Stanotte il vento era a forza 9 (la forza è del vento e non del mare), ora il tempo è molto variabile ma con raffiche tremende di vento (poco meno di 30 nodi) per cui non si può uscire. In effetti fuori non si vede una vela ed al largo è tutto bianco di onde (il porto di Cavo invece è a ridosso). Così questa mattina si farà lezione teorica tutti assieme.

Donato tiene lezione di meteorologia a tutti in uno degli stanzoni del piano terreno. Ci sono alcune cose che sapevo già ed altre che ignoravo come il fatto che i venti nelle basse pressioni ruotano in senso antiorario e nelle alte in senso orario per cui quando sta arrivando una perturbazione se mi metto faccia al vento avrò il brutto tempo (ma anche il vento forte) a dritta ed il bel tempo a sinistra.

Si traccia la rottaPoi noi ci trasferiamo sul Luni dove Donato ci spiega l'uso delle dotazioni di sicurezza e cioè delle cinture di salvataggio, di quelle per assicurarsi alla barca (con cattivo tempo e di notte) e l'uso della radio VHF sia per parlare con altri che per emergenza (sempre sul canale 16).

Si va a mangiare e poi alle tre si torna alla barca e ci mettiamo tutti sotto, c'è sempre vento fortissimo e lo si sente sibilare fra le sartie e le barche dondolano.
Prima Donato ci spiega la proiezione di Mercatore ed altre cose che so già. Non sapevo però che la misura del miglio marino è stata scelta affinché fosse lungo esattamente un minuto di grado (1853,5 metri) e cioè 60 miglia x 360° = 40000 chilometri di circonferenza della Terra.

Si usa la proiezione di Mercatore per poter usare linee diritte per le rotte in quanto tutti i meridiani ed i paralleli risultano perpendicolari fra di loro (cioè anche i meridiani sono paralleli fra di loro).

Intanto fuori, ora piove furiosamente, ora torna il sole. Facciamo anche varie soste e ci facciamo un caffè oltre a bere bicchieroni di tè freddo. Domani, tempo permettendo, dovremo andare al golfo di Baratti per poi tornare assieme ad un Meteor che viene da San Vincenzo e fargli sicurezza (noi intrepidi marinai).

Sabato 13 giugno 1998 - Fino a San Vincenzo

Alle nove ed un quarto siamo pronti a scendere per andare a San Vincenzo a prendere i Meteor. Il tempo è tornato bello ed il sole picchia. Di prima mattina sembrava addirittura ci fosse poco vento ma poi rinforza.

Alle dieci molliamo gli ormeggi, con noi c'è Elena (la segretaria di Utopia), partiamo con già una mano di terzaroli. Quando usciamo dal ridosso del capo che c'è a nord di Cavo l'onda si comincia a sentire.

Sono ondone enormi e lunghe. Il vento è di bolina, piuttosto largo e si prende bene. Il mare rinforza ancora e Donato ci spiega che il fetch, cioè la distanza che percorre il vento, è aumentata perché ora siamo oltre la punta della Corsica e quindi le onde sono più grandi.

Si supera la punta alta sul mare che chiude a sud il golfo di Baratti e poi anche quella più bassa che la chiude a nord. Ora c'è un tratto di costa bassa e sabbiosa per cui l'unico punto di riferimento è una villa isolata in mezzo alla vegetazione.

Siamo già in vista di San Vincenzo, anche se fatichiamo a vedere il porto; quando siamo più vicini, col binocolo vediamo le onde che si frangono con violenza sui frangiflutti.
Le altre barche non si vedono e le chiamiamo col telefonino (sul Meteor non c'è la radio). Ci dicono che stanno uscendo.

Prima che si vedano passa un bel po' di tempo e così andiamo oltre San Vincenzo e torniamo indietro. Anch'io mi faccio un lungo turno al timone ma devo solo tenere la rotta e cercare di prendere bene le onde (fare tutte e due le cose non è semplicissimo).

Finalmente i Meteor escono, uno parte vele al vento verso sud, l'altro esce al largo ma passa molto tempo prima che riescano ad issare la vela. Ci accostiamo e diamo le indicazioni sulla rotta da tenere.
Intanto l'altro non ci considera e va via a rotta di collo per conto suo e prendendo una rotta assolutamente sbagliata, infatti dirige verso Marciana Marina sull'altro lato dell'isola d'Elba che da qui si vede tutta intera.

Abbiamo ridotto un'altra mano di terzaroli ed arrotolato quasi tutto il fiocco per andare piano come il Meteor che è più corto e quindi più lento di noi e Donato dice Tirate fuori il fiocco che andiamo a prenderlo. Al timone c'è Roberto che gongola.

In breve lasciamo indietro l'altro Meteor e cominciamo a guadagnare terreno. Ovviamente ci vuole il suo tempo e Gianni propone di togliere la mano di terzaroli ma basta il solo fiocco per acchiappare il Meteor.
L'inseguimento è abbastanza emozionante e ci dà un'idea precisa di come si svolgevano le battaglie navali, con lunghi periodi in cui apparentemente non succedeva alcunché ma dove in realtà si giocava il destino della battaglia.

MeteorUna volta raggiunto il Meteor Donato urla improperi all'altro skipper il quale se ne esce a dire che ha sbagliato rotta perché non conosce l'isola d'Elba. Lo accostiamo, sempre andando, e Donato gli spiega la rotta da tenere poi rallentiamo finché torniamo a livello dell'altro Meteor ma intanto il precedente, sia pure sulla nuova rotta, pian piano accelera e si allontana di nuovo.

Visto che navighiamo in flottiglia e che siamo venuti fin qui per fare sicurezza, è assurdo che ognuno vada per conto suo così c'è un nuovo inseguimento e nuovi improperi allo skipper il quale si giustifica dicendo che tanto siamo in vista (cioè ci vediamo gli uni con gli altri).

Comunque anche lui riduce l'andatura ed i due Meteor stanno in fila con noi che stiamo in coda e li controlliamo come un cane da pastore con le pecore. Tocca di nuovo timonare a me e resto al timone fino a Cavo puntando prima sull'isola dei Topi.
Il Meteor più veloce accelera e lo raggiungo per dirgli dove sono i gavitelli dove deve ormeggiare.

Ci ancoriamo e poi laviamo la barca. Abbiamo fatto la bellezza di 32 miglia a vela e cioè circa sessanta chilometri. Non avendo mangiato niente siamo abbastanza affamati.


[1] - La parola deriva ha vari significati: il primo senso di deriva è, infatti, lo spostamento laterale che un corpo galleggiante subisce per l'azione di una massa liquida in movimento, ad esempio una corrente marina. Per resistere all'effetto di deriva le imbarcazioni hanno dei dispositivi che si chiamano appunto derive. Nelle imbarcazioni a vela si dice deriva o chiglia di deriva un piano verticale che sporge in basso sotto il natante.
Qui però col termine deriva si intende una piccola barca aperta, particolarmente adatta alla navigazione in mare con buon vento . Le derive sono in genere veloci ed agili, adatte per chi ama le prestazioni . In genere si impara prima sulle derive e si prosegue poi sulle imbarcazioni da crociera.
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[2] - Cima è il termine generico per indicare una corda (guai a dire corda!) che poi può prendere vari nomi a seconda del suo scopo e adugliare (o addugliare) significa raccoglierla in duglie e cioè in spire in pratica vuol dire arrotolare una corda in maniera tale che possa essere srotolata facilmente ed in fretta. <<

[3] - Winch è un termine inglese che significa argano o verricello (piccolo argano) ma si usa questo termine anziché dire argano perché si tratta di un oggetto ben diverso da un argano di una volta.
E' interamente metallico, formato da un cilindro verticale che gira in un sol senso e contiene un dispositivo demoltiplicatore per cui avvolgendovi sopra più volte una cima (sempre e solo in senso orario) e tirando si tende (o meglio si tesa o si cazza) la cima, quando poi lo sforzo diventa eccessivo si può continuare con una manovella che si infila nella parte superiore e si sfrutta la riduzione dello sforzo dovuta alla demoltiplica.
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[4] - Il boma è il pennone (cioè un palo) posto orizzontalmente e unito (il punto di unione si chiama varea) alla parte posteriore dell'albero e tiene la randa cioè la vela posteriore e più grande di uno yatch armato con vele Marconi (all'estero dicono vele Bermuda) come il nostro. Quando si arriva in porto di solito non si toglie la randa ma la si ammaina sul boma, la si lega e la si copre con un telone che si chiama appunto copriboma.
Il fiocco è la vela triangolare anteriore all'albero di trinchetto (nel nostro caso dell'unico albero che abbiamo). Essendo molto più piccola della randa sembrerebbe molto meno importante ma invece dà una grande forza propulsiva, specialmente quando non si è in favore di vento.
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[5] - La bolina è l'andatura che si effettua mantenendo una rotta il più possibile contraria alla direzione di arrivo del vento (cioè circa a 40-45 gradi a destra o sinistra rispetto al vento, se si riduce troppo l'angolo la barca non può più proseguire); si distingue in bolina stretta, bolina o bolina larga a seconda dell'ampiezza dell'angolo al vento). <<

[6] - La strambata è il cambiare di bordo in una andatura di poppa, ovvero cambiare il bordo della barca contro cui arriva il vento passando con la poppa per la zona da cui arriva il vento. <<

[7] - Orzare significa portare la prua della barca verso la direzione da cui proviene il vento (cioè stringere il vento) mentre invece poggiare (o anche puggiare) significa allontanare la prua della barca dalla direzione da cui proviene il vento.
E' evidente che dopo aver strambato, arrivando il vento dal bordo (cioè il lato della barca) opposto al precedente, muovere il timone nella direzione che prima faceva orzare ora fa poggiare e viceversa.
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[8] - Terzarolare significa diminuire la superficie della vela (in questo caso della randa) esposta al vento ammainandone solo una frazione. Ogni frazione di vela ammainata si chiama mano (o presa) dei terzaroli. <<

[9] - La borosa è la cima utilizzata per richiamare e fissare (verso l'estremità del boma) l'occhiello di una bugna delle mani dei terzaroli. Infatti nella randa sono predisposti degli occhielli (uno per ogni mano) per facilitare la presa dei terzaroli. <<

[10] - Il mezzomarinaio consiste in una lunga asta con una punta ed un uncino e viene utilizzato nelle manovre di ormeggio per recuperare un cavo (mediante il gancio) o per allontanarsi (facendo forza sul puntale). E' così chiamato perché è talmente utile che la sua presenza vale come un mezzo marinaio in più. <<

[11] - Impiombare significa intrecciare i legnoli di due o più cime allo scopo di formare un occhiello oppure impedire che il cavo si strefoli o (come nel nostro caso) per effettuare una giunta (i fili che compongono una cima sono intrecciati in trefoli, i trefoli sono intrecciati fra loro e formano i legnoli ed è l'intreccio dei legnoli che forma la cima). <<

[12] - Il gran lasco è una delle possibili andature della barca. Si è al gran lasco quando la barca va in una direzione tale da avere il vento che arriva con un angolo da 140 a 170 gradi (in pratica molto vicino alla poppa). <<

[13] - Un bordo è tratto di mare percorso seguendo la stessa rotta. Quando si è di bolina è necessario fare molti bordi per risalire il vento e cioè procedere a zigzag virando di prua alla fine di ogni bordo. In questo caso invece, data la direzione del vento e dato il punto che vogliamo raggiungere, possiamo fare un lunghissimo tratto di bolina stretta, senza virare. <<

[14] - Le scotte sono le cime utilizzate per regolare le vele partendo dal loro angolo posteriore basso (punto di scotta). <<

[15] - Mettere in cappa significa mettere le vele in modo che la spinta propulsiva su di una di esse sia controbilanciata e annullata dalla spinta sull'altra; è una manovra che si effettua con cattivo tempo per ridurre al minimo la velocità della barca e mantenere sempre le onde al mascone, cioè circa 45 gradi rispetto alla prua. Si chiama invece cappa secca quella di un veliero che decide di sostenere il cattivo tempo stando a secco di vele (con tutte le vele ammainate).
La cappa filante consiste nel regolare le vele in modo che lo scafo si mantenga un po' più stretto del traverso con timone all'orza in modo che avanzi solo il tanto da mantenere attivo il timone. In questo modo lo scafo scarroccia leggermente sottovento perdendo il minor cammino e lasciando sopravvento una remora che riduce la possibilità che si crei qualche frangente pericoloso.
Infine la cappa è detta ardente se lo scafo avanza per poi rinculare sotto l'azione del vento e del mare e riprende quindi ad avanzare leggermente, serpeggiando. Ogni scafo, in relazione alla propria alberatura e velatura ha un suo equilibrio particolare sotto vela e, pertanto, il tipo di cappa, e il tipo di vele da mantenere issate, varia notevolmente.
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[16] - Lo scarroccio è lo spostamento laterale della barca per effetto del vento. In questo caso significa che cerchiamo di fermarci vicino all'uomo in mare ma in modo che il vento ci spinga pian piano verso di lui. <<

[17] - Un parabordo è un oggetto messo a protezione dello scafo; normalmente si tratta di un corpo sferico o cilindrico gonfiabile sorretto da una cimetta legata alle draglie (cioè il cavo teso tutt'attorno alla barca per impedire cadute accidentali fuori bordo). <<

[18] - Il pozzetto è lo spazio situato in coperta, al centro o a poppa delle barche da diporto per permettere all'equipaggio di sedere ed essere riparati in caso di maltempo; vi è situata la barra o la ruota del timone, la bussola e vi arrivano le principali manovre correnti. <<

[19] - Cazzare a ferro significa tendere la scotta del fiocco al massimo e cioè finché tocca la sartie che reggono l'albero e che sono appunto metalliche. <<

[20] - Lascare significa diminuire la tensione su una cima; contrario di cazzare; l'operazione si differenzia da mollare, che invece indica il togliere tutta la tensione sulla cima. <<


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