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La 15A Divisione Türr


Prefazione

Quando, nel 1859, Garibaldi prese il comando dei volontari inquadrati nei Cacciatori della Alpi li suddivise in due reggimenti (comandati da Enrico Cosenz e da Giacomo Medici). Ogni reggimento sarebbe stato suddiviso in quattro battaglioni (anche se per il momento c'erano volontari solo per due), ognuno dei quali, a sua volta, diviso in quattro compagnie.

La compagnia, anche se suddivisa in quattro squadre, era la più piccola unità che poteva essere dotata di autonomia. Le squadre infatti non erano comandate da ufficiali bensì da un sergente ed un caporale.

La numerazione delle compagnie era unica a livello di reggimento e quindi, ad esempio, l'8a compagnia era la quarta compagnia del secondo battaglione. Ogni squadra era composta da una trentina di elementi per cui la compagnia poteva avere dai 120 componenti in su.

Dopo la partenza da Quarto, durante la sosta a Talamone, il 7 maggio 1860 Garibaldi organizzò i Mille secondo lo schema già utilizzato per i Cacciatori delle Alpi, per cui suddivise i volontari in sette compagnie formate da 130 a 150 uomini ciascuna. Gli uomini che avrebbero partecipato alla diversione comandata da Zambianchi formavano l'ottava compagnia.

La formazione della 15A Divisione Türr

La 15A Divisione fu formata da Garibaldi in Sicilia, nel giugno 1860, dopo la presa di Palermo e fu posta sotto il comando del generale Stefano Türr. Essa rappresenta il primo nucleo dell'Esercito meridionale.

Garibaldi, in seguito alle discussioni tenute per l'organizzazione del suo esercito, deliberò che esso fosse una continuazione dell'armata Sarda, e siccome l'ultima divisione di questa era la 14A, così egli diede alla sua Divisione il numero 15.

La costituì di due Brigate e nominò Türr Comandante in Capo, affidandogliene l'organizzazione col seguente Decreto:

Palermo, 8 giugno 1860.
Il Colonnello Türr è incaricato di organizzare una Divisione, composta di due Brigate, ed ogni brigata di quattro battaglioni. In tale organizzazione sia coadiuvato dal Capo di Stato Maggiore principalmente, e da tutt'i Capi dei Corpi per l'armamento, abbigliamento, personale ecc.

G. GARIBALDI

Le vicende della 15A Divisione sono narrate nel libro Storia della 15A divisione Türr nella campagna del 1860 in Sicilia e a Napoli, pubblicato a Firenze nel 1876 [1] e scritto da Carlo Pecorini Manzoni che, dopo essere partito da Quarto con i Mille ed aver partecipato alla presa di Palermo, fu assegnato a questa Divisione.

Il libro è molto interessante e dettagliato e riporta anche un appendice ricca di documenti. L'ho utilizzato per scrivere queste pagine anche riprendendone ampi brani.

Gli uomini per formare il primo nucleo dei quadri della Divisione furono scelti principalmente dai Mille, che si erano ridotti appena a 600, mentre circa 500 erano caduti morti o feriti. Il comando della 1° Brigata fu dato a Bixio, ed il suo nucleo venne costituito dalle prime quattro Compagnie dei Mille, dai primi arrivati alla spicciolata dall'Alta Italia dopo la resa di Palermo, e da una scelta di squadriglieri Siciliani (forza complessiva 400 uomini circa).

Il nucleo della 2° venne costituito dalle seconde compagnie dei Mille, da altri arruolati formante un complessivo di 536, ed il comando fu tenuto dal Türr nel tempo stesso che teneva il comando della Divisione; a Capo di Stato Maggiore fu destinato il Maggiore Spangaro. La forza della intera Divisione era quindi di 936 volontari circa.

Garibaldi voleva anche organizzare la Guardia Nazionale come difesa dell'ordine interno e come scuola di armi per i volontari siciliani. Anche l'incarico della formazione della Guardia Nazionale cadde sopra Türr in qualità di Ispettore Generale delle forze.

Il 10 giugno Türr aveva già organizzato i quadri della Guardia Nazionale di Palermo in cinque Legioni ed aveva fatto nominare da Garibaldi diversi Comandanti, dietro la proposta del Comandante in Capo Barone Nicolò Turrisi Colonna. Ma l'arruolamento dei volontari siciliani andava a rilento per cui Garibaldi, per riaccendere gli spiriti dei giovani, pubblicò un proclama, in data 12 giugno, con il quale ricordava gli sforzi eroici dei Palermitani, quando la metropoli era minacciata dall'assalto di un nemico potente ed accanito e li esortava ad arruolarsi nella milizia cittadina.

Türr cercò anche la cooperazione dell'aristocrazia palermitana della quale vari componenti si arruolarono nella sua divisione ma maggiori difficoltà incontrava l'arruolamento militare al quale i Siciliani avevano una ripugnanza invincibile, per cui, all'apparire del Decreto di una leva, accorsero deputazioni dai Comuni, implorando di non arruolarsi i loro figli che lavoravano nei campi. Garibaldi che non voleva bruscamente rompere contro questi sentimenti radicati nel popolo, volle contentarli e dichiarò che, durante le operazioni di raccolta nelle campagne, restava sospeso il reclutamento.

Intanto da Genova non arrivavano ancora soccorsi di uomini, solo da Malta giungevano 1500 fucili portati da Nicola Fabrizi e 1700 da Genova per la via di Marsala, portati da Agnetta. Garibaldi custodiva la capitale, mentre altri punti importanti dell'isola erano occupati dai borbonici. A far più grave questa situazione si aggiunse la notizia della cattura dei due battelli l'Utile e il Charles Georgy, sui quali era imbarcata la spedizione del Maggiore Clemente Corte, che furono condotti a Gaeta da navi napoletane.

Nella mattina del 19 giugno tutte le preoccupazioni di Garibaldi furono dissipate dalla notizia dello sbarco di Medici sulla vicina costa di Partinico con forte aiuto di uomini e di armi. Malenchini arrivò con lui con i toscani annunziando l'arrivo di Cosenz. L'arrivo di Medici pose Garibaldi nella condizione di compiere i suoi piani riguardo alla Sicilia scacciando il resto dell'esercito borbonico che occupava la parte orientale dell'Isola e consolidando il nuovo ordine di cose nell'interno.

Per fare ciò suddivise le sue forze in tre colonne: la prima, agli ordini di Medici, doveva marciare per il litorale fino a Milazzo con obiettivo Messina; la seconda, al centro, condotta da Türr con la 2° Brigata della sua Divisione doveva passare per Misilmeri, Villafrati, Alia, Caltanissetta sempre diretta a Messina e la terza all'estrema destra con la 1° Brigata della Divisione Türr, al comando di Bixio, doveva marciare su Corleone, Agrigento, Catania e poi verso Messina, cosicchè tutte le forze non avevano che un solo obiettivo: la punta del Faro.

Di queste tre colonne, la seconda e la terza avevano una missione più che militare, politica: ristabilire l'ordine gravemente compromesso nel cuore dell'isola, piantarvi il Governo Dittatoriale al nome di Vittorio Emanuele, rinvigorire la fede nei dubbiosi, scuotere gl'indifferenti, trascinarsi dietro una massa di volontari con la forza dell'entusiasmo.

In attesa della partenza i componenti della Divisione Türr fornivano le guardie interne e tutti posti di osservazione all'esterno della città di Palermo: facevano prima questo servizio la 7° e la 9° Compagnia della prima brigata, poi la 6° e la 8° e ciò dal 2 giugno al totale imbarco delle truppe borboniche (avvenuto il 17 giugno 1860).

Il 20 giugno, la Divisione riceveva ordine di tenersi pronta a partire ed in questo frattempo veniva aggiunta alla 15A Divisione una compagnia cosiddetta Estera, formata in gran parte da soldati che avevano disertavano dai Cacciatori Esteri dell'esercito napoletano e che fu posta sotto il comando del Capitano Wolf.

Dal 20 giugno al 1 luglio 1860

Il 20 giugno la 2° brigata, nelle ore pomeridiane, si disponeva in ordine di battaglia sulla piazza del Palazzo Reale prima della partenza. Ai tre battaglioni che la componevano, venivano aggiunti due pezzi di artiglieria (comandante tenente Prenci) e partiva con la brigata lo Stato Maggiore della Divisione, il personale dell'Intendenza militare ed il corpo sanitario, tutti sotto il comando del generale Türr munito di poteri larghissimi indispensabili per la sua missione. La prima brigata Bixio continuava a rimanere in Palermo fino a tutto il 25.

Verso sera del giorno 20, Türr con la seconda brigata, accompagnato dagli evviva dei palermitani, usciva da Porta Termini e prendeva la via di Misilmeri, ove giungeva a notte avanzata. Questo arrivo non produsse una felice impressione sugli abitanti di Misilmeri, i quali supponendo che vi si andava per una reclutazione forzata, cambiarono nel più broncio silenzio gli evviva e le feste che il giorno 26 maggio avevano fatto all'armata garibaldina. Questa brigata rimaneva in Misilmeri il 21 e 22. Si facevano arruolamenti di volontari che venivano ripartiti nei diversi battaglioni.

Nelle ore pomeridiane del 22 si dava ordine di partenza; la brigata schierata fuori del paese sulla strada consolare, seguita dall'artiglieria e dai carri che trasportavano gli effetti della truppa, si poneva in marcia seguendo la via consolare, attraversava Ogliastro e si accampava un miglio circa da questo paese dove passava la notte.

Intanto le fatiche eccessive di Türr nei combattimenti e nell'organizzazione in Palermo, cominciavano a produrre i loro frutti: le forze gli mancavano, la febbre lo tormentava, la ferita riaperta gli sanguinava [2] e malgrado ciò non volle separarsi dai suoi soldati.

Sul far del giorno la seconda brigata riprendeva la marcia e giungeva verso le otto di mattina a Villafrati, dove veniva accantonata in diverse case e lasciata in riposo per quella giornata. Qui la malattia del Generale Türr si aggravò con vari sbocchi di sangue per cui si dovette fare una sosta di tre giorni dal 24 al 26

Intanto giunse in Villafrati un malfattore che tanto fece parlare di sé in quei giorni. Era costui seguito da sei compagni tutti a cavallo e comportandosi come un patriota attraversò il villaggio passando imperterrito sotto l'abitazione del generale Türr dove, in quel momento, si trovava il celebre Alessandro Dumas.

Il generale diede ordine al tenente Carbone suo ufficiale di ordinanza, di vedere cosa fosse questa gente armata. Carbone montò a cavallo e raggiunse la comitiva, a cui rivolse la preghiera di tornare indietro per ricevere gli ordini del generale. Il capo si negò bruscamente, al che l'ufficiale trasse il revolver e con questo argomento se lo cacciò avanti con i suoi compagni e lo condusse innanzi a Türr.

Essendo questi malato giaceva sdraiato sopra un letto; quando entrò il capo di quella comitiva, i loro occhi s'incontrarono e così si parlarono: Oh! tu sei Santo Mele, disse il generale. Ma io non vi conosco, Generale! rispose Santo Mele. Ma io sì che ti conosco; tu rubasti la cassa di Santa Margherita, assassinasti e saccheggiasti un orefice a Corleone, incendiasti il villaggio di Calaminia, fosti prigioniero a Renne, e fuggisti dalle mani di Santanna a cui eri consegnato.

Subito Türr ordinò la riunione di un Consiglio di guerra per giudicarlo. Il Consiglio fu tosto riunito, lo presiedeva il maggiore Spangaro. Santo Mele rigettò nel suo interrogatorio ogni accusa di brigantaggio, confessò di aver fatto la guerra in banda armata, ma come tutti i patrioti, che, dopo gli eccidi della Gancia, lasciarono i loro paesi per scorrere la campagna e combattere il governo dei Borboni; lui avere imposto taglie ai Comuni come requisizione di guerra per mantenere la sua guerriglia, aveva ucciso delatori e reazionari ma non patrioti, aveva incendiato case di realisti, dalle quali gli si tiravano fucilate.

La sua bandiera era stata, dal 5 aprile, la tricolore ed aveva agito per autorizzazione del Comitato rivoluzionario di Palermo. Al suo interrogatorio franco e fermo, aggiungeva la consegna di un fascio di attestati di patriottismo e di onoratezza rilasciatigli da diversi Municipi.

Furono chiamati molti testimoni, ma nessuno ebbe la fermezza di deporre il vero sul conto di Mele; egli era temutissimo in quei dintorni, i suoi delitti gli avevano procurato una truce popolarità che gli era di difesa in quel terribile momento.

Il Consiglio di guerra, dopo due giorni di seduta, non trovò abbastanza provati i fatti e rinviò l'accusato per una nuova inchiesta a Palermo, dove le sue colpe furono largamente provate e fu, per sentenza di un altro Consiglio di guerra, passato per le armi.

In quegli stessi giorni il comune di Prizzi molestato da una squadra simile a quella di Mele, domandava il soccorso di forze militari per garantire la proprietà e la vita dei cittadini. Il Generale Comandante la Divisione aderiva prontamente alla domanda e spediva il giorno 26 a quella volta il battaglione comandato dal maggiore Bassini, che pose in riguardo la gente di malaffare e rassicurò il paese dal suo giusto terrore.

Frattanto nello stesso giorno il brigadiere Bixio colla sua brigata partiva da Palermo dirigendosi a Piana dei Greci dove vi rimaneva il 27. Garibaldi volle che suo figlio Menotti facesse parte di quella spedizione e lo consegnò a Bixio come pegno della sua fiducia. Il Dittatore informato dagli amici di Türr del suo vero stato di salute, gl'impose, come amico e come superiore, di tornare a Palermo ed intanto mandava a comandare la brigata il più caro amico di Türr e suo compatriota: il colonnello Eber.

Il colonnello Eber nel giorno 27 prese il comando della Brigata in Villafrati e con suo ordine del giorno avvisava dei rigorosi castighi che sarebbero inflitti a quei volontari che avessero mancato alla disciplina. Cogli arruolamenti fatti nei giorni di permanenza in Villafrati, la forza della brigata ebbe un considerevole aumento.

Alle cinque pomeridiane dello stesso giorno la colonna con lo stato maggiore della Divisione, ambulanza ed intendenza si metteva in viaggio seguendo la consolare ed a notte avanzata accampava nelle vicinanze di un antico castello denominato Morgana ed il 28 rimessasi in marcia di buon mattino valicava il Monte Vicari, poi scendeva nella valle e fatta una breve deviazione dalla strada consolare, giungeva a Rocca Palomba dove veniva accantonata alla meglio nelle chiese e negli edifizi comunali.

Qui si riuniva alla brigata il battaglione Bassini che, come si è detto, era partito il 26 per Prizzi. Alle cinque del pomeriggio del giorno successivo la brigata si metteva in cammino per Allia dove giungeva a notte avanzata.

La brigata rimaneva in riposo tutto il 29; l'ordine del giorno prescriveva la partenza per l'indomani. La 1° brigata Bixio arrivava il 28 a Corleone, ove restava fino al 1 luglio, dopo una lunga marcia fatta sotto un cielo di fuoco nei più ardenti giorni di estate. Durante la sua permanenza tutte le ore venivano impiegate alle istruzioni di compagnia e di battaglione ed a tutti i provvedimenti di amministrazione, atti ad organizzare un buon sistema militare.

Il 30 giugno la brigata Eber con una marcia di parecchie ore, seguendo la via Consolare, giungeva verso le otto di mattina a Vallelunga dove i soldati riposavano per poco tempo. Alle cinque di pomeriggio riprendeva la marcia seguendo la stessa via per la salita di Landro e giungeva ad accamparsi alla Cascina Postale dove sostava alcune ore. Ripartiva ed arrivava a Santa Caterina la mattina del 1 luglio e veniva alloggiata e lasciata in riposo l'intero giorno.

Il Sindaco di Resotano domandava truppa per frenare i disordini che giornalmente si verificavano in quel paese. Il colonnello Eber vi inviava il battaglione Bassini. L'ordine del giorno fissava la partenza per l'indomani alle tre antimeridiane.

Dal 2 al 24 luglio 1860

La brigata Bixio che al 1 luglio si trovava a Corleone, passò il 2 a Contessa e allo scopo di aumentare la forza della Divisione e di dar sostegno alle autorità preposte al nuovo ordine di cose, si decideva che mentre il forte delle due brigate muoveva direttamente per grossi centri, alcune frazioni di esse percorressero i vari paesi sparsi qua e là, per cui Bixio da Contessa distaccava una frazione che percorreva Bivona, Santo Stefano, San Giovanni e Casteltermini mentre il grosso della colonna continuò per Villafranca e Cattolica.

La brigata Eber da Santa Caterina si poneva in marcia: lasciava che l'artiglieria ed i carriaggi prendessero la lunga via postale e per sentieri giungeva prestissimo a Caltanissetta dove le principali autorità, la guardia nazionale preceduta dalla banda e distinti cittadini uscivano a qualche chilometro ad incontrare questa parte dell'esercito liberatore. Le feste e gli applausi furono indicibili

La truppa era alloggiata nell'ex-convento dei Gesuiti. Il maggiore Bassini, partito col suo battaglione il 1 luglio da Santa Caterina, rimontando la strada fatta nella direzione di Vallelunga, accompagnato dai volontari a cavallo del suddetto Comune, arrivava a Resotano verso mezzanotte, dove trovava la popolazione armata in atteggiamento di difesa, sicché egli, con le debite precauzioni, entrava in paese e procedeva all'arresto di undici individui maggiormente indiziati di complicità nei fatti avvenuti nei precedenti giorni ed un compagno di costoro fu ucciso dai volontari a cavallo mentre tentava difuggire.

La sera del 2 luglio, dopo aver ristabilito l'ordine, il battaglione lasciava Resotano e si metteva in marcia per Caltanissetta, dove arrivava il 4 luglio. Durante la permanenza in quella città, la truppa veniva esercitata due volte al giorno e si approfittava di quella sosta per attendere all'organizzazione della brigata sia militarmente, sia amministrativamente; si apriva un ufficio di arruolamento e si organizzava la musica con i volontari della città.

Veniva sottoposto al Consiglio di guerra per insubordinazione il soldato Giuseppe Steinger appartenente alla compagnia estera. Anche da questa brigata una frazione, comandata dal tenente Gamelin, muoveva l'8 luglio a mezzogiorno e toccando Pietrapersia, Barrafranca e Piazza, doveva arrivare a Caltagirone, da dove,dopo breve sosta, passando per Granmichele, Minco, Militello, Scordia-Romana, doveva raggiungere la colonna in Catania.

Una seconda frazione di questa stessa brigata, comandata dal tenente Secondi, toccando Villarosa, Calascibetta, Leonforte, Nicosia, San Filippo d'Argirò, doveva anche essa raggiungere la brigata a Catania.

Una terza frazione, comandata dal tenente Carini, doveva pure, precedendo la colonna sulla via di Catania, passare per Bronte, Randazzo, Linguaglossa, e trovarsi quindi col resto della brigata a Catania.

Tutti i comandanti di siffatte frazioni avevano ricevuto opportune istruzioni dallo Stato Maggiore della Divisione. Rimaneva in Caltanissetta il capitano Forte, per non lasciare senza capo un numero piuttosto rilevante di volontari ammalati, ricoverati in quell'ospedale.

Il grosso di questa brigata muoveva il 9 luglio da Caltanissetta per Castrogiovanni alle quattro antimeridiane con l'artiglieria ed i carriaggi; un ordine del giorno del Comando generale regolava la marcia e raccomandava ai capi di battaglione il mantenimento dell'ordine e della disciplina.

In questa marcia la colonna attraversava sentieri disastrosi, solo l'artiglieria ed i carri correvano la strada consolare, per modo che i volontari arrivavano a Castrogiovanni assai affaticati. Venivano ad incontrarli, a pochi chilometri fuori del paese, le autorità municipali con la musica. La truppa riceveva una straordinaria razione di viveri e di vino, quindi veniva ricoverata nei quartieri a tal scopo predisposti.

La brigata Bixio il 10 luglio marciava ancora per riunirsi in Agrigento (allora chiamata Girgenti). Nello stesso giorno la brigata Eber riposava a Castrogiovanni ed in vista delle necessità in cui versavano i soldati per mancanza di vestiario, si mandava una Commissione di tre ufficiali con mezzi straordinari in Catania per provvedere.

Giungevano da Caltanissetta nuovi arruolati spediti dai comandanti le frazioni volanti più sopra ricordate. L'artiglieria ed i carriaggi lasciati dalla colonna sulla consolare, riceveva ordine, al fine di evitare la salita a Castrogiovanni, di fare sosta al fondaco Misericordia e quindi proseguire per Leonforte.

La brigata Bixio l'11 arrivava ad Agrigento e vi si fermava cinque giorni; la brigata Eber muoveva da Castrogiovanni per Leonforte attraversando, come nella precedente marcia, disastrosi sentieri per abbreviare il cammino e giungeva verso le otto di mattina a Leonforte dove veniva alloggiata in appositi locali.

Lo stesso giorno alle due di notte la brigata Eber si metteva in marcia per San Filippo d'Argirò, dove arrivava verso le nove di mattina e dopo un riposo di poche ore, si metteva in cammino per Regalbuto preceduta dall'artiglieria arrivandovi verso le undici di sera dove veniva festeggiata dalla popolazione.

Alle tre di pomeriggio del 13 si metteva in marcia ed alla notte giungeva in Adernò, da dove partiva il 14 alle cinque di pomeriggio e dopo una breve sosta in Paternò, giungeva alla mattina del 15 a Catania, incontrata dalla guardia nazionale, dalle autorità del paese e da numerosa popolazione. Servivano di alloggio alla truppa alcuni conventi all'uopo predestinati. Questa brigata rimase per 10 giorni in Catania.

A Catania si stavano organizzando un gran numero di volontari sotto il comando del colonnello Nicolò Fabrizi, ma poiché lo stesso fu destinato al comando di un corpo di squadre siciliane che dovevano operare sopra Milazzo, i medesimi furono incorporati nella brigata Eber, che con questo contingente ripartito in tutti i battaglioni e con gli iscritti dall'ufficio di arruolamento otteneva tale aumento di forza da formare un altro battaglione, al cui comando veniva destinato il capitano Tasca.

Intanto rientravano alle loro compagnie gli uomini spediti dall'ospedale di Caltanissetta, come pure faceva ritorno al corpo il capitano Forte, che veniva subito destinato a comandante l'ospedale militare di Catania. Si aumentava l'artiglieria con quattro pezzi da montagna e si organizzava una sezione del Genio sotto il comando del luogotenente Arnoldi, come pure un distaccamento di guide a cavallo.

La brigata Bixio il giorno 16 era a Licata ed il suo comandante pensò di non continuare le marce per terra, ma di imbarcarsi con le sue truppe, sia per averle più fresche all'avvicinarsi di Catania, dove pensava d'incontrarsi con qualche corpo dell'armata borbonica, sia perché aveva saputo che, alla rada di Vittoria, era naufragato ed era stato saccheggiato un legno mercantile.

La brigata Bixio sbarcò a Terranova, dove ebbe sole 24 ore di riposo: di là partiva per Niscemi, risaliva a Caltagirone, dove, dopo un giorno di riposo, marciava per Palagonia e Catania dove non trovò truppe nemiche da combattere, ma feste, fiori, musiche, allegria ed entusiasmo.

La marcia di queste brigate contribuì moltissimo a sistemare il nuovo ordine di governo, a sollevare l'elemento liberale, a porre in freno gli insani tentativi di disordine e di ritorno al passato e si deve considerare come un germe fecondo del riordinamento dell'isola.

A Catania giungeva la notizia che una colonna borbonica era uscita da Messina, per cui il colonnello brigadiere Eber faceva partire da Catania nella direzione di Taormina, la Compagnia estera comandata dal capitano Wolf sotto la direzione del capitano di Stato Maggiore Adamoli.

Raggiungeva la brigata in Catania la 1° frazione distaccata da Caltanissetta. L'ordine del giorno del 24 luglio fissava la partenza della Brigata Eber per Messina; rimaneva per altro in Catania la compagnia del Genio, l'Ambulanza, alcuni uomini dell'artiglieria comandati alla munizione e la commissione per il vestiario.

Circa alle sei di pomeriggio muoveva la Brigata Eber da Catania e dopo alcune ore di marce giungeva in Acireale, accolta festosamente dalla popolazione. Il capitano Adamoli spedito in ricognizione con la Compagnia estera nella direzione di Taormina, avendo constatato insussistente la notizia che la colonna borbonica era uscita da Messina, ne ragguagliava il comando della Brigata, dal quale ebbe ordine di continuare la marcia e di attenderla in Acireale, dove si congiungeva anche la seconda frazione distaccata da Caltanissetta.

Dal 25 luglio al 15 agosto 1860

Il 25 luglio la Brigata Eber ripigliava la marcia e con qualche ora di riposo a Giarre, da Acireale giungeva a mezzanotte in Giardini dove si fermava tutto il 27. Riprendeva il cammino la mattina del 28 e dopo poche ore di sosta nelle vicinanze di Scaletta muoveva per Messina dove si acquartierava alla sera nei locali all'uopo predisposti.

La sezione del Genio e l'Ambulanza affrettarono la marcia e poterono entrare unitamente alla Brigata in Messina. Questa Brigata dopo 39 giorni avendo percorso 234 miglia raggiungeva Messina e vi arrivava nel giorno stesso in cui il generale De Clary stipulava con il generale Medici lo sgombero della città e dei forti.

In Messina la Brigata Eber era alla dipendenza del Comandante Generale Territoriale e concorreva perciò con le altre truppe al servizio di piazza e forniva per turno gli avamposti alla spianata della cittadella; l'artiglieria andava distaccata al Faro. Apposito ordine fissava l'orario delle istruzioni in Piazza d'armi ed in quartiere; poiché i volontari erano stati provveduti di tutti gli oggetti di cucina, si faceva il rancio e conseguentemente cessava la somministrazione dei viveri in contanti, il che diede origine a malcontento ed a qualche disordine e diserzione; ma alla fine si riuscì a mantenere fermo l'introdotto indispensabile sistema, che nel torre gli abusi fondava in mezzo alle masse le regole di militare disciplina.

Richiamata alla sede del Corpo la Commissione di abbigliamento che sedeva in Catania, la stessa giungeva in Messina e con essa la 3° Sezione volante partita da Caltanissetta comandata dal tenente Secondi, la quale nello stesso tempo serviva di scorta ai carri dove si trasportava il vestiario, le armi e le munizioni che dovevano entrare nel magazzino della Brigata.

Giungevano in quei giorni da Palermo 200 volontari e con questi e con quelli arruolati dal tenente Secondi nei paesi toccati lungo le marce, si formava un battaglione Bersaglieri armati di carabine inglesi, al cui comando veniva designato il capitano Tanara. Arrivava ancora da Palermo ad ingrossare la 15A Divisione Türr un nucleo della Legione Ungherese.

Il generale Bixio durante quel tempo si trovava in Catania, dove gli giunsero orrende notizie: il vicino paese di Bronte ardeva d'incendi, di stragi, di rapina e dei più orrendi furori di una guerra civile, alimentata da odi antichi di famiglie, di vendette covate per anni e spietatamente perpetrate.

Era a capo il Sindaco, il grido d'allarme spaventò le vicine contrade, ma il contagio divampò nei circostanti paesi di Randazzo, Castiglione, Linguaglossa, Melito; Bixio non era uomo da indietreggiare: corre a Bronte con un battaglione, vi proclama lo stato d'assedio, arresta i capi e i sei riconosciuti capi ed istigatori furono condannati a morte da un Consiglio di guerra e fucilati mentre i complici furono rimessi al Tribunale di guerra di Messina per essere giudicati.

Bronte ammutolì esterrefatto e Bixio passò per Randazzo, Linguaglossa, Castiglione, Melito, apportandovi con l'istantaneo terrore l'ordine e la sicurezza. Intanto gli stessi moti cominciavano a rumoreggiare in Cesarò: il Consiglio municipale gli scrisse supplicando aiuto, al quale egli rispose convenientemente e dopo ciò volle farsi vedere a Cesarò, e di là scrisse al governatore di Catania una lettera, tornando quindi in Randazzo.

L'istantanea ed inesorabile repressione di Bixio sollevò un grido di spavento in quei luoghi: i nemici della libertà ed i fautori segreti di quel fuoco civile lo colsero per tramandare il nome di Bixio come di una belva asetata di sangue. Ma la storia non raccolse coteste scellerate calunnie: Bixio sotto la crosta di un burbero marinaro, aveva un'anima inaccessibile alla ferocia ed alle crudeltà. Bixio subì quelle orrende necessità di salvare migliaia di vittime innocenti con il sacrificio di pochi scellerati. Se Bixio non avesse soffocato al primo scoppio quell'incendio, se Türr non avesse colpito, nella persona di Santo Mele, il simbolo della guerra civile, il sangue italiano sparso a Calatafimi, a Palermo, sarebbe servito per caparra al ritorno dei Borboni nell'isola.

Sette giorni dopo arrivava al Faro superiore il maggiore Pellegrini con il rimanente della Brigata, meno il maggiore Chiassi che dal Prodittatore Depretis era stato inviato con due compagnie a Monreale per ristabilirvi l'ordine turbato da alcuni briganti e reazionari.

Il 2 agosto si recò il maggiore Chiassi a Monreale dove trovò altre due compagnie del Battaglione siciliano, maggiore Firmaturi ed attivò un rigoroso servizio di pattuglie in città e di perlustrazioni in campagna, in una delle quali fu sorpreso dal sergente Pellegrini un brigante in flagranza di aggressione. Arrestato con le armi alla mano, fu deferito ad una Commissione mista, condannato a morte e fucilato.

Restituito l'ordine il Chiassi tornò a Palermo, da dove imbarcate sul Franklin le sue due compagnie, volse per l'estremo oriente dell'Isola, circuendo il lato ovest e sud per le coste di Trapani, Marsala, Girgenti, Siracusa, Catania, e pervenne in Giardini proprio in un felice momento per unire le sue forze a quelle di Bixio, rinforzare con queste la spedizione in Calabria e fornire il Franklin all'imbarco già preparato.

Nella notte fra l'8 ed il 9 di agosto una compagnia della Brigata Sacchi attraversò lo stretto di Messina con lo scopo di prendere di sorpresa il Forte di Torre Cavallo ma il colpo di mano non riuscì. Se si fosse raggiunto lo scopo di prendere il forte, le artiglierie dello stesso, dopo un segnale già convenuto, avrebbero cominciato il fuoco, che secondato dalle artiglierie situate al Faro inferiore, avrebbero impedito alle fregate napoletane di passare oltre all'altezza del Faro medesimo ed avrebbero protetto lo sbarco che Garibaldi aveva deciso di eseguire l'indomani all'alba con le forze che aveva già concentrato sulla spiaggia.

La Brigata Eber a tale scopo era partita da Messina la mattina del 9 ed era accampata alla Fiumara della Guardia dove d'ordine di Garibaldi si aggregarono alla stessa i battaglioni La Porta, Bentivegna e Ponesberg ma. riuscito vano il tentativo, si dovette rimandare lo sbarco e la Brigata Eber fece ritorno a Messina.

Dal 16 agosto al 13 settembre 1860

Il 16 agosto tornato Garibaldi a Palermo vi trovò il Generale Türr venuto dai bagni di Aix-les-Bains quasi ristabilito e andarono insieme a Messina. La 15A Divisione Türr della forza complessiva di 4261 uomini occupava all'arrivo del suo Generale i dintorni di Messina e di Catania, cioè la Brigata Bixio tra Taormina e Giardini ed Eber Messina, la Divisione Medici con la Brigata Simonetti ed il Reggimento Dunn pure Messina all'estrema destra, mentre la Divisione Cosenz e la Brigata Sacchi tenevano Capo Faro all'estrema sinistra.

Garibaldi, la mattina del 19, arrivando col generale Türr a Messina andava insieme a lui a Giardini dove la 1° Brigata (Bixio) della 15A Divisione Türr si preparava all'imbarco unitamente con altre truppe. Garibaldi diede ordine a Türr, che pure voleva partire per la Calabria, di ritornare a Messina, onde, con Sirtori, Cosenz e Medici, preparare lo sbarco degli altri uomini sul continente e prima di ogni altra cosa recarsi a Milazzo per aggiungere alla sua Divisione i volontari della dismessa spedizione Bertani-Pianciani affinché non si sparpagliassero, cosa non improbabile, stante il disgusto che tuttora provavano per essere stata mutata la loro destinazione su Roma per la quale erano fanatizzati.

Türr ritornò a Messina, informò Sirtori, Medici e Cosenz che il Dittatore partiva con Bixio per sbarcare in Calabria, quindi si recò a Milazzo; ivi giunto il Colonnello Rüstow mise in ordine la truppa e Bertani intervenne alla rivista. Appena il generale Türr arrivò sul fronte della truppa, questa si diede a gridare: «Andiamo a Roma!... Vogliamo Roma!...»

Aperte le righe il generale Türr passava lentamente la rivista, quindi disse: «In Sicilia comanda il Dittatore Garibaldi, la truppa marcia secondo i suoi ordini, ed a chi ciò non piacesse, non ha altro a fare che abbandonare l'isola». E queste parole bastarono a temperare l'ardore negli animi di quella generosa gioventù.

Diede quindi ordine a Rüstow di partire con tutti per Torre di Faro ed egli si recava lo stesso giorno a Messina e si preparava al passaggio in Calabria. Il Corpo della spedizione di Bixio a Giardini si imbarcava il 19 sul Franklin e sul Torino ed era composto dalla 1° Brigata (Bixio) Divisione Türr formata da 800 volontari che erano partiti con Bixio da Palermo; 700 siciliani da lui reclutati lungo le sue marce; la Brigata Eberhardt di 2000 uomini, due Compagnie del battaglione Chiassi (Brigata Sacchi) di 300 uomini. In tutto 3500 garibaldini imbarcati sopra due vapori che appena bastavano a 2000.

La notte del 19 Garibaldi con Bixio salpò dirigendosi a nord-est verso il Capo delle Armi; all'alba del 20 i due vapori accostarono verso terra, ma il Torino sia per disaccortezza, sia per malizia del capitano investì nell'arena e vi rimase. Lo sbarco fu eseguito immediatamente ed il Franklin avendo tentato invano di trainare il Torino si salvò alle coste dell'isola, mentre due legni della crociera napoletana scorto il Torino alla spiaggia, corsero per catturarlo e lo tempestarono di cannonate ma ben presto si accorsero di non uccidere nessuno, per cui i marinai regi sfogarono l'ira entrando nel bastimento e devastandolo.

Frattanto la colonna di Garibaldi che aveva preso la grande strada lungo la costa, volgeva verso Reggio ed al pomeriggio del 20 l'avanguardia della Brigata Eberhardt si scontrava con gli avamposti napoletani, i quali le fecero toccare qualche perdita mentre la crociera la mitragliava a sinistra.

Garibaldi avvisava la compagnia Sacchi e gli altri volontari, che stavano con Missori e Musolino in San Lorenzo, del suo sbarco ed ordinava loro di raggiungerlo, come effettivamente lo raggiunsero la mattina del 20 sulla sommità dei monti, dava ordine che andassero a Melito. Bixio dopo di avere occupato Melito, fattosi padrone del telegrafo, si spinse a destra verso i monti per non venire inviluppato dalle forze nemiche sullo stradale Melito-Reggio.

La notte dei 20 bivaccò. Avanti giorno del 21 marciò per Lazzaro, dove fece sosta, la sera ripartì verso Reggio nella speranza di occuparlo con un colpo di mano. Il castello di Reggio era comandato dal generale Gallotti vecchio residuo dell'esercito di S. M. Siciliana durante il primo Impero, uomo irresoluto ed incapace di vigorosi partiti.

Nella città comandava le truppe il colonnello Dusmet soldato valoroso e fedele. Egli che in tanto pericolo ed in tanta universale trepidanza nessun ordine preciso potè ricevere dal Comandante del castello, aveva preso posizione nel largo dell'Arcivescovado ed aveva spinto gli avamposti verso San Filippo. In questa posizione rimase tutta la notte del 21, quando all'alba del 22 udì delle grida d'allarme: erano i suoi avamposti che segnalavano l'approssimarsi dei garibaldini, i quali per diverse vie guidati da patrioti reggiani, si avanzavano cautamente cercando di aggirare le posizioni dei borbonici, e circondarli.

Il colonnello Dusmet, al grido di Viva il Re, ordinò il movimento delle sue truppe, quando i garibaldini sboccando da diverse parti verso il largo, si lanciarono all'attacco. Un fuoco di fucileria frequente si scambiava sul grande stradale e sulle vie che dal largo discendono al mare, l'oscurità copriva assaliti ed assalitori, la confusione governava tutti i movimenti, da diverse case si tirava sul largo e si uccidevano amici e nemici.

Bixio si precipita in mezzo a quella fitta grandine, una palla lo ferisce nel braccio, 19 proiettili gli uccidono il cavallo, quand'ecco il maggiore Chiassi della brigata Sacchi sbocca da una via laterale ed investe i borbonici ai fianchi, una palla ferisce mortalmente il colonnello Dusmet, accorre il figlio per raccogliere fra le braccia il morente e cade anch'egli gravemente ferito. La morte del capo, la mancanza di comando, l'intervento armato dei cittadini, l'ardito attacco dei garibaldini finivano per porre il disordine nelle truppe borboniche di piazza Arcivescovado, le quali cessarono di difendersi lasciando la città in mano dei garibaldini.

Garibaldi non stette ad inseguire i napoletani, ma tolta con sé la brigata Eberhardt salì l'altura per riuscire a dominare il castello; bastò il suo apparire, che questo levò bandiera bianca, e scese a patti di resa. Il Dittatore lasciò Bixio per intendersi col Comandante, mentre egli istituiva la Prodittatura a nome d'Italia e di Vittorio Emanuele e nominava a Prodittatore il colonnello Antonino Plutino, provato patriota che dall'esilio lo aveva seguito fra i Mille di Marsala.

Bixio, nello stesso giorno, stipulava con il generale Gallotti la convenzione di resa mediante la quale cadevano in mano di Garibaldi 8 pezzi da campagna, due di grosso calibro, sei da trenta, 14 mortai, altri 8 pezzi grossi e 5000 fucili con le relative munizioni, quindi trasmetteva a Sirtori Capo dello Stato maggiore Generale, un interessante rapporto intorno a tutte le fazioni militari dallo sbarco a Melito alla capitolazione dei forti di Scilla ed Alta Fiumara.

Intanto Garibaldi non dava tempo al nemico di riaversi dallo sbalordimento e riorganizzarsi e a grandi marce con parte della divisione Türr (brigata Bixio) e Cosenz (brigata Eberhardt) attraversava Bagnara e Palmi, sperando di finire la lotta in Monteleone, mentre altre truppe della 15A divisione sbarcate tra Bagnara, Scilla e Tropea, lo seguivano a marcia forzata e lo raggiungevano alle pianure di Maida.

Il 26 muovevano da Milazzo per Messina, dopo sette giorni di permanenza in quella città, le brigate Puppi, Milano, Spinazzi (divisione Türr). Intanto la brigata Eber alle otto di mattina del 27 era in Rosarno e si accampava al di là del paese. Si rimetteva in marcia alle sei di pomeriggio per Mileto dove giungeva alle undici di sera e si accampava sulla strada di qua del paese. Il 28 alle sei di mattina la brigata Eber partiva da Mileto per Monteleone ed arrivava alle nove accampavandosi al piè del monte. Alle sei di pomeriggio muoveva per Pizzo, dove giungeva alle dieci di sera e qui riceveva l'ordine di proseguire il cammino e di accamparsi al Piano dei Sorrisi (Maida) ove arrivava dopo un'ora di marcia. In questo accampamento il luogotenente Frigerio raggiungeva la brigata coi cavalli.

Questo stesso giorno arrivavano a Messina le brigate Puppi, Milano e Spinazzi che soffermavano a Gesso e partivano subito per Torre di Faro. Dal Piano dei Sorrisi partiva la colonna Eber il 29 per Maida alle due di pomeriggio e giungeva alle undici di notte, dopo aver fatto una sosta a Fiumara Randaci. Lo stesso giorno 29 giungevano a Torre di Faro le brigate Puppi, Milano e Spinazzi in attesa d'imbarco per passare in Calabria. Le brigate Milano e Spinazzi in questo stesso giorno sbarcarono a Tropea

La brigata Bixio (divisione Türr) da Reggio passava a Villa San Giovanni, dove sostava un giorno, quindi a Palmi, Rosarno, Monteleone con altro soggiorno; infine proseguì per Maida, Marcellinara e finalmente Catanzaro, dove arrivava il 29.

Il generale borbonico Ghio non potè né andare più, oltre né scegliere le posizioni a sua volontà perciò pose il suo campo intorno a Soveria Mannelli, sperando di poter forzare la strada di Cosenza prima che Garibaldi lo avesse raggiunto. Ma la mattina del 30 Garibaldi arrivava con un piccolo distaccamento ed intimata inutilmente la resa, ordinò alle bande calabresi l'attacco. Ma siccome queste erano armate di fucile da caccia, non potevano eseguire il fatale attacco alla baionetta e dovevano combattere soltanto col fuoco di fucileria e dalle loro posizioni non potevano attaccare il fronte del nemico, così il fuoco limitato a poche fucilate quasi fuori portata, non conduceva ad alcun risultato decisivo.

Sopraggiungeva a tempo da Tiriolo la 16° divisione Cosenz avanguardia garibaldina, che prendeva posizione ed arrivò anche Türr con 60 uomini di cavalleria, dato che la fanteria della divisione, ad onta di tutti gli sforzi, era assolutamente impossibile che arrivasse così presto. Ghio vedendo la forza di Cosenz e l'avanguardia della 15A divisione con lo stesso Türr, perdette ogni speranza di salvezza e riconobbe non rimanergli che aprirsi la strada in mezzo alle baionette garibaldine ed il fuoco della rivoluzione. Ma né i soldati si prestavano ad una fazione arrischiata, né egli era uomo d'assumerla, né la insurrezione era tale da potersi più dominare. Fu allora che Ghio credette necessario un Consiglio di guerra per decidere della resa, ma il tenente colonnello De Cozza ed i maggiori Armenio, Capassi e De Liguori comandante l'artiglieria si opposero alla capitolazione.

Appena cominciò lo scambio di qualche fucilata, il generale Ghio dovette piegarsi agli accordi, licenziare il suo esercito e consegnare le armi, le artiglierie, i cavalli e quanto apparteneva al suo corpo d'armata. Così spariva l'ultimo baluardo che doveva difendere il trono di Francesco II lungi dalla capitale e la strada di Napoli restava sgombra.

Il 30 agosto alle quattro di mattina la Brigata Eber riprendeva il cammino ed alle undici faceva tappa a Marcellinara e si accampava al di là del villaggio. La Brigata Puppi sbarcava a Scilla, si accampava lungo la spiaggia e dopo poche ore di riposo si metteva in marcia per Palmi, Monteleone, Pizzo. Le brigate Milano e Spinazzi, passando per Monteleone, giungevano a Pizzo la sera dello stesso giorno 30 e partivano nella notte tra il 30 ed il 31 per Paola.

Il Generale Garibaldi da Soveria lasciava la prodittatura a Vincenzo Stocco e dato incarico a Sirtori di restare per raccogliere le truppe, partiva in vettura assieme con Türr e Cosenz ed alcune guide la mattina del 31 per Rogliano, dove trovò le bande calabresi organizzate da Donato Morelli. Da Rogliano il generale Türr mandava a Bixio la seguentelettera:

Al Sig. generale Bixio Comandante la I° brigata della 15A divisione.
Dietro ordine del Generale Dittatore, il generale Bixio assumerà momentaneamente il comando delle truppe della 15A divisione che sono in marcia sulla Consolare e prenderà posto tra Rogliano e Cosenza, dove lascerà passare tutti gli altri corpi, e quindi si metterà in marcia alla coda dell'esercito. Spedirà subito a Cosenza il tenente colonnello Spangaro, il maggiore Bricoli ed il sig. Caranti: questi signori si serviranno di carrozza. Manderà pure a Cosenza i miei cavalli ed il mio bagaglio.
Rogliano, il 31 agosto 1860.
TÜRR.

Da Rogliano il Dittatore con Cosenz e Türr proseguì per Cosenza, dove pervenne l'avviso che due brigate della dismessa spedizione Pianciani, le quali fin da quando stavano a Milazzo erano state incorporate alla 15A divisione, erano sbarcate a Paola, dove Garibaldi spedì immediatamente Türr con l'ordine, se possibile, d'imbarcarle per il golfo di Policastro oppure di prendere la via di terra, per trovarsi al più presto sulla strada di Lagonegro ed avanzare sopra Salerno.

Prima di partire da Cosenza, Türr scrisse a Bixio:

Caro Bixio,
le quattro brigate Eberhardt, Puppi, Milano, Spinazzi della dismessa spedizione Pianciani e Bertani sono attaccate alla mia divisione. Oggi riceverai l'ordine del Dittatore di formare la 18A divisione sotto i tuoi ordini. La brigata Eber cogli ungheresi resteranno nella mia divisione, mandami subito, oltre i signori accennati ieri, il colonnello Teleky e Maxime du Camps. Io poi appena che ci riuniremo ti darò una brigata continentale per la formazione della tua divisione. Parto oggi stesso per Paola, dove sono arrivate due delle suddette brigate, e farò di tutto per trovare imbarco, e spingermi per il golfo di Policastro, ed ivi sbarcare.
A rivederci presto.

Cosenza, 31 agosto 1860
Tuo affez. TÜRR.

Giunto a Paola il generale Türr trovò Rüstow con le brigate Milano e Spinazzi; diede l'ordine di provvedere a tutto l'occorrente per mandare ad effetto il più presto possibile la partenza da quella spiaggia e finalmente riuscì la sera del 1 settembre sul tardi ad imbarcarsi con la sua colonna. Durante la navigazione, che si prolungò tutta la notte, usava molta precauzione perché la flotta nemica stava sempre nelle acque vicine ed all'alba del 2 settembre sbarcava a Sapri da dove mandava avviso del suo arrivo al generale Garibaldi, il quale da Cosenza era arrivato a Rotonda.

Türr, ricevuta una lettera da Garibaldi, lasciò la sua colonna a Sapri per correre con un piccolo seguito a Lagonegro. Quando Türr arrivava a Lagonegro, la brigata borbonica Caldarelli era già partita. Garibaldi giunto a Sapri scrisse a Türr la seguente lettera:

Sapri, 3 settembre 1860.
Generale Türr,
sono giunto qui alle tre pomeridiane. Io marcerò colla vostra colonna Milano e Spinazzi sino a Fortino, lasciando qui un forte distaccamento. Mandatemi a dire ove si trovi la brigata Caldarelli. In ogni modo speditemi immediatamente notizie vostre a Fortino, o venite in quel punto voi stesso. Stasera probabilmente pernotteremo a Vibonati
.
G. GARIBALDI.

Coerentemente a questa lettera Türr, appena arrivato a Fortino il 4 settembre, si fermò per attendervi Garibaldi che vi arrivò il giorno stesso. Intanto, il 3 settembre, le due Brigate non andarono a Fortino, ma pernottarono a Vibonati; continuarono la marcia partendo per tempo e la sera del 4 furono a Casalenuovo, attraversando in tutte queste marce alte e penosissime montagne. Il giorno 5 erano a Sala Consolina; in questo giorno raggiunsero Caldarelli, al quale fu mandato La Masa come Commissario del Dittatore per trattare la capitolazione di questa colonna regia. Caldarelli si fece incontro a La Masa scortato da poca cavalleria e dopo uno scambio di trattative, dichiarò che non avrebbe adoperate le armi contro il movimento nazionale, quindi fu internato a Padula.

Francesco II al cadere di agosto, credendo ancora i suoi eserciti in lotta con il Generale Garibaldi in Calabria, lasciava Napoli, e si recava in Salerno a prendere il comando del suo corpo di esercito ivi stanziato ma Garibaldi, che continuava ad avanzare, lo sbarco di alcune altre Brigate della Divisione Türr a Sapri, l'esitazione degli uomini di guerra a tentare battaglia con la capitale rumoreggiante alle spalle e senza una base sicura di operazione, determinarono il Re di scegliere altrove il campo della sua guerra. Nella notte tra il 4 ed il 5 settembre si decise il ritiro dal campo di Salerno a quello di Sessa all'appoggio delle due fortezze di Capua e Gaeta.

Il giorno 6 settembre le due brigate Milano e Spinazzi col generale Türr erano ad Auletta e si preparavano ad avanzare verso Salerno mentre Garibaldi partiva per Eboli con una piccola scorta. La mattina del 7 settembre Garibaldi accompagnato dal generale Cosenz e da altri ufficiali, entrava senza soldati e senza apparecchi di guerra in Napoli alle 12 meridiane, in mezzo ad un popolo frenetico di entusiasmo e di gioia.

L'8 di settembre Garibaldi nominò Türr comandante della città e della Provincia di Napoli. Lo stesso giorno fece una ricognizione con Türr ed alcune guide fuori Napoli, quindi rientrò in Palazzo d'Angri suo alloggio. La sera dell'8 settembre arrivò l'avviso che un'insurrezione borbonica era scoppiata in Ariano predicata da quel vescovo ed appoggiata da un corpo di 4000 uomini sotto il comando dei generali Flores e Bonanno. Il grido di rivolta dicevasi seguito dagli atti della più selvaggia ferocia. Il generale Türr ebbe la missione di reprimere questi orrori.

La mattina del 9 le due brigate della sua Divisione che il 7 erano ad Eboli e l'8 a Salerno, entravano finalmente in Napoli. Con una di queste, la Brigata Milano giunta per prima, il generale Türr partiva in ferrovia per Nola alle ore 2 pomeridiane. Arrivato a Nola il generale Türr, dietro un suo dispaccio, trovò pronte carrozze, carri e traini; li riempì di truppa e la sera arrivò in Mugnano del Cardinale, dove furono tosto distribuiti i viveri alla truppa che, per cura del Municipio, erano stati approntati. Il generale Türr partì subito per Avellino e all'alba del seguente giorno partì per quella città anche la truppa.

In Avellino Türr trovò la Guardia Nazionale abbastanza riunita sotto il comando del maggiore Federico Salomone. Qui delegò i suoi poteri amministrativi, durante la sua assenza per le ulteriori operazioni che andava a fare, al sindaco Domenico Capuano, buon patriota. L'arrivo del generale Türr in Avellino pose il colmo alla frenetica gioia della città. Lo stesso giorno in cui Türr arrivava in Avellino, gli si presentava il maresciallo Flores scusando la sua partecipazione nella reazione e scriveva una lettera al generale Bonanno per ricondurlo a miglior partito. Ciò indusse il generale Türr a mandare un dispaccio a Bonanno, invitandolo a capitolare additandogli Dentecane come suo quartier generale per quella sera, mentre l'indomani avrebbe marciato con tutte le sue forze sopra Ariano.

Lo stesso giorno 10 il generale Türr con i bersaglieri milanesi e un altro battaglione montato sui carri per guadagnare strada, si spinse fino a Dentecane, mentre Rüstow, capo del suo Stato Maggiore, con gli altri due battaglioni seguiva di riserva fino a Pratola. Le Guardie Nazionali dei dintorni avanzarono contemporaneamente a fianco della strada. Presso Dentecane e Montemiletto si fecero alcuni colpi di fucile e l'avanguardia della Brigata Milano protesse il trasporto di parecchi prigionieri fatti dalla Guardia Nazionale nei dintorni di Montemiletto. Gli agitatori della reazione si salvarono con la fuga; alcuni furono arrestati.

La mattina dell'11 Rüstow condusse a Dentecane anche la riserva ed appena essa fu arrivata, Türr con l'avanguardia, sempre sui carri, proseguì per Grottaminarda. Rüstow con la riserva rimase presso Campanerella e Dentecane in vantaggiose posizioni sulla riva sinistra del Calore. Arrivato Türr a Grottaminarda, non avendo avuto ancora risposta decisiva da Bonanno, intimò al medesimo la resa incondizionata. Bonanno da principio fece delle difficoltà egli voleva avere libera ritirata a Gaeta con armi e bagaglio; non così la pensavano i suoi soldati, i quali vedendosi di fronte i garibaldini, che credevano tanto lontani, espressero la volontà di andare a casa. Siccome Türr insisteva nelle sue domande, Bonanno alla fine vi si acconciò e sottoscrisse la resa delle armi, cannoni, materiali da guerra e cavalli.

In seguito di tale convenzione, il 13° Reggimento di linea veniva sciolto e disarmato in Ariano, il battaglione Carabinieri reali a cavallo doveva andare a Nola per deporre le armi e lasciare i cavalli, ma siccome contro i patti, la diserzione cominciava a verificarsi, Rüstow lo fece disarmare appena giunto in Avellino. Così quel corpo di esercito si scioglieva per tornare alle proprie case. Il generale Türr comunicava al Dittatore il risultato della sua spedizione.

Il 12 Türr fu ad Ariano, dove avrebbe potuto e forse dovuto spaventare il popolo con esecuzioni sommarie, metter le mani sui preti alti e bassi, ma non volle farlo; la sua condotta colpì quella gente abituata alle rappresaglie del caduto Governo e li trascinò a mutare volontariamente indirizzo, anche il clero faceva adesione al nuovo ordine di cose.

Intanto come Garibaldi seppe della sedata reazione si affrettò di chiamare Türr con un telegramma. Com'ebbe il generale Türr questo telegramma, dava ordine alla sua truppa di ritornare a Caserta, mentre egli andava a Napoli per rispondere alla chiamata di Garibaldi, dove arrivò la notte del 13, mentre il 14 egli venne chiamato al comando delle truppe sul Volturno.

Intanto che il generale Türr in soli cinque giorni compiva una missione di così grave importanza in quell'eccezionale momento, entravano in Napoli (dal 10 al 12 settembre) le altre Brigate della sua Divisione. Intanto la Brigata Spangaro s'imbarcava il giorno 30 agosto in Livorno per Palermo. Quella di Eber arrivava alle dieci di mattina del 1 settembre da Marcellinara a Catanzaro accolta con feste dalla popolazione. In questa città raggiungevano il corpo molti volontari rimasti indietro nelle marce. La forza della Brigata era di 2966, dei quali presenti 2462, assenti 504 (344 ammalati e 160 dispersi).

Alle cinque del pomeriggio del 3 la Brigata Eber, percorrendo la consolare, marciava per Tiriolo, dove arrivava alle undici e si accampava al di qua del villaggio fino alla mattina del 4 quando passava ad altro accampamento al di là del paese, alle tre del pomeriggio muoveva per San Pietro a Tiriolo, dove giungeva alle dieci di sera e si accampava sulla strada. Lo stesso giorno 3 la Brigata Puppi s'imbarcava per Sapri, dove approdava alle undici di sera; l'operazione di sbarco aveva luogo alle otto di mattina del 4. Nel medesimo giorno 3 la Brigata Spangaro sbarcava a Palermo. La Brigata Eberhardt passò alla 17A Divisione Medici; la Brigata Sacchi continuava a dipendere direttamente dal Quartier generale principale.

Alle due di notte del 5 la Brigata Eber continuava per Soveria Mannelli, vi arrivava alle sette, da dove riprendeva la marcia all'una di notte del 6 ed un'ora dopo si accampava in Rogliano al di qua del paese. Lo stesso giorno 5 la Brigata Puppi da Sapri, passando per Vibonati, giungeva a Casalinuovo alle 7 di sera e riprendeva la marcia per Sala Consolina alle cinque di mattina del 6, dove arrivava alle quattro. In questo giorno sbarcava a Palermo una frazione della Brigata Spangaro, la quale veniva passata in rivista dal comandante la Piazza.

La Brigata Eber alle due di notte del 7 lasciava Rogliano ed alle otto giungeva in Cosenza. La Brigata Eber, alle cinque di mattina del giorno 8, riprendeva la marcia ed arrivava alle dieci di sera in San Fili dove pernottava ed alle cinque di mattina del 9 muoveva per Paola dove giungeva alle dieci del giorno medesimo. La Brigata Puppi riposava il 7 a Sala Consolina e l'8 si metteva in marcia: si accampava ad Auletta ed il 9 proseguiva per Eboli dove arrivava alle cinque di pomeriggio. Il 7 una porzione della Brigata Spangaro si imbarcava a Palermo per Sapri dove arrivava alle sette di sera e trovava l'ordine di continuare per Napoli, senonché per mancanza di carbone doveva l'8 sbarcare a Salerno dove si fermava qualche ora e poi partiva per Nocera da dove, con la ferrovia, arrivava a Napoli la mattina del 9. Il giorno 8 il resto della stessa Brigata partiva da Palermo direttamente per Napoli, vi arrivava la mattina del 9 e veniva passata in rivista da Garibaldi.

Dal 14 al 30 settembre 1860

Il generale Turr, al quale il giorno 14 settembre al ritorno di Ariano, era stato affidato il comando delle truppe sul Volturno, partiva lo stesso giorno da Napoli per Caserta dove istallò il suo Quartier Generale. Tutte le truppe allora raccolte tra Caserta e Santa Maria sommavano a poco più di 3000 uomini, i quali tenevano gli avamposti a Santa Maria, a San Leucio ed a Casanova. Dall'altra parte l'esercito borbonico in Capua, di fronte a quest'esercito, garantito da una fortezza, si trovava il generale Türr con poche forze di volontari, privi di artiglieria, privi di cavalleria, di munizioni, di ambulanza.

Lo stesso giorno gli arrivò da Sirtori la notizia che i regi erano usciti fuori Capua e si trovavano in vista delle truppe nazionali; in un momento spedì l'ordine al tenente colonnello Winkler a San Leucio di fare una ricognizione dei movimenti dei regi; distaccò il Battaglione Bossi della Brigata Puppi allora allora arrivato e lo mandò in rinforzo di Winkler a San Leucio ed egli si portò sino a Santa Maria, dove vide che il movimento dei Borboni non era che una ricognizione.

Nel tempo stesso espose a Sirtori la gravezza della sua posizione col trovarsi così sprovveduti di uomini e di mezzi di guerra per cui Sirtori si recò immediatamente a Napoli, promettendo a Türr ogni possibile aiuto ed intanto inviava truppe, cannoni, ambulanza e tutti i mezzi necessari ad organizzare il suo campo.

La mattina del 15 arrivò in Caserta la Brigata Eber e Türr la spedì in Santa Maria ad assumere il servizio di avamposti, mentre dirigeva il 2° Reggimento della Brigata Sacchi per appoggiare una ricognizione del maggiore Isnardi verso San Prisco. Non aveva egli ancora finito di dare tali disposizioni, che gli arrivò la notizia dello scoppio di una reazione a Marcianise. Türr comprendeva bene che un movimento a Marcianise avrebbe potuto avere appoggio facilissimo da un corpo di truppe che uscendo da Capua e distendendosi per pochi chilometri a destra, avrebbe potuto comunicare il fuoco della reazione fino a Napoli, per cui senza perdere un istante, spedì in Marcianise il Maggiore Cattabene con due compagnie e con le istruzioni di reprimere il moto ad ogni costo.

Intanto veniva inviata la Brigata Spangaro che però poteva partire solo alle due del pomeriggio del 15. Alle sei Spangaro era a Maddaloni con un terzo della Brigata mentre il rimanente seguiva in due convogli. Il tenente Ferrari era a Nola con mezza batteria ma non poteva partire per mancanza di carri. Mentre Türr affrettava la riunione delle forze, era agitato dal pensiero di una sortita dei regi per il pericolo che lo minacciava dalla via di Sant'Angelo, dove non aveva gente abbastanza per tenere la posizione, per cui distaccò dalla Brigata La Masa il 1° Reggimento Corrao da Santa Maria a San Prisco che era guardato soltanto da una compagnia della Brigata Milano reduce da Ariano ed il 2° Reggimento La Porta sulla strada che dal Casino San Prisco conduce a Sant'Angelo, mentre il grosso della Brigata Milano lo tenne in riserva a Caserta.

Come ebbe il generale Türr ricevuti questi rinforzi, cominciò fin dal 15 a fare eseguire delle ricognizioni su tutto l'esteso terreno che doveva essere il teatro della guerra. La mattina del giorno 16 arrivò Garibaldi a Caserta e confidò a Türr che egli doveva fare una corsa a Palermo, per cui durante la sua assenza gli affidava il comando in capo dell'esercito, mentre lasciava Sirtori alla Prodittatura in Napoli.

Türr fece osservare a Garibaldi che trovandosi con poca truppa innanzi Capua, e senza notizie esatte sulle forze borboniche, gli era necessario tentare l'appoggio delle popolazioni, per cui pensava di lanciare dei distaccamenti al di là del Volturno verso Piedimonte per verificare l'opinione del Paese e trovandovi simpatia, organizzare delle squadre di Guardia Nazionale e con esse tormentare alle spalle ed ai fianchi il nemico e simulare quindi degli attacchi sopra Cajazzo e dietro Capua, per obbligarlo a mostrare le forze che potrebbe spiegare in un fatto d'arme serio contro le forze garibaldine e non dargli tempo di mandare ad effetto un tale fatto prima che tutta l'armata di Garibaldi fosse riunita sul Volturno.

Il 16 il generale Türr fece una ricognizione verso Capua. Lo stesso giorno rientravano a Santa Maria gli Ungheresi e due compagnie del reggimento Corrao da una ricognizione sopra Sant'Angelo dove aveano fugato i Borbonici. In seguito a notizie giunte al quartiere Generale che i Borbonici si avanzavano verso San Leucio, il Generale Türr ordinava la partenza da Caserta per San Leucio del battaglione Ferraccini (Brigata Puppi) e di una compagnia del Genio in rinforzo del Battaglione del Reggimento Winkler (Brigata Sacchi): queste forze muovevano in ricognizione lungo il Volturno ed alla scafa di Caiazzo e riconobbero che i borbonici si avanzavano parte a destra e parte a sinistra in bersaglieri; altre truppe si aggiungevano a rinforzare il nemico, per cui il brigadiere Sacchi accorse con un altro battaglione in sostegno e s'impegnò subito d'ambe le parti un fuoco che i borbonici sostennero per oltre mezz'ora, e quindi si ritirarono, comunque di forze superiori e protetti da una casa e dal fiume.

Lo stesso giorno 16 il Battaglione Winkler e la Compagnia del Genio rientrarono in Caserta. Il Battaglione Ferraccini (Brigata Puppi) rimaneva a San Leucio, mentre tre compagnie di un battaglione della Brigata Spangaro (maggiore Farinelli) muovevano da Caserta per San Leucio in rinforzo del Battaglione Ferraccini. Il tenente Canepa della Brigata Milano il 17 sulla linea degli avamposti di Casapulla guidando una pattuglia, arrestava sette ufficiali della cavalleria napoletana che si arrischiarono ad attraversare in carrozza il campo Garibaldino e li consegnò allo stato Maggiore della Brigata Eber in Santa Maria. La sera del 17 rientrava il Maggiore Cattabene con le due compagnie da Marcianise dove aveva condotte le cose con la maggior prudenza e fermezza, il che bastò ad arrestare ogni ulteriore movimento.

Il 18 un battaglione (Brigata Spangaro) si recavasi a San Leucio per concorrere nel servizio di avamposti ed il restante della Brigata Spangaro si portava lo stesso giorno da Caserta a Santa Maria in attesa di ordini. Il generale Türr mentre dava le disposizioni ai corpi sulla estesa linea degli avamposti, dava dall'altra parte esecuzione al piano proposto a Garibaldi: egli aveva fatto passare nel suddetto giorno 16 il maggiore Csudafij al di là del Volturno con la missione che abbiamo detto e di più gli ingiungeva di spingere il giorno 19 tra Roccaromana e Caiazzo, un distaccamento onde appoggiare il battaglione comandato dal maggiore Cattabene, che veniva destinato ad operare sopra quel terreno. Le forze affidate a Csudafij consistevano in una compagnia della Brigata Spangaro (capitano Rosati), una della Brigata Sacchi (capitano Racchetti) ed un'altra del battaglione Rossi (capitano Sgarallino). Queste disposizioni furono opportune ed opportuna fu la scelta del maggiore Csudafij il quale operò con giudizio ed energia e potè verificare lo stato militare e morale di quella zona sulla destra del Volturno, ed informare a tempo il generale Türr.

Il generale Türr chiamava inoltre a sé il giorno 18, il suo Capo di Stato Maggiore e tutti i comandanti delle Brigate ai suoi ordini e dava verbali istruzioni determinando in massima ad ognuno di loro la parte che dovevano prendere nell'azione del 19 per conseguire lo scopo prefissato, cioè una ricognizione offensiva, onde principalmente prevenire una battaglia, che secondo le notizie pervenutegli pareva volessero effettuare i regi, appunto in quel giorno 19 dedicato a San Gennaro e simulare un attacco sulla fronte di Capua, per attirare a questa via le forze borboniche, impedendo così alle medesime di portare soccorso alla loro sinistra, dove dovevano operare le colonne di Csudafij e Cattabene.

Infine il 18 Türr passava in rassegna il Battaglione Cattabene dando al Comandante le necessarie istruzioni e lo faceva partire per la via di Maddaloni, Ponte della Valle e strada carreggiabile che conduce a Limatola per tentare un colpo di mano sopra Caiazzo. Sebbene il generale Türr sentisse la più grande fiducia nella riuscita dei suoi tentativi e nella arditezza delle sue truppe, pure gli dava pensiero la mancanza dell'artiglieria, dacché, tolti i quattro pezzi guadagnati in Ariano che erano in stato di battere la campagna, del rimanente nulla ancora era organizzato e dove si avevano cannoni, mancava il materiale o viceversa.

Le truppe delle quali disponeva il generale Türr per effettuare il suo disegno, sommavano a 6675 uomini, cioè tre battaglioni tra bersaglieri e cacciatori, venti battaglioni di fanteria di linea, due squadroni usseri ungheresi (170 uomini circa) montati appena due giorni prima con i cavalli presi ad Ariano, quattro cannoni e due compagnie del Genio. La forza media delle singole compagnie, era di settanta individui. La Brigata Milbitz della divisione Cosenz che si trovava a Maddaloni non è compresa nella cifra di 6675 garibaldini.

Türr aveva affidato al maggiore Cattabene con i suoi cacciatori di Bologna, l'incarico di passare il fiume, in modo di poter piombare sopra Caiazzo all'alba del 19, indicandogli le persone che lo potevano ragguagliare sulle forze del nemico ed ingiungendogli di occupare il paese se poco difeso o di fingere di attaccare se fortemente occupato.

Il Maggiore Cattabene, partito da Caserta alle tre pomeridiane del giorno 18, arrivava a Limatola a mezzanotte. Coerentemente alle disposizioni date dal Generale Türr, durante la notte i corpi operanti si portavano al posto assegnato, sicchè all'alba del 19 tutti si trovarono pronti per eseguire l'attacco e la generale ricognizione sul Volturno per saggiare le forze nemiche fino allora poco note. Il generale Türr si trovava sulla via di San Leucio al bivio, per poter far meglio le sue osservazioni.

Il fuoco fu aperto dalle truppe di Spangaro che diedero l'assalto al Casino della Foresta con due compagnie del 3° battaglione, comandante Giraldi, condotte dal colonnello brigadiere stesso, che s'impadronivano a viva forza del casino, mentre altre due compagnie con un movimento di fianco, costringevano il nemico ad abbandanare quella posizione. Allora l'intera forza avanzò sulla strada consolare a destra ed a sinistra fino alla Casella, dove s'impegnò in un forte scambio di fucilate, al quale i garibaldini posero fine con una carica alla baionetta e riuscirono di farsene padroni trovandovi un'ingente quantità di viveri. Il capitano Blanc alla testa della sua compagnia, arrivato sopra l'argine che fiancheggia la strada e che dalla Foresta conduce a Capua, intimava al nemico di arrendersi, al che la cavalleria rispondeva con una scarica di moschetteria, di cui cadeva ferito il suddetto capitano ad una gamba che gli si dovette subito amputare.

A questo punto il battaglione Giraldi assaliva con tutte le forze il nemico che stava sulla strada e dopo accanita lotta lo costringeva a ritirarsi. Ricomposte le forze, la detta brigata si spingeva avanti fino al gomito della strada che da Parco di Cappella mette a Capua e piazzava qui gli avamposti, oltre la difesa di Carditello, mentre il grosso del corpo prendeva posizione nelle vicinanze del ripetuto Casino. Contemporaneamente Rüstow con due battaglioni della brigata La Masa muoveva verso Arricò e Capece e le forze di Puppi e della brigata Milano avanzavano su Capua, le prime fin dietro i Cappuccini, le seconde fino alla Taverna, mentre un battaglione della brigata Milano si recava dietro la brigata Puppi a cavallo della strada ferrata verso Capua.

In questo punto il nemico allarmatosi, spiegò un treno formidabile di forze, le quali sboccando da Porta Napoli, irruppero sulla brigata Milano alla loro sinistra e sui battaglioni Puppi e La Masa a destra. Le colonne borboniche ingrossate ad ogni istante da nuovi soccorsi sboccarono da Capua, spiegarono la loro dritta verso la masseria di San Domenico, la Casella e la Marchesa, cercando di avviluppare i battaglioni di Puppi e della brigata La Masa alla sinistra, mentre diversi reggimenti di linea e di cacciatori con una batteria di obici si spingevano dalla spianata della fortezza verso la via Capua Sant'Angelo, tentando di rompere le linee della brigata Eber e della Legione Ungherese.

Spangaro avendo saputo minacciata la sinistra di Rüstow, spiegò i suoi due battaglioni a colonne serrate in appoggio di Puppi e dei battaglioni della brigata La Masa. Puppi per tener testa agli urti dell'esercito borbonico innanzi Capua, spinse le sue forze sulla sinistra della strada conducente agli approcci del forte, caricando alla baionetta le grandi masse nemiche, ma la viva resistenza che incontrava ed il pericolo di vedersi avviluppato dalle forze che occupavano il grande stradale di Porta Capua, lo determinarono a fare avanzare le sue riserve e dare un'ultima carica. I regi non sostennero o finsero non sostenere quell'urto ed indietreggiarono tirandosi dietro gli ardimentosi assalitori fino a cento metri dalle controscarpe.

In quel punto le artiglierie della fortezza, come scorsero i garibaldini entrati in mezzo ai nodi delle batterie, aprirono il fuoco. Un esercito regolare avrebbe compreso tutto il pericolo di quella situazione e si sarebbe sbalordito e sbaragliato: i volontari non misuravano il pericolo e si spingevano verso la stazione della ferrovia, quando una scarica di mitraglia tagliava il ventre al brigadiere Puppi e lo sbalzava da cavallo, mentre il suo aiutante di campo tenente Mentefiori cadeva gravemente ferito. In quel momento le truppe della brigata prive del loro capo perdettero ogni slancio, esitarono e già molti cominciavano a disperdersi, quando il maggiore Bossi preso il posto dell'estinto capo li rianimò, li apostrofò e li riannodò.

Mentre questo avveniva sull'ala sinistra, una parte della Brigata Milano teneva fermo nell'arrischiata posizione della Fornace ed il resto della stessa brigata si spingeva fino alla spianata innanzi alla fortezza. In questi punti il combattimento prese le più accanite proporzioni: si combatteva contro forze quattro volte maggiori e protette dal fuoco della fortezza; trenta garibaldini della Brigata Milano tennero fermo in una casa contro gli sforzi di un intero battaglione e quando gli assalti di fianco costrinsero i Borbonici ad abbandonarla, non restavano in quella casa che soli quindici, la più parte feriti o mutilati. In quel momento che i due corpi Milano e Puppi incaloriti nella pugna si erano soverchiamente esposti, il brigadiere Rüstow diede ordine di ripiegare. La cavalleria borbonica a questo punto si diede a caricarli audacemente, ma sopraggiunto il resto della Brigata Milano in soccorso, la cavalleria fu obbligata a ritirarsi sotto le mura della fortezza.

Intanto una piccola parte della sinistra della Brigata Eber apriva il fuoco contro una casetta prossima al fiume che era occupata dai borbonici e con movimenti diversi teneva in scacco il nemico. L'artiglieria garibaldina consistente qui in due soli pezzi comandata dal maggiore Bricoli ed appoggiata da una compagnia del Genio sotto il comando del luogotenente Zaccarini si era anch'essa avanzata a poca distanza dalla fortezza, sotto una pioggia di proiettili che vomitavano quaranta pezzi dalle batterie. Al fuoco nemico i due pezzi garibaldini rispondevano, finché ad uno dei due cannoni non rimaneva che un solo artigliere, Luigi Zuppa, il quale moltiplicava se stesso servendo solo il pezzo, mentre l'altro pezzo rimasto senza artiglieri era servito personalmente dal maggiore Bricoli, ma dovette bentosto tacere, perché colpito da una scheggia di mitraglia ad una gamba ed il Bricoli dovette essere trasportato fuori combattimento.

Nell'atto che si adagiava il ferito sopra un avantreno, le palle nemiche uccidevano due cavalli ed uno ne ferivano dell'altro pezzo, talché non solo si rendeva impossibile continuare il fuoco, ma imminente era il pericolo che i due pezzi cadessero in mano del nemico: bisognava salvarli ad ogni costo, ma l'impresa era quasi divenuta impossibile; un pezzo non poteva più attaccarsi al suo avantreno perché i cavalli erano morti, il ritiro dell'altro pezzo difficilissimo per l'ingombro di cavalli e di uomini morti sulla strada, il fuoco nemico era tutto diretto a quel punto, i soldati del Genio esitavano, tutto era per perdersi, se il luogotenente Zaccarini ed il capitano Pedotti dei Bersaglieri (Brigata Milano) non avessero con la voce e con l'esempio animati i soldati a recarsi sulle braccia i pezzi e trasportarli ad una certa distanza, finché trovarono cavalli per portarli in salvo.

Ma il combattimento non ardeva soltanto verso Capua, altri vivi scontri avvenivano. Il colonnello brigadiere Sacchi doveva eseguire, con le forze a lui affidate, la ricognizione dalla Scafa di Formicola a quella di Caiazzo. A tal fine egli la sera del 18 al 19, onde avesse luogo in tempo il prestabilito congiungimento della Brigata Eber con i suoi, comunicava al tenente colonnello Pellegrini (2° Reggimento Brigata Sacchi) le istruzioni del generale Türr e lo faceva partire da Caserta per San Leucio. Alle sei di mattina del 19 Pellegrini con il suo Reggimento andava a prender le posizioni assegnategli; il Battaglione Ferraccini della Brigata Puppi faceva lo stesso.

I regi avevano concentrato una colonna sul passaggio superiore del Volturno, col divisamento di forzare i due passi della Scafa di Formicola e di Caiazzo, per entrare in Caserta per gli sbocchi di Sant'Angelo e di San Leucio. In effetti la sponda destra alla Scafa di Formicola era dal nemico fortemente occupata anche con l'artiglieria nascosta dietro ripari. Un distaccamento di tre compagnie della suddetta colonna era già venuto ad occupare un casino sulla sponda sinistra. Tosto che le truppe di Sacchi furono vedute dal nemico ivi situato ed a portata di tiro, cominciò il fuoco prima dal casino e poi dalla riva destra; in questo mentre arriva il generale Türr con l'artiglieria ed alcuni carabinieri genovesi, nonché il brigadiere Sacchi col 1° Reggimento della sua Brigata comandato dal tenente colonnello Vinkler, il quale con la maggior parte dei suoi, eseguendo gli ordini ricevuti, va verso la scafa di Cajazzo unitamente ad una frazione di Usseri Ungheresi comandati dal tenente colonnello Kiss. Due cannoni furono piazzati a sinistra della strada verso Scafa di Formicola.

Tutti entrano in azione, i borbonici che occupavano il Casino furono sloggiati e dovettero la loro salvezza alla fuga e ad un incidente per cui la Brigata Eber, non aveva ancora potuto operare la prestabilita congiunzione con le truppe di Sacchi. Il fuoco dei Napoletani si propaga su tutta la sponda destra; i regi tentano e ritentano su vari punti il passaggio del fiume, ma i Garibaldini non si sgomentano e respingono valorosamente fino all'ultimo ogni loro tentativo. Il tenente Ferrari fa tutto ciò che si può con i suoi due cannoni.

Quest'altalena si prolungò fin verso le undici di mattina, quando il generale Türr vedendo che molta truppa napoletana sulla strada di Caiazzo retrocedeva verso Capua diede ordine che le sue forze si ritirassero in posizioni piuttosto elevate. In questo combattimento si ebbero a lamentare alcune dolorose perdite, tra le quali enumeriamo il bravo barone Narciso Cozzo, il quale col principe Niscemi, ambedue siciliani, vollero da semplici soldati con la carabina in mano, unirsi ai Carabinieri Genovesi e spingersi con essi sino alla riva del Volturno. Il barone Cozzo moriva in Caserta qualche giorno dopo in conseguenza delle ferite riportate.

Garibaldi, reduce da Palermo la notte dal 18 al 19, muoveva la mattina di questo giorno da Napoli col generale Medici per Caserta dove venne informato del movimento delle truppe e che Türr si trovava verso Scafa di Formicola, onde si portava colà e vi giungeva al punto quando Türr dava ordine di troncare il combattimento e quando si vedevano ancora pochi regi che ripiegavano. Qui Türr ragguagliò il Dittatore di tutta l'azione eseguita e Garibaldi si mostrò soddisfatto; in questo mentre fu salutato da una salva di granate ben dirette dall'opposta riva del Volturno. I regi continuavano a far fuoco dietro ripari, ma poco dopo il combattimento dappertutto cessò.

Garibaldi prendeva alcuni soldati della brigata Sacchi per percorrere la linea dell'azione unitamente a Medici; a Sant'Angelo trovò Eber, a Santa Maria Rüstow; Eber lasciati i due battaglioni a Sant'Angelo, ritornò, dietro ordine del generale Türr, a Santa Maria, ove impegnatosi di nuovo verso le due di pomeriggio un combattimento di avamposti, i regi spinsero le loro colonne fuori Capua, Rüstow sortiva di nuovo da Santa Maria con truppe di rinforzo fra le quali un battaglione della Brigata Puppi (maggiore Bossi) che spingeva immediatamente la quarta compagnia in bersaglieri, in modo che le sue catene dominassero la campagna a destra ed a sinistra della strada postale. Un altro battaglione (Brigata Milano, maggiore Venuti) dalla Taverna Villarasci, accorse ed aggredì ai fianchi i regi con una parte della brigata Eber che gli veniva in soccorso e così i borbonici furono respinti nuovamente nella fortezza.

In questo conflitto il capitano Marani perdeva il braccio sinistro e così terminava la giornata che sarebbe finita con minore spargimento di sangue se alcuni ufficiali e volontari trasportati dal troppo ardore, non avessero mutato in una vera battaglia la ricognizione forzata di Capua. Anche il maggiore Csudafij con la sua colonna il giorno 19 ebbe vari scontri con i borbonici a Roccaromana. Mentre le forze borboniche erano impegnate sulla estesa linea dalla scafa di Caiazzo al bosco di Carditello, il battaglione Cattabene della brigata Puppi occupava Caiazzo. Garibaldi dopo l'escursione fatta col generale Medici a Sant'Angelo e Santa Maria arrivò a Caserta e Türr gli diede la notizia che Cattabene aveva occupato Caiazzo.

Il generale Türr esponeva al Dittatore la necessità di mandare ordini a Cattabene che sgombrasse Caiazzo, poiché si era raggiunto la scopo di esplorare le forze del nemico, ma Garibaldi mostrò ripugnanza ad abbandonare una posizione già acquistata. Allora Türr vista la difficoltà di sostenere con un battaglione quella posizione lontana e divisa da un fiume, pregò Garibaldi di farla fortemente occupare e pertanto Garibaldi ordinò al generale Medici di mandare una brigata della sua divisione a tenere fortemente Caiazzo.

Garibaldi che il 19 settembre aveva trovato il generale Türr estenuato di forze per le sostenute fatiche della guerra, vide la necessità di dargli un momento di riposo e già a Caserta lo invitava a recarsi a Napoli per passarvi qualche giorno ed il 20 gli telegrafava da Napoli: «Subito giunto Medici a Caserta incaricato del comando, venite qui a passare qualche giorno». Veramente per il generale Türr un momento di riposo era divenuto indispensabile. Egli non si era ancora rimesso dalle febbri e dai vomiti di sangue, era tornato da Aix-les-Bains a Palermo infermo e di là a Messina ed in Calabria; aveva percorso in pochi giorni a cavallo una gran parte del napoletano; non ebbe, arrivato a Napoli, un giorno di riposo e dovette il dì seguente partire per Ariano, dove sedò una potente reazione ed obbligò un corpo di truppa regia a deporre le armi e poi dovette ritornare a Caserta per assumere il comando durante l'assenza di Garibaldi e così i giorni furono da lui passati a sistemare le forze, studiare le posizioni, respingere le sortite parziali dei borbonici ed infine sostenne la giornata del 19 settembre.

Il 20 arrivò a Caserta il generale Medici, cui Türr passò il comando delle truppe sul Volturno facendo insieme una ispezione della linea da Santa Maria a Sant'Angelo, durante la quale da Caserta il brigadiere Sacchi gli telegrafò: «Brigata Milbitz si ferma a Caserta o prosegue a Santa Maria?» e Türr gli rispondeva di farla marciare a Santa Maria. Al colonnello brigadiere Spangaro diede l'istruzione di ascendere il Monte Sant'Angelo, distaccare dieci compagnie della sua brigata ed occupare quella posizione. La Brigata Corrao doveva prestare servizio di avamposto sotto il comando di Milbitz. La Brigata Sacchi mantenere l'importante posizione di San Leucio; lasciò parimente alla dipendenza del generale Medici il Capo del suo Stato Maggiore colonnello brigadiere Rüstow, raccomandandogli di tenerlo informato di qualunque novità accadesse sul teatro della guerra; quindi la sera dello stesso giorno partì per Napoli ed il 21 Rüstow gli faceva pervenire la notizia che non c'era nessuna importante novità sul campo.

Il giorno 20 si passò dai regi a preparativi ed esplorazioni mentre il maggiore Cattabene riconoscendo il pericolo della sua situazione si fortificò aspettando il promesso aiuto. La mattina del 21 cinque battaglioni cacciatori borbonici, due squadroni di cavalleria ed una batteria da campagna sotto il comando del generale Colonna usciva da Capua per investire Caiazzo. Il comandante l'11° Battaglione Garibaldino (maggiore Baganti), che occupava la posizione di Monte San Nicola, scorse questo movimento dei regi verso Caiazzo e si affrettò di avvisarne il brigadiere Spangaro (15A Divisione) ma era troppo tardi ed una giornata dolorosa doveva correre per le nostre armi. I rinforzi non potevano arrivare nel momento opportuno, solo il colonnello Vacchieri (17° Divisione) Brigata Simonetta, con 600 uomini circa era giunto in sussidio di Cattabene. I comandanti Garibaldini riconoscendo l'enorme inferiorità delle loro forze, occuparono un bosco di ulivi, barricarono le strade di Cajazzo ed attesero a piede fermo il nemico.

Si cominciò a combattere fuori la città ma i Garibaldini incalzati da ogni parte, mancanti di artiglieria e di cavalleria, oppressi dal numero, abbandonarono la campagna e si ritirarono nella città dietro le barricate. Qui ebbero essi una guerra empia e fratricida; mentre combattevano alla difesa delle barricate, i reazionari li moschettavano dalle case e dai tetti. Ogni resistenza era quindi inutile, le barricate furono sbarazzate dal cannone Borbone, il maggiore Cattabene ferito gravemente, diversi altri ufficiali feriti pure caddero prigionieri; i Garibaldini si cacciarono in fuga; la cavalleria li incalzò da ogni lato; 166 tra feriti e morti, oltre 100 furono fatti prigionieri, gli altri per salvarsi dalla cavalleria si gettarono nel fiume, dove alcuni rimasero annegati, sicché non rientrarono in Caserta che pochi. Il battaglione Cattabene che alla partenza da Caserta era di circa 350 uomini, si trovò ridotto la sera del 21 settembre a soli 100 circa che rientrarono alla Brigata.

Il giorno 22 settembre altre nove compagnie della brigata Spangaro (Divisione Türr) che si trovavano ancora a Santa Maria, raggiungevano la loro brigata a Sant'Angelo e coadiuvavano i lavori del Genio che qui si facevano sotto la direzione del tenente colonnello Brocchi. Una compagnia occupava San Prisco. Fino al 30 settembre questa brigata forniva tre compagnie per il servizio di avamposti. La linea degli avamposti era disposta quasi a semicerchio, che adattandosi al terreno, partiva alla destra del casino San Jorio e del Genio, dove il monte Sant'Angelo scende al Volturno, e si avanzava fino a duecento metri dal crocevia formato dalla strada di Santa Maria a Capua.

Questi avamposti con la loro disposizione, segando la prima di dette strade all'ultimo ponticello, ripiegavano verso le falde dei monti Tefatini, fino a congiungersi a sinistra per mezzo della compagnia di San Prisco con le truppe di Santa Maria, mentre la destra comunicava con le truppe di Vaccheria e San Leucio, prima per mezzo di due compagnie, poi tenendo occupata la sommità dei monti San Jorio, Sant'Angelo e San Nicola. Per evitare qualunque sorpresa ed interruzione, si erano stabiliti alcuni posti intermedi sul pendio dei monti, che in modo celere riferissero le osservazioni che quelli di sopra potevano fare guardando un esteso orizzonte. Il battaglione Bersaglieri brigata Spangaro accampava pochi metri più indietro del crocevia su accennato, per servire di sostegno, il resto della Brigata stava a Sant'Angelo ed alla Casina Meloria con il corpo sanitario e l'ambulanza. Dal 22 al 30 settembre, tranne qualche allarme nessun fatto importante avvenne sul teatro della guerra.

La brigata Eber durante questi giorni prestava servizio di piazza in Caserta, per altro ogni mattino alle quattro si metteva sotto le armi e vi rimaneva fino alle otto di mattina. Gli Usseri ungheresi facevano continuate pattuglie. La brigata Puppi nei combattimenti del 19 sotto Capua e 21 a Caiazzo, ebbe l'onore di trovarsi la più esposta al fuoco nemico e sostenne i combattimenti più rischiosi, ond'essa sola perdette 42 morti, 152 feriti, molti dispersi fra i quali gli annegati nel passaggio del Volturno dopo la perdita di Caiazzo. La forza totale della brigata al 15 settembre sommava a 1053 combattenti, il 21 non restava che una larva di brigata senza più il capo perché morto in battaglia, per cui il generale Garibaldi su proposta di Türr ne determinò lo scioglimento; con gli uomini di essa si formava un reggimento comandato dal tenente colonnello Bossi, che andava a far parte della brigata Sacchi.

Il 29 settembre il colonnello brigadiere Sacchi promosso a Maggior Generale, entrava a far parte della 15A Divisione. Appena tornato a Caserta ed abboccatosi con Sirtori, il generale Türr scriveva al generale Sacchi a San Leucio dicendogli che il nemico era in procinto di tentare una sortita da Capua e di tenersi pronto facendo avanzare un battaglione fino alla gola della montagna e mettendo un reggimento di riserva presso la Vaccheria. Inoltre ordinava che i volontari della disciolta Brigata Puppi si recassero immediatamente a San Leucio.

Siccome i Regi facevano dei tentativi di passaggio al Volturno ed il generale Türr aveva avuto ordine di prendere il comando della Riserva generale, così egli ordinava che la medesima si mettesse sotto le armi sulla strada Caserta - Santa Maria. Tale riserva era composta così: Brigate Eber, Milano, Assanti; un battaglione (Paterniti) della Brigata La Masa e parte della Brigata Pace, in tutto 5600 uomini con 12 cannoni. Un reggimento comandato dal colonnello Corte teneva il passo di Aversa per impedire al nemico una sorpresa su quella via sopra Napoli.

La mattina del 30 i Regi facevano una sortita da Capua verso Santa Maria e nelle ore pomeridiane dello stesso giorno, il Corpo d'esercito Borbonico che aveva rioccupato Caiazzo il 21, sotto gli ordini del generale Colonna, si avvicinò alla destra del Volturno presso le scafe di Triflisco e Formicola minacciando il passaggio del fiume. Erano alla custodia di quei passi, a San Leucio, la brigata Sacchi a diritta sulla strada biforcata di Caiazzo, e la Divisione Medici a sinistra in Sant'Angelo. Contro questi due corpi i regi diressero il loro fuoco di artiglieria e di moschetteria, per cui i garibaldini accorsero per impedire il passaggio del fiume, ma dopo breve attacco i regi retrocessero e mostrarono di rinunziarvi.

Il maggiore Csudafy, che dal 19 al 26 settembre, si trovava tra Rocca Romana e Piedimonte d'Alife, facendo varie scaramucce con i suoi distaccamenti volanti e non avendo trovato l'aiuto promesso e più specialmente la guardia nazionale armata e organizzata; visto che il corpo di Won-Mechel marciava su Piedimonte di Alife, credè necessario di ritirasi facendo di tanto in tanto nella retromarcia qualche dimostrazione offensiva. Il generale Won-Mechel agiva sulla riva destra del Volturno in esecuzione degli ordini del Comandante in Capo dell'esercito borbonico. L'intenzione del generale Ritucci era di portarsi con le sue quattro divisioni a Napoli, ma il fatto d'armi del 19 dei Garibaldini davanti Capua come pure le due colonne volanti inviate dal general Türr al di là del Volturno, non soltanto fecero modificare il piano borbonico ma ancora fece loro ritardare per ben dieci giorni il loro movimento offensivo, e questi dieci giorni furono per l'armata garibaldina di grandissimo vantaggio.

Il generale Colonna con la sua brigata forte di tremila uomini del Corpo di Esercito Won Mechel, dopo aver tentato di passare il Volturno alla scafa di Triflisco, andò ad occupare il monte della Palombara e Taverna nuova e fulminava con vivo fuoco di artiglieria e di fucileria le alture di San Jorio tenute dalla 5° e 6° compagnia della Brigata Spangaro (Divisione Türr), le quali precipitandosi sugli argini del Volturnoe coprendosi con i lavori fatti il giorno avanti, si opponevano al passaggio del fiume, mentre la 7° compagnia caricando a sinistra della linea li respingeva. Il generale Colonna avendo trovato ostinata resistenza e non avendo ordine d'impegnare un combattimento si riuniva la notte stessa (30 settembre al 1 ottobre) a Won-Mechel sulla via di Ducenta. Questi tentativi dei Regi fecero credere giustamente al generale Garibaldi, che più seri attacchi si potevano verificare nel giorno successivo.

1 e 2 ottobre: la battaglia del Volturno

Il 1 ottobre i garibaldini erano dunque schierati per affrontare l'offensiva dei borbonici. Il generale Türr, comandando la riserva generale, era a Caserta con le sue truppe meno la Brigata Assanti che ebbe ordine la mattina del 1 ottobre di portarsi a Sant'Angelo. Inoltre era presso San Leucio il generale Sacchi con la sua Brigata della Divisione Türr rinforzata dai residui della disciolta Brigata Puppi, duemila uomini circa. A Sant'Angelo stava il generale Medici con la sua divisione (meno la Brigata Eberhardt) e con l'appoggio della Brigata Spangaro della Divisione Türr, in tutto poco più di quattromila uomini con nove pezzi da campagna ed il Reggimento Brocchi del Genio con trecento uomini circa. A sinistra di Santa Maria verso la ferrovia stava la Brigata La Masa aggregata alla Divisione Türr ed una compagnia del Genio ed infine la batteria Türr era a Porta Capua di Santa Maria.

Le colonne borboniche Tabacchi ed Afan de Rivera attaccarono verso Santa Maria e verso Sant'Angelo. Il generaleTabacchi attaccando Santa Maria e trovando forte resistenza di fronte che Milibitz gli opponeva coi Reggimenti Lauger, Sprovieri, Corrao e La Porta, spinse una parte della sua truppa a sinistra per girare la città e per dar la mano al generale Afan de Rivera occupando la strada, e togliendo così le comunicazioni Sant'Angelo-Santa Maria, tentativo che gli riuscì traversando la strada Sant'Angelo, fino al punto che i due corpi erano venuti quasi a contatto. In quel momento arrivò il colonnello brigadiere Assanti distaccato dalla riserva generale di Caserta, con ordine di marciare con la sua Brigataverso Sant'Angelo; ma arrivato a Santa Maria, e vedendo il pericolo che i Borbonici potevano girarlo alla sua destra, ordinò immediatamente al 2° battaglione bersaglieri, comandato dal capitano Sgarallino di spingersi a sinistra della strada per Sant'Angelo, al 2° Reggimento comandato dal tenente colonnello Borghesi ed al 1° comandato del tenente colonnello Fazioli, di occupare il cimitero ed una casa, per tenere testa al sopravanzante nemico. Assanti ebbe la fortuna con un energico attacco di contrastare ai Borboni di avanzarsi da questa parte.

Intanto il brigadiere Malenchini combattendo perdeva terreno sulla ferrovia circondato dai nemici, quando il 2° battaglione del 3° Reggimento della Brigata Assanti giungeva a dargli rinforzo per sostenerlo nella minacciata posizione. L'improvviso attacco di Assanti ed i ripetuti attacchi guidati da Lauger, Sprovieri, Pallizzolo, Malenchini, La Porta, fecero sì chei Regi cessarono dall'avanzarsi e si arrestarono solo ad investire Santa Maria. Intanto il generale borbonico Afan de Rivera mandava la Brigata Polizzy ad investire Sant'Angelo, facendola sostenere dalla Brigata Barbalonga. Sant'Angelo era tenuto dal generale Medici con 4500 uomini. Il generale Polizzy investì con la sua brigata tutto il fronte garibaldino della posizione di Sant'Angelo con tanta gagliardia, che gli avamposti dovettero ripiegare.

Intanto che così ardeva il combattimento a destra della strada di Santa Maria, anche più vivamente si combatteva alla difesa della batteria posta in prima linea all'altezza di Sant'Angelo sulla strada di Capua. I Regi distesi a grandi cordoni di cacciatori, protetti da numerosa artiglieria, erano riusciti a girare i fianchi della batteria fatta costruire da Medici, malgrado la ostinata resistenza che vi opponevano i battaglioni della Brigata Spangaro, il battaglione del Genio comandato dal maggiore Costa, e quattro compagnie della Brigata Dun ma la eroica difesa non valse e la casina fu presa dai Regi. Il generale Medici in questo momento fece muovere alla riconquista delle posizioni perdute Simonetta e Ferrari ma in quel momento le munizioni mancarono alle due compagnie. Se ne diede avviso a Medici, il quale rispose « si vinca o si mora, alla baionetta» ma i Regi erano pervenuti ai limiti del villaggio costringendo i Garibaldini a retrocedere e stavano per entrare nel villaggio di Sant'Angelo e girare ai fianchi le altre posizioni dei volontari.

Il generale Medici comprendendo benissimo che la perdita della sua posizione sarebbe stata la perdita della battaglia e l'occupazione di Caserta e di Napoli, fece caricare dovunque alla bajonetta e con quanti ebbe sotto mano, compresi i volontari della brigata Spangaro (15A Div. Türr) e la batteria Garibaldi della stessa Divisione assalì il nemico. Cadeva in quella brillante carica il maggiore Castellazzo alla testa di una compagnia della Brigata Spangaro ed ed il luogotenente Argirio Capanelli.

Il generale Garibaldi era dalla mattina a Santa Maria, Egli dal numero e dal vigore degli attacchi borbonici comprese che una grossa battaglia andava ad impegnarsi ed immediatamente diede ordine al generale Milibitz di tener ferma la posizione di Santa Maria ed impedire ad ogni costo che le comunicazioni tra Sant'Angelo-Santa Maria fossero tagliate, quindi egli si arrischiò con Missori, Basso, Arrivabene ed alcune guide di percorrere la strada Santa Maria-Sant'Angelo e portarsi sopra quel campo di azione.

Il generale Garibaldi però si trovò quasi avvolto in un turbine di fuoco ed un cavallo della sua carrozza venne ucciso, Arrivabene ferito e poi fatto prigioniero, Garibaldi dovette smontare a piedi e si trovò da tutti i lati in mezzo al fuoco nemico. Spettava alla 7° compagnia della Brigata Spangaro, 15A Divisione Türr, guidata dal bravo Capitano Romano Pratelli, la gloriosa impresa di aprire la strada al Dittatore per raggiungere le truppe di Medici che combattevano presso Sant'Angelo. Questa eroica compagnia diretta ed incitata da Garibaldi stesso, caricò per ben tre volte consecutive il nemico alla baionetta, ma l'aprirsi la via nel folto di un esercito nemico sarebbe stato impossibile se-Medici non avesse mandato soccorsi, con che il nemico venne finalmente respinto e la via aperta a Garibaldi per raggiungere il corpo di Medici.

Davanti a Sant'Angelo, Garibaldi trovò Medici il quale presso San Jorio faceva tutti gli sforzi per rigettare i Borbonici, allora lo lasciò al piede della collina, mentre egli montò sull'altura per esaminare bene il campo, e di là vide che al nemico era riuscito ad aggirare Sant'Angelo, per cui egli raccolse quante truppe gli erano alla mano, fra le quali, oltre ai carabinieri genovesi, una parte della Brigata Spangaro (Maggiore Farinelli) e investì il Monte San Nicola occupato dai nemici, da dove scendendo obliquamente, diede l'assalto ad una cascina occupata dalletruppe regie, le quali scacciate una volta poi la ripresero. Intanto alle forze dei carabinieri genovesi e del maggiore Farinelli, si aggiunsero quelle del maggiore Morici (Brigata Spangaro) ed alcuni spezzoni di compagnie che coadiuvati da due pezzi di artiglieria collocati sul crocicchio della via Santa Maria Capua ed appoggiati a destra da Simonetta, dal colonnello Ferrari e Guastalla capo dello Stato Maggiore del generale Medici, che difendevano San Jorio e San Nicola, ripresero l'offensiva e con un estremo assalto alla baionetta riuscirono a ricuperare la cascina sulla strada di Capua, e più tardi anche la barricata coi tre pezzi perduti, facendo prigioniere alcune compagnie borboniche. Si distinsero, unitamente ad altri, in modo particolare il maggiore Morici, i capitani Negro, Matteucci e Cuder. Questi fu ferito alla coscia destra.

Garibaldi, quando vide eseguita così eroicamente questa azione, ebbe la certezza della vittoria e volò verso Santa Maria per muovere le riserve. Mentre Garibaldi accorreva da Sant'Angelo a Santa Maria, il Generale Türr il quale inviava il Battaglione Paterniti, parte del Reggimento Pace e quattro pezzi di artiglieria a Santa Maria e che aveva mandato due compagnie della sua riserva (Brigata Eber) con tre obici ed alcuni usseri in soccorso a Bixio, che altri soccorsi aveva distaccati e che vedeva la sua riserva ridotta appena a 3500 uomini, mandò un ufficiale a Garibaldi per dirgli che le sue forze mandate a piccoli soccorsi diminuivano senza operare alcun fatto serio e che quello gli pareva il momento di farle entrare in combattimento. Garibaldi gli rispose: «Marciate su Santa Maria dove mi troverete».

Türr come ricevette quest'ordine ne avvisò il generale Sirtori, che si trovava nel Palazzo Reale, e ordinò al Capo del suo Stato Maggiore colonnello Rüstow di marciare coi suoi ufficiali, con la Brigata Eber e con un distaccamento di usseri a Santa Maria e contemporaneamente fece montare sul treno la Brigata Milano. In questo punto arrivò il generale Sirtori, il quale mentre si approssimava a Türr per parlargli, vide retrocedere i garibaldini dalle alture di Caserta Vecchia, per cui premurò subito Türr che una brigata della riserva fosse inviata colà. Il generale Türr rispose: «Vedo benissimo che retrocedono, ma anzitutto devo eseguire gli ordini positivi comunicatimi dal generale Garibaldi, cioè di marciare con tutta la riserva su Santa Maria e che quand'anche vi fosse qualche pericolo sulle alture di Caserta Vecchia, ciò non potrà arrecare alcun serio male, quando si rigetteranno i Borbonici in Capua».

Türr però credette opportuno avvisarne Bixio. Quindi montò sul convoglio e con lui Sirtori e in pochi minuti giunsero a Santa Maria. Garibaldi per venire da Sant'Angelo a Santa Maria con la sola sua piccola scorta, non battè la grande strada che lega questi due paesi perché era ancora occupata dal nemico, per cui aveva girato per la strada tra San Prisco e Casapulla. A Santa Maria trovò che le sue forze sotto Milbitz faceano tutti gli sforzi per sostenersi contro il nemico, ma considerando che con truppe stanche da un combattere di nove ore era impossibile tentare dei colpi arditi, non restava che stare sulla difensiva fino all'arrivo della riserva.

Finalmente ecco il generale Türr che arriva con essa. Garibaldi disse a Türr: «Siamo vincitori, non occorre altro che l'ultimo colpo decisivo, le comunicazioni tra Santa Maria e Sant'Angelo interrotte bisogna ristabilirle». All'istante il generale Türr ordinò che la Brigata Milano, con la quale egli era venuto, avanzasse a passo di corsa sulla piazza Rotonda. Intanto le palle dei cannoni nemici piovevano dentro il paese, per cui ordinate le compagnie su quella piazza, le fece poi avanzare sulla strada Sant'Angelo, mentre Garibaldi stesso si metteva alla testa della Brigata, alla quale Türr unì anche Rüstow suo capo di Stato Maggiore, il quale era arrivato con i suoi usseri da Caserta.

Türr appena dati questi ordini, si portò a Porta Capua di Santa Maria per esaminare l'azione, e vi trovò Milibitz ferito, per cui fattolo trasportare in una casa per fasciarsi, raccolse dal colonnello Parcelli Capo dello stato maggiore di Milibitz il ragguaglio delle posizioni come si trovavano in quel momento occupate e si affrettò a dare gli ordini necessari per l'azione.

I garibaldini in quel frattempo si trovavano così distribuiti: presso Santa Maria all'anfiteatro, Corrao con La Porta e Pace, dietro costoro una parte delle forze di Assanti e a sinistra di Porta Capua di Santa Maria si trovava Palazzolo e Langè Sprovieri con i volontari di Napoli. A Santa Maria, estrema sinistra garibaldina i reggimenti Malenchini e Fardella con batteria. A Porta Capua era piazzata la batteria Türr, la quale in quel giorno avendo avuto molte perdite, era aiutata da alcuni artiglieri piemontesi, i quali erano venuti a passeggio da Napoli a Caserta ed avevano ottenuto da Türr il permesso di andare al campo. Il maggiore Angherà spiegò molta abilità ed energia con i pochi cannoni che aveva contro i Borbonici, il capitano Ferrari comandante la batteria Türr fu ferito.

Tutti erano sfiniti dalla lotta che fin dall'apparire del giorno avevano sostenuto, quindi Türr era obbligato a continuare la difensiva fino all'arrivo totale dei suoi rinforzi; però dava ordine agli usseri di caricare il nemico ogni qualvolta si avanzasse e alla batteria Türr piazzata a Porta Capua di Santa Maria di far fuoco continuamente. Il capitano di Stato Maggiore Adamoli, finalmente portò l'avviso al generale Türr che la Brigata Eber della sua Divisione era arrivata in Santa Maria, per cui egli sentendo il vivissimo fuoco con il quale era accolta la Brigata Milano uscita con Garibaldi, mandò in aiuto di essa il Brigadiere Eber con la legione ungherese, la compagnia Cacciatori esteri ed un reggimento con l'ordine di portarsi all'ala destra della Brigata Milano.

Türr appena dati gli ordini ad una metà della brigata Eber di raggiungere Garibaldi sulla strada di Sant'Angelo, prese l'altra metà e con essa si rivolse a Porta Capua di Santa Maria, dove poco prima eseguivano i due squadroni di usseri ungheresi, guidati dal maggiore Scheiter, una carica che riuscì efficacissima; quindi ordinò a Corrao e La Porta di raccogliere quanti uomini potevano e di avanzare a destra della strada per coprire la sinistra della brigata Milano. Inviò inoltre il battaglione Tanara a sinistra della strada verso Sant'Agostino appoggiandolo con il battaglione Tasca, accompagnato dallo stesso comandante il reggimento, tenente colonnello Bassini, con ordine di rigettare il nemico ed impossessarsi del Convento Cappuccini e fece infine avanzare anche il suo 2° battaglione dello stesso reggimento, ultimo della riserva, comandato dal maggiore Cucchi, dal quale distaccò una compagnia in aiuto del brigadiere Malenchini. Anche a questo il generale Türr inviò ordine col suo aiutante Bezzi di raccogliere quanti uomini poteva e avanzarsi lungo la ferrovia; gli squadroni usseri ungheresi col maggiore Scheiter, furono piazzati tra le truppe di Malenchini ed il reggimento Bassini della brigata Eber. Questo reggimento comandato dal tenente colonnello Bassini, sboccava da Porta Capua unitamente ai bersaglieri comandati da Tanara. A Sant'Agostino erano già attaccati dai Borbonici; la batteria Türr e la batteria a sinistra della ferrovia seguivano a vomitare fuoco, mentre un feroce attacco alla baionetta s'impegnò. I Regi scossi da quell'urto violento ed inaspettato, abbandonarono Sant'Agostino e ripiegarono fino al Convento dei Cappuccini.

Il generale Medici che riconosce il potente aiuto dalla parte di Santa Maria, rianima i suoi stanchi soldati e li riconduce alla battaglia; i borbonici caricati ad ogni passo alla baionetta, mitragliati dalla batteria Garibaldi che è posta a diritta ed a sinistra dello stradale di Sant'Angelo, non reggono più a quell'impeto: essi sono ricacciati da posizione a posizione ed incalzati tanto dalla parte di Sant'Angelo e Santa Maria, abbandonano il campo lasciando molti prigionieri, diversi cannoni, e si riducono sotto Capua coperti dall'artiglieria della Fortezza. Verso le sei pomeridiane tutta la linea di battaglia da Santa Maria alle alture di Sant'Angelo era restaurata, i nemici avevano abbandonate tutte le posizioni ai garibaldini che riposavano sul campo, dal quale erano stati rigettati la mattina.

Sopraggiungeva dalla linea Santa Maria il generale Türr con alcuni battaglioni di rinforzo, coi quali occupò tutta la linea fino alla foresta sulla strada di Castel Volturno a Capua. Finita l'azione, vinta la giornata, il generale Türr su tutta lalinea di Santa Maria stabiliva i suoi avamposti e ordinava s'inviassero alcuni drappelli di soldati per raccogliere i feriti sulcampo. Un allarme vi fu in Caserta dopo la partenza della riserva per Santa Maria, causato dalla notizia che i garibaldini si ritiravano da Caserta Vecchia. Il timore aveva invaso gli animi della popolazione e molti della borghesia e del popolo volevano a viva forza essere trasportati da Caserta a Napoli con un treno che si trovava alla stazione sempre pronto per il servizio di guerra, ma il generale Türr aveva lasciato con le debite istruzioni un suo ufficiale di Stato Maggiore in Caserta, che, con alcuni uomini del presidio della piazza, impedì la partenza del treno.

Appena ristabilite le cose sulla linea Santa Maria-Sant'Angelo, Türr parlando con Sirtori gli disse che era tempo di occuparsi di quei Borbonici veduti sulle alture di Caserta Vecchia. Il generale Sirtori mandò ordine ai brigadieri Corti ed Assanti, di marciare con un reggimento della loro brigata, il primo da Aversa il secondo da Sant'Angelo per Caserta, dove si erano pure raccolti i Calabresi di Stocco e dove lo stesso generale Sirtori si era recato. Da Caserta egli avvisò di mandare un ufficiale di Stato Maggiore in ricognizione verso Caserta Vecchia, per esplorare le forze e le posizioni del nemico. Questa missione fu affidata al capitano Pecorini, il quale potè nella notte del 1 ottobre ragguagliare con precisione lo Stato Maggiore generale dei movimenti del corpo di Perrone. Garibaldi fece chiamare nella notte il brigadiere Spangaro della divisione Türr e gli ordinò di tener pronto prima dell'alba un battaglione della sua brigata per marciare con lui.

Spangaro comprendeva benissimo che dopo la sostenuta giornata campale non sarebbe stato possibile di trovare un battaglione atto a marciare così presto, per cui raccolti dalle diverse compagnie gli uomini più validi, formò un battaglione ed affidò il comando al maggiore Baganti. Il generale Garibaldi mandò avanti Missori con le sue guide per scoprire il nemico, quindi da Sant'Angelo mandò a Caserta il battaglione della Brigata Spangaro, i carabinieri Genovesi e pochi altri volontari, in tutto 650 uomini circa. Garibaldi arrivò a Caserta prima di queste forze e fece telegrafare al generale Bixio dicendogli di cooperere impedendo che la colonna borbonica tagliasse le comunicazioni tra San Michele e Caserta.

Alle quattro di mattina del 2 ottobre il generale Sirtori faceva partire da Caserta per San Leucio i Calabresi di Stocco, il 1° reggimento della Divisione Cosenz Brigata Assanti e per Cassola il 3° della stessa Divisione. Bixio lasciò alla Brigata Fabrizi la custoodia delle posizioni verso Maddaloni, spinse la 1° Brigata ad occupare alle spalle del nemico le alture del Monte Viro mentre egli con la 2° Brigata e la Brigata Eberhardt della Divisione Medici, marciò direttamente su Caserta vecchia. Alla mattina alcune compagnie della Brigata Sacchi sortite in ricognizione col tenente colonnello Vinkler lungo la muraglia che cinge il parco di San Leucio, furono attaccate da un distaccamento della colonna Perrone e costrette a ritirarsi mentre il tenente colonnello Vinkler ed il suo cavallo furono feriti, ma rinforzate da altre truppe della stessa Brigata Sacchi costrinsero il nemico a ripiegare.

Intanto i borbonici da Caserta Vecchia puntavano a Caserta nuova, ma Garibaldi con i volontari condotti da Sant'Angelo e con quanti gli venivano sotto mano arrestò loro la marcia mentre il generale Stocco con una colonna Calabresi e il generale Sacchi con un battaglione bersaglieri Piemontesi ed un battaglione di fanteriain pure dell'armata settentrionale, si spingevano sulla montagna, attaccavano la colonna nemica facendola in parte prigioniera mentre il romanente si disperdeva. Sacchi, quando vide che la colonna nemica prendeva la montagna, mandò il maggiore Isnardi della sua Brigata e parte della Brigata Assanti a tagliarle la ritirata e fece molti altri prigionieri. L'avanguardia di Perrone, arrivata fino alle prime case di Caserta, fu respinta dal 2° battaglione bersaglieri della Divisione Cosenz che era di riserva in Caserta; il restante della colonna Perrone fu fatto prigioniero dal generale Bixio. Pochi di quella colonna poterono salvarsi riguadagnando la scafa di Limatola ed il generale Bixio annunziò questo successo al generale Türr.

Così si chiuse la battaglia del 1 e 2 ottobre, la quale seppelli ogni speranza di rivincita dell'esercito Borbonico. Una parte splendida e fruttuosa è dovuta alla riserva portata dal generale Türr, che entrava con un resto della sua Divisione in azione nel momento più opportuno per ristabilire le sorti della battaglia e contribuire potentemente al completo rovescio delle armi borboniche rigettandole nella fortezza. I garibaldini perdettero in quella giornata 2013 uomini, dei quali 306 morti, 1328 feriti, 389 dispersi. Il generale Garibaldi compensò gli sforzi della 15A Divisione,incaricando Türr di esprimere alla stessa in suo nome i più lusinghieri elogi, che furono da Türr subito comunicati con un ordine del giorno.


[1] - Carlo Pecorini Manzoni - Storia della 15A divisione Türr nella campagna del 1860 in Sicilia e a Napoli - Tipografia della Gazzetta d'Italia - Firenze, 1876.   <<

[2] - Il 15 giugno 1859 Türr, che faceva parte dei volontari dei Cacciatori delle Alpi, durante lo scontro di Treponti, vicino a Brescia, era rimasto gravemente ferito al braccio sinistro rischiando l'amputazione del braccio. A seguito di ciò era stato collocato a riposo per causa di servizio e riceveva una pensione vitalizia di 2400 lire. Quando Garibaldi lo chiamò per condurlo con sé in Sicilia, stava curandosi ai bagni di Acqui.   <<


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