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La spedizione Medici


Premessa

Quando si parla di Garibaldi e della spedizione in Sicilia del 1860 si pensa sempre ai soli Mille trascurando le numerose spedizioni successive che portarono migliaia di volontari il cui apporto fu decisivo per il successo dell'impresa. Ben pochi autori citano queste spedizioni fra le quali la più nota è la Spedizione Medici.

Uno dei motivi di questa maggiore notorietà è che fu la prima grossa spedizione dopo quella dei Mille (prima di questa vi era stata solo la spedizione di Agnetta sull'Utile ma che era servita più che altro a portare armi e munizioni a Garibaldi) ma sicuramente dipende anche dal fatto che viene citata da Giuseppe Cesare Abba, il più noto fra gli storici della spedizione in Sicilia, che, nella sua opera più famosa Da Quarto al Volturno [1], scrive: Medici è arrivato con un reggimento fatto e vestito. Entrò da Porta Nuova sotto una pioggia di fiori. Quaranta ufficiali, coll'uniforme dell'esercito piemontese, formavano la vanguardia.

Alexandre Dumas, il famosissimo autore de' Il conte di Montecristo e de' I tre moschettieri, che, nel 1860, raggiunse Garibaldi a Palermo il 9 giugno sul proprio yacht e che l'anno successivo, pubblicò un libro intitolato Les garibaldiens [2], racconta che Medici aveva il compito di preparare le successive spedizioni ma poi non parla più delle spedizioni successive a quella dei Mille se non per raccontare l'arrivo, a Palermo, della spedizione Medici che, per altro, pone al 19 giugno anziché al 21 come dice Abba.

Anche un famoso autore contemporaneo come Indro Montanelli che, nel 1962, ha pubblicato, insieme a Marco Nozza, un libro intitolato appunto Garibaldi [3] dice ben poco sulle spedizioni successive alla prima e racconta solo della spedizione Medici di tremila volontari che dice voluta dal Cavour dopo che il 29 maggio aveva appreso della caduta di Palermo.

Tutti questi autori però non ci raccontano cosa accadde ai volontari di Medici dopo il loro arrivo trionfale a Palermo per cui ho cercato qualche altro libro nel quale trovare la storia della spedizione. Un'opera che dà un discreto numero di notizie sulla spedizione Medici ed anche sulle altre spedizioni successive a quella dei Mille è Garibaldi and the making of Italy [4] dello storico George Macaulay Trevelyan.

Di opere dedicate interamente alla spedizione Medici ve ne sono però ben poche. Un'interessante articolo sulla spedizione Medici e su quella successiva di Cosenz [5] è stato scritto da Alessandro Luzio in occasione del cinquantenario dell'impresa di Garibaldi e pubblicato sulla rivista La Lettura ma vi si parla esclusivamente dell'organizzazione della spedizione e del perché si decise di non inviarla nello Stato Pontificio come si era invece pensato in un primo tempo.

Esiste però un dettagliato racconto della spedizione Medici scritto da uno di coloro che vi parteciparono e che è basato sui taccuini di note riempiti giorno per giorno dal garibaldino Piero Corbellini che pubblicò i suoi scritti oltre cinquant'anni dopo gli avvenimenti che descrive [6]. Si tratta di un libro molto interessante e ben scritto che riporta anche molte annotazioni sui costumi locali e sui monumenti visti e che mi è stato molto utile per scrivere questa pagina.

Un altro libro interessante che ho letto è La battaglia di Milazzo narrata dal Generale Giacomo Medici al Capitano Pasini [7] che fu pubblicato a Cremona nel 1883 e dove si parla non solo della battaglia ma anche dell'organizzazione e della partenza della spedizione.

In francese abbiamo Souvenirs et aventures d'un volontaire garibaldien [8] scritto da Clément Caraguel che partecipò alla spedizione Medici imbarcandosi sull'Washington. Lo sto ancora leggendo, però ho già visto che si tratta di un libro interessante e ricco di aneddoti ma, purtroppo, quasi del tutto privo di indicazioni temporali precise.

L'organizzazione della Spedizione Medici

Garibaldi, quando salpa da Quarto con i Mille, lascia a Genova Giacomo Medici, che aveva combattuto assieme a lui nella difesa della Repubblica Romana e nei Cacciatori delle Alpi, per comandare la successiva spedizione che poteva essere sia contro lo Stato Pontificio, sia in appoggio a quella in Sicilia.

Proprio il 5 maggio, giorno della partenza, scrive una lettera a Medici che dice:

Caro Medici,

E' meglio che tu resti: puoi essere più utile restando. Bertani, Lafarina, la Direzione dei fucili di Milano, ti forniranno, alla presentazione di questa, tutti quei mezzi di cui avrai bisogno. Non solamente tu devi fare ogni sforzo per inviare soccorsi di gente ed armi in Sicilia, ma per fare lo stesso nelle Marche e nell'Umbria ove presto sarà l'insurrezione e converrà soccorrerla a tutta oltranza.
Dirai agli italiani che ti seguano con tutta fiducia, che l'ora è venuta alfine di far quest'Italia che tutti ambiamo e che per Dio capiranno una volta che i nostri nemici sono forti della nostra paura e dell'indifferenza nostra
.

Alessandro Luzio, nel suo articolo sull'organizzazione delle spedizioni Medici e Cosenz, sostiene che nella trascrizione di questa lettera c'è stato un errore e che, invece di ma per fare c'era scritto ma pure farai e che ciò dimostrerebbe come Garibaldi volesse che lo sforzo maggiore fosse fatto da Medici per appoggiare la rivoluzione in Sicilia e che invece fosse secondario il concorso da prestare alla diversione nelle Marche e nell'Umbria.

Non si vede però come, da questa lettera, si possa dedurre ciò considerando che il 7 maggio, dopo che Garibaldi è partito, Medici, in una lettera a Panizzi, dice di pensare che l'invasione dello Stato Pontificio sia il suo più probabile destino e che lo stesso giorno, quando a Talamone Garibaldi affida il comando della diversione a Zambianchi, lo informa che una spedizione comandata da Medici o da Cosenz lo avrebbe poi raggiunto e che egli stesso, Garibaldi, sarebbe sopraggiunto a prenderne il comando.

Per altro anche nel libro di Pasini, che fu rivisto e corretto da Giacomo Medici in persona, c'è scritto ma per fare e del resto lo stesso Luzio cita la lettera che Garibaldi manda a Bertani il 13 maggio dove scrive:

Non dubito che si faccia altra spedizione per quest'isola ed allora avremo anche più gente. Medici dovrebbe occuparsi del Pontificio e diedi ordini a Zambianchi di mettersi a sua disposizione. Serva questa per Medici e per Finzi-Besana.

Non ci possono essere quindi molti dubbi sul fatto che Garibaldi sperasse di riuscire ad attaccare il Regno delle Due Sicilie da nord attraversando Marche ed Umbria.

E' invece piuttosto probabile che Medici, dopo avergli parlato personalmente, abbia condiviso la tesi di Cavour secondo cui non era possibile operare nell'Umbria e nelle Marche finché vi erano i francesi a Roma ma è impossibile dire cosa avrebbe fatto Medici se la diversione di Zambianchi avesse avuto successo e la rivolta fosse scoppiata in Umbria e nelle Marche.

Dopo il 21 maggio però il problema non si pone più perché giungono le notizie della vittoria di Garibaldi a Calatafimi e del fallimento della diversione di Zambianchi per cui non c'è dubbio che Medici debba andare in Sicilia. Intanto molti soldati dell'esercito regolare chiedono le dimissioni o addirittura disertano per correre in Sicilia da Garibaldi per cui Medici pubblica un articolo sul giornale Il Pungolo del 23 maggio dove invita i soldati ad essere disciplinati ed assicura che arriverà il momento di combattere.

Secondo Antonio Balbiani [9] il dissidio sul da farsi era stato fra Bertani che voleva che la seconda spedizione approdasse in Abruzzo operando una nuova diversione che impedisse al governo di Napoli di mandare altre truppe in Sicilia e La Farina che temeva che il piano fosse di compromettere diplomaticamente il governo sabaudo e di trascinarlo ad abbracciare la politica della rivoluzione.

Coloro che sostenevano La Farina obiettavano che, mentre Garibaldi si trovava con soli mille uomini di fronte all'esercito regio, sarebbe stata follia e temerarietà disseminare le forze anziché concentrarle dov'era maggiore il bisogno.

Il Balbiani trova corretto questo ragionamento e dice che, militarmente parlando, uno sbarco nelle Romagne o in Abruzzo poneva i volontari nella necessità di lottare cogli eserciti pontificio e borbonico e forse anche colle truppe della occupazione francese mentre, in Sicilia si doveva combattere solo l'armata già vinta e disordinata del Lanza, né era credibile che la Corte di Napoli, in vista dei movimenti insurrezionali manifestatisi anche in terraferma, osasse spedire nuove forze nell'isola.

Il viaggio e l'arrivo a Palermo

Quando Medici abbandona l'idea di sbarcare nello Stato Pontificio la spedizione riceve tutti gli aiuti possibili da Cavour e dal fondo per un milione di fucili. I vapori, le armi ed il denaro per questa spedizione ed anche per quella successiva di Cosenz sono di fatto forniti dalle agenzie di Cavour.

I tre vapori che dovevano portare Medici ed i suoi uomini in Sicilia vengono acquistati da una compagnia francese a nome di De Rohan che era un americano fedele alla causa italiana e sono ribattezzati con i nomi di Washington, Oregon e Franklin. In precedenza si chiamavano rispettivamente Helvétie, Belzance ed Amsterdam. Nei vari libri che raccontano le avventure dei Garibaldini si trovano a volte i nuovi nomi ed a volte i vecchi generando così confusione.

I volontari disponibili però erano di più di quelli che potevano portare i tre vapori per cui 900 volontari, al comando di Corte, vengono imbarcati in parte sull'Utile che aveva già portato in Sicilia la Spedizione Agnetta. Non potendo portare così tanti uomini, l'Utile rimorchiava il clipper americano Charles Georgy con a bordo la maggior parte dei volontari tra i quali gran parte di quelli che erano stati sbarcati a Talamone per partecipare alle diversione nello Stato Pontificio e che avevano chiesto ed ottenuto di essere arruolati con Corte.

Il motivo di questa richiesta era che sapevano che l'Utile partiva prima. In realtà l'Utile partiva prima solo perché era più lento ed il piano era che si ricongiungesse ai vapori partiti dopo di lui a Cagliari per poi proseguire assieme verso la Sicilia. L'8 giugno quindi l'Utile salpava da Conegliano con a bordo 900 al comandi di Corte ma che dovevano poi riunirsi con quelli della Spedizione Medici della quale facevano parte.

Intanto i volontari continuavano ad affluire. Il 9 giugno partono i pavesi dei quali fa parte Piero Corbellini che ci ha lasciato un diario molto dettagliato e molto interessante sulle vicende da lui vissute con la Spedizione Medici. Come era già successo con la Spedizione dei Mille l'avviso di partire arriva all'ultimo momento e Corbellini non ha il tempo di avvisare i suoi che vivono a quattro chilometri da Pavia.

I volontari pavesi partono tutti assieme a mezzogiorno uscendo da Pavia da Porta Cremona e vanno a piedi fino a Stradella per prendere il treno [10] fermandosi a mangiare all'osteria della Moncucca ed arrivando alle tre. Dopo una lunga attesa, giunge il treno ma la pazienza dei volontari è messa a dura prova perché il treno si mette in moto solo verso di sera.

Come i volontari arrivano a Genova vengono condotti difilato al mare e trovano due piroscafi pronti ad accoglierli (l'Washington e l'Oregon). Corbellini sale sull'Washington. I vapori poi si spostano a Cornigliano da dove salpano poco prima dell'alba del 10 giugno.

Lo stesso giorno, il Franklin salpa da un porto tra Pisa e Livorno con a bordo i volontari toscani che sono 800 e sono comandati da Malenchini. Fanno anch'essi parte della Spedizione Medici. Fra questi vi erano parecchi volontari che avevano partecipato alla diversione nello Stato Pontifico fra i quali gran parte dei livornesi di Sgarallino.

Oltre ai tanti volontari imbarcati la Spedizione Medici portava a Garibaldi i primi fucili Enfield che erano eccellenti ed arrivavano a sparare a 900 iarde. Quanti però ne portasse non è chiaro. Sembra certo che i 2500 volontari che riuscì a portare in Sicilia venissero poi armati con gli Enfield ma non si sa con sicurezza quante armi avesse in più: in una lettera a Garibaldi Medici parla genericamente di 8000 fucili ma in un 'altra lettera dice di aver portato 10000 armi oltre a quelle che armavano la sua spedizione.

Il viaggio fino a Cagliari ci viene raccontato da Corbellini che ci dice l'Washington è stracarico e manca lo spazio per muoversi. Si dice che, a bordo, vi siano circa mille e cinquecento volontari circa. I pavesi sono poco meno di un centinaio, nella massima parte dai 20 ai 25 anni d'età, alcuni sono già avvezzi al maneggio delle armi e buoni tiratori.

E' interessante sapere che Piero Corbellini, benché fosse di famiglia benestante e persona istruita, è la prima volta che vede il mare. Viene distribuita della galletta e dell'acqua. Alla notte ognuno si distende dove può sul ponte o sotto coperta dove però si soffocava per il caldo. L'11 giugno si costeggia la Corsica ma, quando si è in vista dello stretto di San Bonifacio, si trova un mare molto agitato che fa star male molti dei volontari, tanti dei quali, come Corbellini, non avevano mai visto il mare prima di allora.

La situazione poi migliora. Si costeggia la Sardegna ed, al mattino del 12, si entra nel porto di Cagliari. Cade un uomo in mare ma viene prontamente soccorso da un garibaldino che è un bravo nuotatore e che si slancia nell'acqua. I volontari vorrebbero scendere ma invece devono rimanere a bordo. In precedenza era stato distribuito a tutti il berretto con il distintivo ma ora vengono formati i reggimenti e distribuite le divise.

Piero Corbellini viene assegnato alla Brigata Medici, 1° Reggimento, 2a Compagnia dove sono stati concentrati molti pavesi. Nella 3a Compagnia si sono invece raggruppati gli studenti. I comandanti sono Medici, Simonetta, Cadolini e Guastalla (che fa parte dello Stato Maggiore). La divisa consiste in una giubba grigia con una listerella rossa lungo il petto e con i bottoni argentati, dei calzoni di tela grezza con le uose, pure di tela ed un berretto di panno blu scuro, contornato di una striscia di panno rosso e con davanti uno stemma di ottone argentato rappresentante una trombetta. Inoltre vengono distribuiti a tutti anche una borraccia ed un tascapane.

Il 13 giugno le navi restano ferme in porto e non viene permesso ai volontari di sbarcare. Non se ne sa il motivo. I volontari cercano di passare il tempo come possono. Un volontario, forse ungherese, dopo aver bevuto parecchio, si arrampica sull'albero di poppa da dove diverte gli astanti con lazzi vari ma poi non è più capace di scendere e così quattro marinai lo devono legare e calarlo giù con una carrucola.
Un altro volontario, pentito di aver abbandonato la moglie senza nemmeno avvisarla, dà in smanie e viene condotto a terra. Anche il giorno successivo passa allo stesso modo. Comincia a spargersi la voce che l'Utile ed il clipper che trainava sarebbero stati catturati dalla flotta borbonica [11].
Il 13 arriva a Cagliari anche il Franklin con a bordo i volontari di Malenchini partiti da Livorno.

Il 15 vengono distribuite le carabine, le baionette e le giberne. Corbellini racconta che le armi sono inglesi, belle e leggere confermandoci così che i componenti della Spedizione Medici vengono equipaggiati con i nuovi e potenti Enfield. Corbellini ricorda anche il numero di serie della sua carabina che era il 1375 e spiega che lo ricorda facilmente perché corrisponde all'anno della morte di Giovanni Boccaccio.
Vengono distribuite anche le scarpe sulle quali si ride molto perché sono grandi e color cuoio ed hanno l'aspetto di barchette o di cassettine di legno per l'orto.

Medici organizza i suoi uomini in due reggimenti più un battaglione. Al comando del 1° reggimento viene nominato il colonnello Simonetta, al comando del 2° reggimento viene nominato Malenchini ed al comando del battaglione Caldesi. A Cagliari Medici avrebbe dovuto ricevere da Garibaldi delle indicazioni sul luogo dove sbarcare ed infatti vi trova una lettera di Garibaldi che è interessante perché mostra come Garibaldi pensasse sempre a tutte le possibili alternative e non si buttasse affatto in un'impresa senza averla ben valutata come molti erroneamente credono e dà quindi istruzioni su come comportarsi se attaccati da navi borboniche durante lo sbarco.

La lettera, datata Palermo, 13 giugno 1860, dice:

Mio caro Medici,

In caso questa ti giunga a tempo, verrai ad effettuare lo sbarco tuo nel Golfo di Castellamare. In qualunque parte di quel Golfo lo credo buono; e, se hai pratici, cerca dunque un luogo dello stesso dove tu possa sbarcare comodamente quanto possibile.
Non credo vi sieno legni regi napoletano in quel paraggio; ma, se ne trovassi, procura di la costa più prossima ed arena i tuoi legni a dirittura in luogo dove sembri più avvicinabile la terra. Nello arenarti (se vi fossi costretto) si arenino i legni parallelamente alla costa per avere più spazio coperto per lo sbarco della gente, armi, etc.
I napoletano sono quasi tutti partiti ed i pochi che restano sono in vicinanza del Molo di Palermo. Voi troverete un entusiasmo immenso in tutte le coste della Sicilia e massimo nelle prossimità delle coste accennate e cioè Carini, Partinico, Alcamo, etc.
I legni da guerra napoletani li credo per la maggior parte occupati al trasporto delle loro truppe.
T'aspetto dunque con impazienza.
.

Garibaldi, per altro, informa delle mosse di Medici anche l'ammiraglio piemontese Persano che sa che la flottiglia di Medici punterà su Palermo se ciò sarà possibile o altrimenti andrà a Marsala e che provvede ad agevolare la spedizione mandando la fregata Carlo Alberto ad incrociare davanti al golfo mentre lui stesso, a bordo del Gulnara fiancheggia a distanza le navi dei garibaldini.

Finalmente a mezzogiorno l'Washington leva le ancore e si riparte. La nave raggiunge gli altri vapori: l'Oregon con cui aveva fatto il viaggio fino a Cagliari e che portava circa 200 volontari al comando di Caldesi ed il Franklin che era salpato dalla Toscana e che portava circa 800 volontari al comando di Malenchini.

Il 16 trascorre in navigazione e vengono distribuite le munizioni. Qui la narrazione di Pasini e quella di Corbellini divergono: entrambi affermano che la partenza avvenne a mezzogiorno del 16 ma Pasini dice che lo sbarco avvenne il 17 sera mentre Corbellini lo pone nella notte fra il 16 ed il 17. Considerata la distanza fra Cagliari e Palermo è più probabile che abbia ragione Pasini.

Verso sera si vedono le coste della Sicilia. Prima della notte, mentre sono nella zona più pericolosa vicino alle coste siciliane, vedono un vascello da guerra piemontese venire verso di loro è il Gulnara il cui comandante sale a bordo dell'Washington per parlare con Medici e chiede, a nome dell'ammiraglio Persano, di consegnare Mazzini. Medici assicura che, benché a bordo ci siano i repubblicani Alberto Mario e sua moglie Jessie White Mario, Mazzini non c'è.

Poche ore dopo raggiungono Castellammare del Golfo ad una cinquantina di chilometri ad ovest di Palermo ed iniziano lo sbarco prima di mezzanotte aiutati da numerosissimi battelli che si sono staccati da riva. La 2a Compagnia, della quale fa parte Corbellini, di notte rimane a bordo a guardia del bastimento per timore di una sorpresa da parte dei borbonici e sbarca solo alla mattina.

Corbellini racconta che il 17 giugno, che è domenica, i volontari si riposano e si bagnano in mare (se lo sbarco avvenne il 17 sera ciò dovrebbe essere accaduto il 18) ed intanto arriva Garibaldi che, informato dello sbarco, è accorso da Palermo e che riparte nel tardo pomeriggio su di una piccola barca a vela accompagnato da Canzio e da altri.
Verso sera anche i volontari si mettono in marcia arrivando, prima della mezzanotte, ad Alcamo dove sono accolti dalla musica e con le luminarie. Vengono alloggiati in un antico convento.

Anche Pasini racconta che Garibaldi accorse subito dopo lo sbarco ma non precisa il giorno. Racconta però che l'ammiraglio Persano aveva convinto Garibaldi a mandare Bixio a dire a Medici di sbarcare più vicino a Palermo ma poi lo stesso Persano aveva detto a Garibaldi che forse era meglio lasciare le cose come stavano.

Non si fece in tempo però a comunicare con Bixio che così comunicò al Franklin di sbarcare a Palermo ma non riuscì a contattare le altre due navi, per cui i volontari di Malenchini sbarcarono direttamente a Palermo e tutto gli altri a Castellamare del Golfo.

Il giorno successivo i volontari vengono lasciati liberi di girare per Alcamo e molti di loro, fra i quali anche Corbellini, sono invitati a pranzo dalle famiglie del posto. Alle cinque del pomeriggio viene ripresa la marcia giungendo, alle undici di sera, a Partinico dove vengono accolti dalla banda musicale e dalle luminarie.

Il 19 ed il 20 i volontari si riposano ripartendo poi nella notte del 20 e bivaccando fra i monti. Alle due del pomeriggio del 21 giugno la colonna arriva a Monreale sostando presso il Duomo fino alle cinque. La strada fino alla vicina Palermo è gremita di popolo in festa e vi sono anche molti preti e frati dalle vesti di varie fogge e di colori diversi.

Garibaldi è uscito dalla porta della città ed accoglie i volontari che entrano in Palermo quando ormai è quasi sera percorrendo la via principale della città in un subisso di applausi, uno sfolgorare di luce ed uno sventolare di bandiere mentre le giovani popolane distribuiscono rose, garofani e strette di mano e dai balconi le signore gettavano fiori a piene mani che cadevano come pioggia sulle schiere dei volontari.

Pasini racconta che Cosenz arrivò in Palermo alla mattina del 21 ma qui la discrepanza con quanto detto da Corbellini è pienamente spiegabile in quanto è evidente che Cosenz abbia preceduto il grosso delle sue truppe.

La battaglia di Milazzo

A Talamone i Mille si erano organizzati secondo lo schema già utilizzato nei Cacciatori della Alpi per cui formavano un'unica Brigata suddivisa in Reggimenti e Compagnie. I volontari arrivati con Medici formano un'altra Brigata che viene chiamata Brigata Medici. Medici stesso ci dice, in quel momento, i garibaldini non superavano i cinquemila ed erano praticamente privi di cavalleria e di artiglieria.

Per alcuni giorni i volontari arrivati con Medici sono lasciati liberi di girare per Palermo. Corbellini va a visitare vari luoghi fra i quali anche le sepolture del chiostro dei Cappuccini che lo colpiscono alquanto visto che in questa specie di catacombe si conservano disseccati i cadaveri disposti in lunghe file come fossero vivi.

Piero Corbellini, nelle sue note, segnala anche gli eccessi della rivoluzione riportando quanto gli ha raccontato un povero vecchio e cioè che, nei giorni precedenti e specialmente il 16 giugno, le spie della polizia, i cosiddetti sorci venivano scovati dalla plebe e trucidati. Le autorità garibaldine però intervennero a far cessare gli eccidi, minacciando la morte ai colpevoli di assassini.

Era previsto che la Brigata Medici ripartisse il 25 giugno ma poi un contrordine sposta la partenza al giorno successivo. Corbellini rimane a Palermo perché deve scortare i bagagli e si ricongiunge ai suoi compagni il 27 giugno a Bagheria dove i garibaldini sono acquartierati nella villa Palagonia i cui giardini, adornati da centinaia di statue caricaturali in marmo, colpiscono Corbellini che scrive penso che queste bizzarrie accusino un pervertimento dell'estetica.

I garibaldini vengono suddivise in tre colonne circa di egual forza. Quella comandata da Bixio deve percorrere il lato orientale dell'isola, quella di Türr il centro e quella di Medici doveva percorrere la parte settentrionale e cioè la via più breve fra Palermo e Messina. Medici stesso dice che questa strategia potrebbe essere giudicata errata in quanto si dividevano le forze senza che poi potessero appoggiarsi fra loro ma che lo scopo era di percorrere le zone più popolose raccogliendo altri volontari per poi giungere assieme su Messina che era la fortezza più temibile.

I volontari di Medici rimangono a Bagheria per tutto il 28 giugno provando varie manovre e ne ripartono alle tre di notte per arrivare, il giorno successivo, a Termini Imerese dove Corbellini è accolto nel palazzo del Barone di Sant'Anna. Medici ha con sé solo i reggimenti Simonetta e Malenchini perché il battaglione Caldesi era stato assegnato alla colonna di Bixio.
Il 29 ed il 30 vengono dedicati nuovamente alle manovre ed al tiro al bersaglio. Un frate del locale convento chiede di essere arruolato nei garibaldini.

Qui però accade una disgrazia. Un giovane del luogo, maneggiando con imprudenza la rivoltella d'un garibaldino con il quale si era trovato, ne fa scattare il grilletto e riceve una palla in pieno petto rimanendone ucciso. Il generale Medici vuole appurare quanta fosse la responsabilità del volontario possessore dell'arma e riunisce il Consiglio di Guerra ma la madre stessa del caduto si presenta spontaneamente testimoniando che si era trattato di una disgrazia e scagionando il garibaldino.

Alla sera del 1 luglio la Brigata Medici lascia Termini Imerese ed alle due di notte giunge a Campofelice per poi proseguire fino a Cefalù dove arriva nel tardo mattino del 2, passando sotto archi trionfali e tra una folla di cittadini che getta fiori, corone di alloro, nastri tricolori e fogli manoscritti recanti versi patriottici. Al generale Medici viene offerto un sonetto, firmato Mezzarena, dedicato alla memoria di Salvatore Spinuzza, ucciso dai borbonici il 14 marzo 1857.

Il 3 luglio i garibaldini rimangono a Cefalù e continuano le solite esercitazioni militari. In questo momento sono tre le colonne garibaldine che stanno percorrendo la Sicilia: quella di Medici si muove lungo la costa nord e punta su Messina, il generale Türr, sta percorrendo il centro dell'isola ed il generale Bixio marcia lungo il litorale sud.

Alla sera i volontari ripartono, avanzando per lunghi tratti sulla sabbia della spiaggia, ed arrivano a mezzogiorno del 4 luglio a Santo Stefano di Camastra dove si fermano fino alla sera del 5 per poi proseguire fino a Sant'Agata Militello dove giungono alle dieci di mattina del 6 luglio. I garibaldini rimangono a Sant'Agata fino alla sera del giorno successivo e Corbellini scrive varie note sui modi locali di coltivare i campi e di sgranare il frumento che trova primitivi.

Alle otto di mattina del 8 luglio i garibaldini arrivano a Gioiosa da dove ripartono nel pomeriggio per poi arrivare a Patti il giorno successivo. Anche qui sono accolti entusiasticamente ed entrano in città sotto archi ornati di verzura e di fiori mentre una pioggia di fiori cadeva dai balconi gremiti.
La colonna di Medici però, invece di ingrossarsi di nuovi volontari, aveva perso quasi un centinaio di garibaldini che non erano riusciti a reggere il ritmo della marcia o si erano ammalati.

Alla sera del 9 si riparte da Patti per arrivare a Barcellona - Pozzo di Gotto il giorno successivo. Molti garibaldini sono alloggiati in una chiesa [12]. Dalle altane di alcune case si vede Milazzo dove vi è la fortezza borbonica. Il generale Medici assume il grado di Governatore della provincia di Messina, quantunque questa città sia ancora occupata dal governo borbonico.

Continuano le esercitazioni militari ed il 12 luglio Medici passa in rivista l'esercito garibaldino manifestando la propria soddisfazione per l'ordine perfetto e per la buona disciplina delle milizie. Intanto da Milazzo e da Messina giungono numerosi cittadini e vari disertori borbonici che si aggregano all'esercito garibaldino ed arrivano anche parecchi profughi calabresi.

Gli ordini dati a Medici erano di occupare Castroreale ed attendere ulteriori ordini. Medici aveva preferito porre il suo quartier generale a Barcellona dove era poi stato raggiunto da varie centinaia di volontari locali. Per proteggere Barcellona, Medici decide di spostare il suo comando a Merì.

Medici spiega questa sua disobbedienza agli ordini ricevuti in quanto Barcellona si era sollevata in armi ed una grossa colonna di borbonici si dirigeva sulla città. Medici, dopo essere arrivato a Barcellona con il suo solo Stato Maggiore, non voleva lasciare la città alla vendetta dei borbonici per cui avanzò su Merì dove la difesa era più facile che a Barcellona.

Alle tre di notte del 13 luglio i garibaldini si accampano alla fiumara di Merì mentre, per la prima volta da quando sono in Sicilia, cade una gran pioggia. Sono arrivati molti disertori da Milazzo portando la voce che la guarnigione di Milazzo sia stata rinforzata. In effetti il colonnello Bosco con 3000 uomini è uscito da Messina ed ha occupato Archi ed alcuni luoghi fuori Milazzo ma senza andare oltre ed anche lui attende ordini.

Il 15 luglio Bosco con i suoi uomini arriva subito al di là della fiumara tenuta da Medici. I garibaldini, sotto una pioggia torrenziale attendono l'attacco dei borbonici che però non avanzano e ripiegano invece su Milazzo.

Nella stessa giornata i volontari partiti con Corte e catturati dalla flotta borbonica, dopo essere rimasti a bordo per ben venti giorni protetti dalla bandiera americana per essere poi rilasciati e dopo essere tornati a Genova, ripartono per la Sicilia a bordo dell'Amazon. Fra di loro vi sono molti di quelli che hanno partecipato alla fallita diversione di Zambianchi partita da Talamone.

Visto che Bosco si è ritirato, Medici manda delle truppe al di là della fiumara per occupare Corriolo ed Archi dove il 15 era passato Bosco senza lasciare una guarnigione. Le istruzioni avute da Bosco però dicevano di occupare Archi per cui, la mattina del 17, manda quattro compagnie, comandate dal Maggiore Maringh, con l'appoggio di cavalleria ed artiglieria per riprendere Archi che era difesa da 300 garibaldini di Simonetta e circa 70 siciliani. Maringh attacca colla cavalleria, fa sparare l'artiglieria, riesce a fare qualche prigioniero e poi si ritira. Bosco lo mette agli arresti e manda nel pomeriggio sei compagnie comandate dal Tenente Colonnello Marra che attaccano Corriolo.

Medici manda in appoggio altri uomini da Merì compresi i toscani di Malenchini che avanzano alla baionetta. Marra cerca di aggirare Medici passando sui monti verso Santa Lucia del Mela ma si ferma a San Filippo del Mela. Corriolo rimane in mano a Medici mentre Archi è in mano ai borbonici ma a mezzanotte Bosco, credendo che Medici abbia con sé 7000 uomini, ordina la ritirata.

Medici allora manda un telegramma a Garibaldi annunciando la sua vittoria ma chiedendo nel contempo dei rinforzi. Infatti a Messina c'erano 15000 borbonici che, se avessero scoperto che aveva 2000 uomini e non 7000, avrebbero potuto attaccare in forze. La compagnia della quale fa parte Corbellini non partecipa ai combattimenti ma sta, per due giorni, agli estremi avamposti in attesa di un attacco.

Corbellini, oltre a segnare nelle sue note che il 18 luglio alle quattro c'è stata un'eclissi parziale di sole, racconta la battaglia di Corriolo in base a quanto scritto, anni dopo, da un suo commilitone e non la presenta come una vittoria. Dice infatti A tagliare la colonna del Bosco, fra le altre, furono spedite la 5a e la 7a Compagnia del Reggimento di Simonetta. Dovevano spingersi verso Spadafora e Gesso, ma Bosco mandò suoi soldati ad incontrarci, per cui, assai prima che fosse preveduto, noi ci trovammo circondati dal nemico, e chiusi in un micidiale cerchio di fuoco. Il nemico padrone della strada; questa, corsa dalla cavalleria. In meno di mezz'ora molti dei nostri sono prigionieri (quasi tutta la 5a Compagnia con il capitano Cattaneo) mentre la 7a Compagnia è decimata. Il capitano Mangili ordinò la ritirata. Due compagnie erano partite tre ore prima da Merì, e ora vi tornavano pochi uomini sbandati.

C'è da dire che, quanto raccontato da Corbellini, è solo uno degli episodi degli scontri avvenuti in quella giornata. Anche Giulio Adamoli, nelle sue memorie, racconta della cattura del capitano Cattaneo ma l'attribuisce al fatto che, con i suoi soldati, si era spinto troppo avanti finendo così circondato da soverchianti forze borboniche.

tra il 17 ed il 18 luglio arrivano a Merì la colonna Fabrizi di 300 volontari che aveva attraversato la Sicilia, il reggimento Dunne formato da 600 siciliani con ufficiali inglesi ed il generale Cosenz con un primo gruppo delle truppe che aveva appena portato a Palermo da Genova. Nella stessa giornata, Garibaldi, dopo aver ricevuto il telegramma di Medici, carica su di un vecchio vapore scozzese, il City of Aberdeen, i volontari appena arrivati a Palermo da Genova compresi quelli arrivati da meno di quattro giorni sul Saumont [13] al comando del maggiore Vacchieri. Imbarca anche i carabinieri genovesi che facevano parte dei Mille.

Proprio mentre stanno levando le ancore, entra in porto il vapore Amazon che porta da Genova i volontari di Corte che erano stati catturati un mese prima, portati a Gaeta e rispediti a Genova dove erano subito saliti su di un altro vascello. Garibaldi ordina che non sbarchino ma salgano a bordo del City of Aberdeen.

Alle 8 di mattina del 18 luglio, con circa 1500 volontari a bordo, Garibaldi lascia il porto assieme alla nave da guerra piemontese Carlo Alberto che aveva l'ordine di controllare che partissero senza problemi. Ad ora di colazione Garibaldi annuncia l'intenzione di tentare uno sbarco in Calabria ma poi, a notte fonda, sbarca con i volontari a Patti.

Non si sa se questa decisione sia stata influenzata dalla presenza della nave da guerra piemontese o dal telegramma ricevuto da parte di Medici che diceva L'inimico rinnova l'attacco con maggiore energia e con maggiori forze. Combattono tremila uomini su tutta la nostra destra contro cinquecento dei nostri. Il combattimento durò meglio di due ore, con fuoco nutrito, continuato, vivo, imponente. L'inimico ha bombe e cannoni, con posizioni bene scelte. Resiste energicamente. Due cariche alla baionetta dei nostri decidono della giornata. L'inimico si ritira in Milazzo: ha sofferto grave perdita di morti e feriti. Abbiamo fatto alcuni prigionieri. Lo spirito de' volontari è ammirabile.

Il 19 luglio Garibaldi si reca subito in calesse a trovare Medici. Intanto a Barcellona la chiesa principale era stata trasformata in ospedale per i feriti e quando passa Garibaldi, quelli che sono in grado di farlo scendono dai letti per vederlo. Giunto alla casa dove alloggiava Medici, Garibaldi pronuncia un breve discorso dal balcone e passa in rivista le truppe, poi Medici e Cosenz mandano delle guide in esplorazione ed osservano col binocolo le posizioni occupate da Bosco.

Dopo l'alba del 20 luglio i garibaldini muovono all'attacco. Simonetta è ad est, Medici al centro, Malenchini (che pur avendo fatto parte della spedizione Medici ora era sotto il comando di Cosenz) ad ovest dove incontra forte resistenza e si trova di fronte delle batterie di artiglieria per cui retrocede ed allora Garibaldi manda le truppe di Cosenz in soccorso poi si pone alla testa delle truppe di Medici ed avanza. Intanto i battaglioni di Simonetta e Specchi occupano la zona dei mulini che si affaccia sul golfo di Milazzo.

Alla battaglia partecipano anche il battaglione Corte di 600 uomini, il battaglione Speak della brigata Cosenz di 400 uomini, il battaglione Sprovieri di 300 uomini ed i battaglioni Vacchieri, Corrao e Borelli di 1500 uomini complessivi che assicurano la seconda linea e la riserva.
Queste truppe di riserva parteciparono anch'esse alla battaglia perché furono mandate in appoggio all'ala comandata da Cosenz.

Piero Corbellini racconta la battaglia come l'ha vissuta lui ma le sue note sono importanti per vedere la parte avuta dai volontari della Spedizione Medici. I volontari, dopo essere stati chiamati alle armi quando è ancora notte, al primo albeggiare, lasciano Merì ed avanzano fino ad una palazzina, in vista di Milazzo, dove viene ordinata una sosta.

Qui inizia una fitta sparatoria con i borbonici che si trovano alla loro estrema sinistra. Garibaldi non è lontano ed osserva le mosse dei borbonici. I garibaldini cercano di avanzare attraverso un vigneto fino ad arrivare ad un muretto che costeggia una strada. Al riparo dei muri i garibaldini avanzano lungo la strada. Il maggiore Migliavacca, comandante del Battaglione del quale fa parte la Compagnia di Corbellini, ordina di attaccare attraverso un campo.

Si avanza attraverso un canneto fino ad arrivare vicino al muro dietro al quale sono appostati i borbonici ma vi sono almeno quaranta metri di terreno completamente scoperto. C'è una fitta sparatoria finché viene dato l'ordine di ritirarsi. Viene occupato un casolare dove si trova un po' d'acqua, infatti i garibaldini hanno anche il problema della sete.

Poi si avanza su di un altra stradicciola sulla sinistra e dove la strada fa un gomito, si vedono i borbonici che vengono caricati alla baionetta e messi in fuga. I nemici vanno lentamente perdendo terreno ma i caduti sono molti. Corbellini annota La stanchezza è grande, la sete è terribile, più terribile del nemico che ci affronta con l'arme in pugno; ci bagniamo le labbra e la gola in una pozzanghera che troviamo sui nostri passi.

Avanzando i volontari di Medici giungono ad un ponte e si riparano dietro i parapetti. I garibaldini piazzano due piccoli cannoni che iniziano a martellare i borbonici mentre viene dato l'ordine che le carabine cessino il fuoco. Gli artiglieri sono bersagliati di colpi dal nemico finché parecchi cadono morti o feriti. L'ultimo rimasto, mancandogli lo straccio per la carica, si strappa di capo il berretto e lo spinge in bocca al cannone.

Quando i cannoncini sono resi inservibili, i garibaldini riprendono a far fuoco con le carabine. Il maggiore Migliavacca, che era a cavallo. è colpito al capo ed ucciso. I volontari avanzano di corsa alla baionetta e superano il ponte. Dopo la presa del ponte Garibaldi lascia il comando a Medici e sale sull'ex-nave borbonica Il Veloce che era passata dalla parte dei garibaldini il 5 luglio e che era stata ribattezzata Tüköry.

Quando i borbonici cedono, dalla fortezza di Milazzo escono dei rinforzi che però vengono bombardati a mitraglia dal Tüköry per cui desistono e rientrano nella fortezza. Dopo aver superato il ponte, le truppe di Cosenz e di Medici si ricongiungono ed attaccano le mura di Milazzo. La porta della città viene atterrata dagli uomini di Cosenz ed i garibaldini occupano Milazzo mentre la fortezza rimane in mano borbonica.

Nei combattimenti del 17 a Corriolo e del 20 a Milazzo i volontari di Medici hanno avuto 63 morti e 308 feriti.

Alla sera del 21 una nave dei garibaldini entra nel porto e nonostante venga bombardata dalla fortezza, riesce a sbarcare un buon numero di rinforzi. Alla sera del 23 un ammiraglio napoletano viene a parlamentare con Garibaldi per proporre la resa del forte. Si assicura che domani avverrà la resa del forte con l'abbandono delle artiglierie.

Il giorno successivo la resa del forte viene trattata tra Garibaldi ed il ministro plenipotenziario del re di Napoli, colonnello Anzani. Il pieno sgombero delle truppe e del materiale di guerra deve effettuarsi entro il 25. I regi possono uscire dal forte con armi e bagagli, lasciando però all'esercito garibaldino i cannoni (una cinquantina), le munizioni e gli animali da tiro con le bardature oltre ai due cavalli del comandante Bosco [14].

Il 24 luglio la Brigata Medici sfila davanti alla spedizione Cosenz, che presenta le armi, per la parte onorevole avuta nella battaglia e poi, dopo la resa della fortezza, le truppe borboniche lasciano il forte passando davanti all'esercito garibaldino schierato. Il giorno successivo viene sgomberata completamente la fortezza che entra in possesso dei garibaldini mentre i borbonici si ritirano a Messina ma molti di essi disertano e si uniscono ai garibaldini.

Tra le varie cose cadute in mano ai garibaldini ci sono anche i dispacci che Bosco indirizzava al generale Clary e che sono molto interessanti. Il 18 luglio scriveva: ... è positivo che i Piemontesi sono 7300 e subito dopo la battaglia: Sono nel forte. Gran perdita di truppe. Se non potete spedire alle spalle del nemico un gran numero di cacciatori, procurate di far stabilire una capitolazione con onore.

Da Milazzo al Volturno e a Capua

Già alla sera del 25 luglio le truppe di Medici vengono chiamate a raccolta e lasciano Milazzo avanzando in direzione di Messina. Dopo un bivacco notturno a Spadafora, arrivano a Gesso nel tardo mattino del 26 per poi proseguire fino alla accamparsi in vista di Messina. Durante la notte c'è un falso allarme che chiama tutti alle armi ed alla mattina del 27 c'è l'ordine di marciare su Messina.

I garibaldini però non incontrano le truppe borboniche bensì gli abitanti di Messina che sono usciti dalla città con le bandiere spiegate e a suon di musica per andare incontro ai garibaldini e così la città viene occupata senza colpo ferire. Garibaldi, il generale Medici sul cavallo di Bosco ed il generale Fabrizi entrano anch'essi a Messina dove la sola fortezza è ancora in mano ai borbonici.

Il 28 luglio Medici firma un trattato con il generale Clary per cui la fortezza rimane in mano borbonica ma resterà neutrale fino alla fine della guerra. Considerato che nella fortezza vi sono ben 15000 uomini, questo è un grande vantaggio per i garibaldini. Intanto, per le strade di Messina, i popolani atterrano le statue dei Borboni e ne fanno rotolare le teste lungo le vie.
Corbellini condanna il fatto con una frase che andrebbe letta anche da parecchie persone che vivono ai giorni nostri e scrive il popolo ignora che anche le impronte della tirannide sono documenti di storia e giovano a mettere in risalto il trionfo della libertà.

I garibaldini presenti a Messina ammontano a circa dodicimila uomini e molti altri ne sono attesi. Il 29 luglio, accolti festosamente, arrivano in città i Mille. Per molti giorni i volontari rimangono in attesa di tentare lo sbarco sulle coste della Calabria. L'8 agosto avviene il primo sbarco di volontari in Calabria ma solo nella notte fra il 23 ed il 24 agosto la Brigata Medici attraversa lo stretto a bordo dell'Washington scortato dal Tüköry che però, per errore, spara contro una barca carica di volontari causando la morte di uno di loro.

Il giorno successivo, 25 agosto, la piccola artiglieria a disposizione di Medici, appostata sulla riva del mare, mette in fuga una fregata napoletana che tirava cannonate sui garibaldini. Il 26 i volontari vengono imbarcati sul Tüköry che li trasporta fino alla spiaggia di Nicotera.

I garibaldini ripartono da Nicotera il 27 agosto e marciano fino a Mileto dove pensavano di poter sorprendere una grossa falange di regi che invece se n'erano già andati la sera precedente. Con loro è anche Garibaldi. All'alba del 28 si riparte marciando fino a Monteleone Calabro dove i garibaldini ripartono alla sera per arrivare fino a Pizzo.

Alla sera del 29 agosto i volontari si accampano presso il torrente Angitola, ad alcuni chilometri da Pizzo ed il giorno successivo, dopo una lunga e faticosa marcia, raggiungono Tiriolo, uno dei punti più alti della catena appenninica. Corbellini fatica più degli altri durante la marcia perché all'Angitola, essendo dovuto recarsi fino al mare per ricevere un carico di pane portato da una barca, non aveva avuto nemmeno un attimo per riposarsi ed anzi aveva dovuto correre per raggiungere il suo battaglione già partito.

Il 31 agosto i garibaldini, ospitati in una chiesa, si riposano a Tiriolo e possono anche saziare la fame, da vari giorni infatti i rifornimenti erano molto scarsi. Corbellini si può riposare ma, appena ha ricuperato le forze, sale addirittura sulla vetta delle Tre Crocette da dove si possono vedere tre mari: il Mediterraneo, lo Ionio e l'Adriatico [15].

Garibaldi è assieme ai volontari di Medici e viene ospitato nel palazzo Alemanni. Il 3 settembre, alle sei del pomeriggio, i garibaldini ripartono e con una marcia notturna raggiungono Soveria dove il mercoledì precedente il generale borbonico Ghio, alla vista di Garibaldi, si era ritirato abbandonando le artiglierie.

Il 5 settembre i volontari sono a Rogliano, il 6 a Cosenza ed il 7 a San Filo da dove ripartono alle sera dell'8 per essere il 9 a Paola dove vengono acquartierati nel grande convento francescano dove sono giunti inzuppati d'acqua per essere stati colti, durante la marcia sulla montagna, da una terribile bufera.

I volontari di Medici rimangono fermi a Paola per molti giorni in attesa dei vapori che devono condurli a Napoli. Giunge la notizia che Garibaldi è entrato in Napoli senza combattere. Durante l'attesa vari garibaldini sono colpiti da febbri malariche e vengono ricoverati nell'ospedale.

Finalmente alla sera del 15 i volontari di Medici vengono mandati sulla spiaggia per attendere la partenza ma riescono ad imbarcarsi sull'Ercole solo il giorno successivo arrivando a Napoli il 17.
Il 19 settembre Bertani convince Garibaldi a mandare 300 uomini con Cadolini a Terracina per preparare l'invasione dello Stato Pontificio ma vari luogotenenti di Garibaldi, fra i quali anche Medici, si oppongono e la cosa non ha seguito.

I volontari di Medici rimangono a Napoli alcuni giorni ed il 19 settembre Corbellini può assistere al miracolo di S. Gennaro che avviene puntualmente anche se con un certo ritardo. Il 20 settembre i volontari sono trasferiti in treno a Caserta dove sono alloggiati nel Palazzo Reale. La sera successiva marciano fino agli avamposti a Limattola sul fiume Volturno ma la base delle operazioni viene posta a Casagiove.

Intanto il 21 settembre il secondo Reggimento Medici, durante una ricognizione a Caiazzo al di là del Volturno, si è scontrato con rilevanti forze nemiche e si è dovuto ritirare con gravi perdite compresi alcuni garibaldini annegati nel guadare il fiume. Il 26 settembre viene annunciata l'avanzata di ingenti forze borboniche e vengono abbandonati gli avamposti ed avvisato il Generale Medici che si trova a Caserta ma poi questo si rivela un falso allarme e tutte le posizioni abbandonate vengono rioccupate [16].

Il 29 settembre Corbellini si trova agli avamposti nei pressi di Sant'Angelo dove arrivano frequentemente bombe e granate sparate dalle artiglierie di Capua. Oltre a Sant'Angelo Medici tiene il Monte Tifata. Continua il cannoneggiare dalla fortezza di Capua ed i feriti sono portati alla chiesa di Sant'Angelo.

Il 1 ottobre si combatte la battaglia del Volturno dove le truppe borboniche, che avevano arditamente presa l'offensiva, dopo una giornata di combattimento, con varie alternative di successo e d'insuccesso, sono ricacciate in Capua.

I garibaldini di Medici che sono agli avamposti sul Volturno sono svegliati all'alba dai trombettieri perché il nemico è uscito in forze da Capua ed avanza verso di loro. Dopo una sparatoria ed una carica alla baionetta i borbonici sono respinti ma una colonna nemica tenta l'aggiramento delle posizioni garibaldine.

Giunge Garibaldi, portato da una carrozza a due cavalli ed accompagnato da un ufficiale. I nemici, avanzando, sono giunti a poca distanza e sparano numeri colpi di carabina uccidendo l'uomo che guidava il calesse di Garibaldi. Il combattimento infuria con vari tentativi dei borbonici di aggirare le truppe che hanno davanti finché una piccola colonna di borbonici, rimasta staccata dal corpo di cui faceva parte, cerca scampo o tenta un'ardita azione, guadagnando le alture che stanno alle spalle dei garibaldini.

Garibaldi invita i volontari che gli sono più vicini a seguirlo e con una cinquantina di uomini guadagna la cima del colle da dove osserva, con il cannocchiale, i fianchi del colle ed il piano dove si combatte e dove si vedono qua e là, anche ad occhio nudo, levarsi frequenti globi di fumo. Intanto appare una schiera di borbonici che, alle prime fucilate, volgono in fuga.

Alle tre del pomeriggio Garibaldi in persona, con delle riserve giunte da Caserta, conduce l'assalto definitivo contro i bavaresi. L'attacco, condotto alla baionetta, ha successo e le truppe napoletane tornano verso la Scafa di Triflisco da dove erano venute. I garibaldini della Divisione Medici prendono l'offensiva inseguendo i fuggiaschi.

Il 2 ed il 3 ottobre i volontari di Medici rimangono a Sant'Angelo e poi dal 4 al 14 ottobre partecipano all'assedio di Capua. Il 15 ottobre vengono rilevati da altri volontari e rientrano a Casagiove mentre il generale Medici rimane all'assedio di Capua dove, il 20 ottobre, mentre, assieme a Garibaldi ed al generale Avezzana, percorreva la linea del fronte per scegliere i punti dove piazzare delle batterie, è fatto segno di un vivissimo fuoco da parte dei borbonici che ovviamente speravano di colpire lo stesso Garibaldi.

I volontari di Medici rimangono a Casagiove fino al 24 ottobre senza essere impegnati, a parte una ricognizione dalla parte opposta a Capua. Il 24 si spostano nell'antica abbazia di Santa Maria di Gerusalemme ed il 25 ottobre Garibaldi, quando attraversa il Volturno per andare ad incontrare Vittorio Emanuele lascia Medici a tenere le linee a Sant'Angelo.

Il 27 ottobre Vittorio Emanuele raggiunge le truppe garibaldine a Sant'Angelo e non essendo presente Garibaldi, viene ricevuto da Medici. I volontari rimangono agli avamposti e poi si spostano sotto Capua dove restano fino alla resa della fortezza che avviene il 2 novembre. Vi entrano per primi i garibaldini della Brigata Simonetta che fa parte della Divisione Medici.

Il 4 novembre i volontari di Medici rientrano a Casagiove poi si spostano a Caserta perché Garibaldi vuole passare in rassegna tutte le milizie garibaldine. Vengono poi acquartierati ad Aversa dove rimangono finché, il 13 novembre, sono congedati.

Medici è ancora impegnato perché, assieme a Bixio, Sirtori e Cosenz, deve far parte della commissione che deve scegliere gli ufficiali garibaldini che possono entrare a far parte dell'esercito regolare. Medici stesso è fatto generale dell'esercito piemontese. Sono però pochissimi i volontari che vogliono rimanere sotto le armi.

Il 26 novembre il generale Medici dirama un ordine del giorno rivolto ai volontari della sua Divisione:

Volontari,

La lode deve avere il suo pudore. Priva della virtù del riserbo, essa diventa adulazione ; peggio che biasimo per i generosi come voi siete. La giusta, la onesta lode - quella che a voi si conviene - io godo di potervela tributare oggi, senza strepito e come in famiglia.
Non è mai troppo presto per sapersela meritare, non è mai tardi per riceverla. Sia come una stretta di mano intima, fratellevole e franca di vecchi compagni d'armi. La stima e l'affetto che nutro per voi, dopo le lunghe prove assieme durate, le presteranno l'eloquenza.
Quando ci ponemmo in mare guardando a Sicilia, io era sì sicuro di voi che vi dissi: "Per la libertà, per la patria, voi farete il vostro dovere".
Oggi, dopo Corriolo, dopo Milazzo, dopo Messina, Sant'Angelo, Maddaloni e Capua; dopo oltre un mese di dure ed incessanti fatiche, di cui quasi ciascun giorno conta un combattimento e una vittoria, io vi dico con cara e profonda soddisfazione: "Voi, il vostro dovere l'avete fatto".
Gli altri bravi che a noi s'aggiunsero, furono e sono degni compagni - parlo di tutti e per tutti. Bravi commilitoni, la patria, a cui abbiamo consacrato intelletto, sangue e fatiche, sorge oramai affrancata e grande, e vi è riconoscente.
Voi avete contribuito a scrivere le pagine più splendide della storia della nuova Italia. Spero che sarete chiamati ad illustrare quelle che registreranno la intera nostra redenzione, e voi saprete illustrarle con nuove azioni, nuovo sangue e nuovi sacrifizi.
Toglieremo dalla sacra nostra bandiera la striscia di lutto che ne offende i colori, romperemo le catene che tuttora opprimono provincie sorelle, perché ventidue milioni di liberi italiani, non debbono soffrire italiani schiavi
.


[1] - Giuseppe Cesare Abba - Da Quarto al Volturno - Noterelle di uno dei Mille - Edizioni Zanichelli - Bologna 1890.   <<

[2] - Alexandre Dumas Les garibaldiens - 1861; in italiano I garibaldini - Editori Riuniti 1996.   <<

[3] - Indro Montanelli e Marco Nozza - Garibaldi - Editore Rizzoli - Milano 1962.   <<

[4] - George Macaulay Trevelyan - Garibaldi and the making of Italy - Fourth impression - Longsman, Green and Co. - London, 1912.   <<

[5] - Alessandro Luzio - Le Spedizioni Medici-Cosenz in La Lettura - Rivista Mensile del Corriere della Sera - Anno X - numero 6 - giugno 1910.   <<

[6] - Piero Corbellini - Diario di un garibaldino della Spedizione Medici in Sicilia, 1860 - Editore Riccardo Gagliardi - Como, 1911.   <<

[7] - Giovanni Pasini - La battaglia di Milazzo narrata dal Generale Giacomo Medici al Capitano Pasini Giovanni - Tipografia Sociale - Cremona, 1883.   <<

[8] - Clément Caraguel - Souvenirs et aventures d'un volontaire garibaldien - A. Bourdilliat et Ce, Éditeurs - Paris, 1861.   <<

[9] - Antonio Balbiani - Il Messia dei popoli oppressi - Volume Secondo - Tipografia Editrice Dante Alighieri - Milano, 1872.   <<

[10] - Al giorno d'oggi la ferrovia arriva fino a Pavia ma i collegamenti con il resto della Pianura Padana sono tuttora scomodissimi.   <<

[11] - Su tutta questa vicenda c'è una notevole confusione che non sono ancora riuscito a dirimere. Alcuni autori scrivono che il clipper si chiamava Charles Georgy mentre altri lo chiamano Charles and Jane. Secondo Adamoli non si trattava di un clipper bensì di un vapore che aveva dei problemi alle macchine e che per questo era trainato dall'Utile. Anche la data della cattura è incerta, il Pittaluga scrive 15 giugno mentre altri dicono che sia successo il 13 il che concorderebbe meglio con quanto scrive Corbellini.   <<

[12] - Dopo la battaglia di Milazzo questa chiesa fu convertita in ospedale, vi furono trasportati molti dei feriti e vi trovarono sepoltura parecchi dei morti garibaldini, sotto il pavimento d'una cappella a sinistra dell'altare maggiore.   <<

[13] - In alcuni scritti la vecchia carboniera è chiamata Saumont (è il cognome di una famiglia nobile), in altre opere troviamo invece Saumon (che in francese significa salmone). La pronuncia è la medesima per entrambe le parole ma il nome corretto è il secondo come si può leggere nel libro Le carte di Agostino Bertani che fu colui che noleggiò questa imbarcazione francese.   <<

[14] - Agli ufficiali fu lasciata la sciabola e solo il generale Bosco, particolarmente compromesso per aver mancato alla parola data a Palermo, fu fatto uscire a piedi e disarmato ed il suo cavallo (un bel cavallo bianco) divenne preda bellica e fu dato al generale Medici che lo usò poi per entrare in Messina in quanto Bosco si era vantato che sarebbe entrato in Messina sul cavallo che, in precedenza, i messinesi avevano regalato al generale Medici.   <<

[15] - Non ho trovato traccia di questo monte Tre Crocette che dovrebbe essere il monte Tiriolo dal quale si vedono bene sia il Tirreno che lo Ionio ma non certo l'Adriatico. Può darsi che Corbellini parli di tre mari perché dello Ionio forse si possono vedere due zone ben distinte: il vicino golfo di Squillace ed il lontano mare a nord di Crotone.   <<

[16] - Gaetano Sacchi - Relazione sui fatti d'arme della Brigata Sacchi nella Campagna del 1860 dal 19 luglio 1860 al 12 febbraio 1861 - pubblicato in Bollettino della Società pavese di Storia Patria - Volume XIII - Mattei & C. Editori - Pavia, 1913.   <<


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