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I Carabinieri genovesi (da un testo di Paolo Giacomone Piana)


Premessa al testo Viva la carabina! Viva la libertà!

In passato mi ha scritto alcune volte Paolo Giacomone Piana dandomi consigli ed utili suggerimenti per le mie ricerche.

Paolo Giacomone Piana è uno storico che ha pubblicato svariati volumi su argomenti inerenti la Liguria e la storia di Genova (L' esercito e la marina della Repubblica di Genova dal trattato di Worms alla pace di Aquisgrana (1743-1748) 1998, Il reggimento Bembo 1998, Militarium : fonti archivistiche e bibliografia per la storia militare della Repubblica di Genova (1528-1797), della Repubblica Ligure (1797-1805) e della Liguria napoleonica (1805-1814) 2003, Storia di Mele 2004, Un martire della solidarietà: padre Teodoro Ciarafoni, parroco benedettino di Pegli 2005 ed anche Carloforte tra Settecento e Ottocento. Cinque anni di schiavitù per i carolini dalla cattura alla liberazione (1798-1803) 2006).

Poco dopo la pubblicazione della mia pagina sulla storia della Spedizioni Pianciani mi ha nuovamente scritto dandomi alcune utili indicazioni su ulteriori opere che parlano di questo argomento e mi ha anche inviato il testo di un suo articolo sulla storia dei Carabinieri genovesi dato che contiene interessanti notizie sulla spedizione di Garibaldi in Sicilia.

Mi ha anche dato il permesso di pubblicare quelle parti del suo articolo che ritenessi interessanti per il mio sito e quindi riporto non solo il capitolo che riguarda la campagna del 1860 ma anche le notizie sull'origine del nome e sui primi anni di vita dei Carabinieri genovesi che sono molto utili per capire lo spirito di questa particolare associazione i cui membri furono così importanti nella storia della spedizione.

Pubblico anche le considerazioni iniziali che ho trovato particolarmente interessanti in quanto concordano perfettamente con quanto anch'io mi chiedevo nella premessa alla pagina su Pianciani e cioè se, raccontando in maniera imprecisa certi avvenimenti, non sia sia voluto evitare di mettere in imbarazzo i Savoia mostrando come si siano mossi, durante la Spedizione di Garibaldi, per difendere il loro Regno temendo che il repubblicano Garibaldi potesse creare uno stato indipendente nel sud dell'Italia in contrapposizione al Regno di Sardegna.

E' anche da tener presente il fatto che molti protagonisti della spedizione, inizialmente repubblicani, poi cambiarono bandiera, diventando sostenitori della monarchia. Luigi Pianciani fu deputato nel 1865 e sindaco di Roma dopo il 1870. Giovanni Nicotera fu ministro dell'Interno nel primo governo Depretis (1876) e poi lo fu di nuovo nel 1891, con il governo di coalizione di Rudinì.

Chi voglia leggere l'intero articolo di Paolo Giacomone Piana dove vengono trattati anche gli avvenimenti della campagna del 1859, dell'Aspromonte, della campagna del 1866, di Mentana e della campagna di Francia può trovarlo nel quarto numero di Microstorie (dedicato a Garibaldi), edito nel 2011 dall'Accademia dei Cultori di Storia Locale di Genova-Chiavari a cura di Barbara Bernabò.

 

Viva la carabina! Viva la libertà!

Storia dei Carabinieri genovesi, un reparto che si pensa di conoscere


di Paolo Giacomone Piana

E' normale pensare, dopo tanti anni di esaltazione del Risorgimento, che sui Carabinieri genovesi sia stato scritto tutto, ma non è così. Già verso la fine dell'Ottocento finì per affermarsi una sorta di vulgata nella quale si ricordarono solo le figure di coloro che, per un motivo o per un altro, sostenevano la monarchia o erano morti (come i caduti o come Francesco Bartolomeo Savi, opportunamente suicidatosi nel 1865), mentre coloro che erano rimasti fedeli all'originaria concezione repubblicana andarono soggetti ad una sorta di damnatio memoriæ.

Questa impostazione si ripercosse anche sulla storia del reparto, in cui si pose l'accento sulla partecipazione alle campagne del 1859 e del 1860, tralasciando il ruolo svolto nel decennio successivo: ad esempio, chi legga la scheda dedicata ai Carabinieri genovesi nel Dizionario del Risorgimento Nazionale si avvedrà che essa termina bruscamente al 15 maggio 1860; 1 nei volumi della stessa opera dedicati alle persone si riscontrano poi curiose omissioni. Altra opera da 'maneggiare con le molle' è il lavoro di Cesare Cesari sui corpi volontari italiani dal 1848 al 1870, in cui la realtà dei fatti è spesso travisata in ossequio alle concezioni allora imperanti. 2

Certamente, dopo che nel 1946 il voto popolare pose termine al regno di casa Savoia, molto è stato fatto per riscoprire persone o cose e collocarle nella realtà del loro tempo, ma, coerentemente a una impostazione storiografica purtroppo assai diffusa, l'attenzione si è concentrata sui singoli, trascurando la storia del reparto. 3 Quindi, per avere un quadro completo della storia dei Carabinieri genovesi si rende necessario rivolgersi ad opere contemporanee, fino a poco tempo fa di assai difficile reperibilità. 4

L'origine del nome

All'inizio degli anni Cinquanta dell'Ottocento venne fondata a Genova una società di «Tiro a segno», dalla quale sarebbero derivati i «Carabinieri genovesi». 5 Ufficialmente essa aveva lo scopo di promuovere l'addestramento all'uso della carabina presso i giovani; i promotori erano tutti abili tiratori ma avevano anche opinioni repubblicane, prefiggendosi di introdurre legalmente armi e munizioni in vista delle future insurrezioni, con il pretesto che erano necessarie alle gare e alle esercitazioni. 6 Era un momento in cui i mazziniani potevano riprendere la loro attività, dopo la sanguinosa repressione dell'insurrezione dell'aprile 1849, anche se il tentativo di accreditarne una versione patriottica è ormai respinto dalla storiografia più moderna. 7

I soci dovevano provvedersi di armi a proprie spese e la loro scelta si orientò in prevalenza verso quelle in dotazione ai Carabinieri svizzeri (scharfschützen, tiratori scelti), che costituivano l'élite di un sistema militare molto ammirato dai democratici di allora, per i quali sembrava rappresentare il tipo ideale dell'esercito di un paese libero, ove il cittadino, profondamente conscio dei suoi diritti e dei suoi doveri, incarnava il tipo del cittadino-soldato. In Svizzera l'esercito nazionale era (ed è) una milizia che includeva tutti gli elementi validi del paese, con quadri tecnici professionisti ridotti al minimo, chiamata iniziale di pochi giorni e frequenti richiami successivi per istruzione; il sistema era poco costoso e vincolato ad un'attitudine difensiva che permetteva di trascurare i difetti che presentava. 8

I Carabinieri svizzeri allora costituivano un'arma a parte, con scuole reclute federali, come la Cavalleria, l'Artiglieria e il Genio, mentre la normale fanteria aveva proprie scuole cantonali: questa posizione particolare era dovuta alle loro qualità di tiratori, conseguente alla costante frequentazione dei poligoni di tiro. 9

Con un decreto del 13 maggio 1851 il Consiglio Federale elvetico adottò per i propri Carabinieri un'arma rigata di piccolo calibro (per l'epoca, mm 10,5) denominata ufficialmente «carabina federale mod. 1851»: con questa importante decisione la Confederazione si poneva decisamente all'avanguardia nel campo delle armi militari portatili ad avancarica, anticipando di parecchi anni tutti gli altri stati che, solo dopo grandi e ingiustificati dubbi, si convertirono al piccolo calibro (11 mm in genere) ma già con armi a retrocarica. 10 Accolta subito da un grande successo, la carabina federale ebbe in brevissimo tempo vasta diffusione, tanto da divenire praticamente l'arma d'ordinanza dei futuri Carabinieri genovesi e da essere utilizzata anche dall'esercito borbonico. 11

Primi anni di vita

Sull'attività svolta dalla «Società del Tiro a Segno» negli anni immediatamente susseguenti alla fondazione si è scritto molto. Gli esercizi erano effettuati ogni domenica; ogni mese coloro che avevano totalizzato il maggior numero di punti centrando i bersagli erano premiati con doni di vario genere, tra cui ritratti di Mazzini e Garibaldi. Il poligono di tiro si trovava accanto all'antico Lazzaretto di Genova, all'estuario del fiume Bisagno: era a struttura rettangolare, stretto e lungo, protetto da alte mura. 12

I soci acquistavano le proprie armi dalla società o da rivenditori di armi: nel caso delle carabine «mod. 1851» esse erano costruite inizialmente in Belgio da vari armaioli, in genere di Liegi; più tardi, dal 1860, alla bisogna provvide anche la fabbrica federale d'armi di Neuhausen (S.I.G.). Accanto a quest'ultima si devono collocare anche parecchi armaioli svizzeri, che le produssero in piccole quantità ma con grande maestria. Infine esistono alcune carabine che portano marchi e nomi italiani, ma si tratta in genere di semplici rivenditori. 13

I componenti della società erano di origine borghese: occorreva una certa disponibilità economica per comprare l'arma e acquistare le necessarie munizioni, avendo poi il tempo necessario per le esercitazioni. I ricchi erano rari, come Antonio Burlando «fornito, com'era, di largo censo», oppure Antonio Mosto «appartenente ad una famiglia di ricchi negozianti», in genere erano professionisti, commercianti e simili: descrivendo i Carabinieri nel 1859 si parla di «signori, mercanti, artisti e professionisti», come confermano anche le lapidi commemorative apposte qua e là per Genova. 14 Questo non vuol dire però che i mazziniani, unici tra i promotori del Risorgimento, non avessero legami con le classi popolari, almeno quelle urbane: Francesco Bartolomeo Savi, ad esempio, fu tra i fautori delle prime società di mutuo soccorso. 15

La società era uno dei principali centri di raccolta e di azione politica del movimento repubblicano, funzionando come centro di selezione e reclutamento dei volontari disposti a partecipare alle previste iniziative insurrezionali: un tema sul quale fino al secondo dopoguerra si è preferito sorvolare, specie sul ruolo svolto dall'associazione nel moto di Genova del 29 giugno 1857, che fallì quando gli insorti erano comunque riusciti a impadronirsi del forte Diamante. Dagli atti del processo emerge come la maggior parte degli imputati appartenesse alla Società del Tiro a Segno e come le armi ad essa destinate fossero state in realtà utilizzate per l'insurrezione. 16

Gli arrestati per il moto del 1857 furono rinchiusi nelle carceri di Sant'Andrea, destinate a detenuti in attesa di giudizio, e un centinaio di essi venne processato l'anno seguente e condannato a pesanti pene detentive: le scontarono per cinque mesi, finché il 28 aprile 1859 (il giorno dopo l'apertura delle ostilità contro l'Austria) furono amnistiati in modo che potessero prendere parte alla campagna di guerra. 17

La campagna del 1860

La fama dei Carabinieri genovesi rimane legata alla campagna in Italia meridionale iniziata con l'imbarco a Quarto il 5 maggio 1860. Come era naturale, qualche variazione si era verificata nel personale rispetto all'anno prima, non essendosi ripresentati alcuni che avevano combattuto nel 1859. E' curioso notare che sia il loro comandante del 1860, Antonio Mosto, sia il suo luogotenente, Francesco Bartolomeo Savi, non avevano potuto prendere parte alla campagna di quell'anno, il primo in quanto condannato a morte in contumacia per la sua partecipazione al moto del 1857, il secondo perché appena uscito dal carcere e fisicamente provato dalla reclusione subita per lo stesso motivo. 34

Giuseppe Cesare Abba, nella sua Storia dei Mille, descrive i Carabinieri genovesi come

«quasi tutti di Genova, o in Genova vissuti a lungo, mazziniani ardenti, armati di carabine loro proprie, esercitati nel tiro a segno da otto o nove anni i più, gente che s'era già fatta ammirare nel 1859, ben provveduta, colta, elegante». 35

Nelle Noterelle di uno dei Mille, tralasciando gli imbarazzanti riferimenti alle loro idee, scrive che

«Tutti i Genovesi che hanno carabina, forse quaranta, formano un corpo di carabinieri»,

dato più importante di quello che sembra perché non vi è accordo tra le fonti sull'esatto numero dei Carabinieri genovesi a Marsala e Calatafimi. 36

Infatti a seconda degli autori il numero degli effettivi varia da 32 a 43: però il primo dato esclude i quadri della compagnia, nemmeno sui quali vi è accordo (Un capitano, un tenente, due sergenti, un furiere, due o tre caporali). Un «Elenco dei Mille sbarcati con Garibaldi a Marsala» comprende 40 nomi di Carabinieri genovesi, alcuni dei quali non rintracciabili nella lista pubblicata dalla «Gazzetta Ufficiale» del 12 novembre 1878: d'altronde è notorio che questa, a dispetto dello sforzo di completezza dei suoi compilatori, contiene ancora gravi lacune. 37 Comunque dai nomi accertati si desume che in maggioranza i componenti del corpo erano nati nella Genova di allora, uno a San Francesco d'Albaro ed uno a Prà; un altro ligure era originario di Diano Castello. Ma vi erano anche lombardi, piemontesi e di altre regioni, poiché l'iscrizione alla società si basava su criteri obiettivi (il possesso di una carabina e probabilmente il saperla anche usare) e non sulla provenienza.

Il fatto che i Carabinieri genovesi fossero proprietari delle loro armi ebbe grande importanza all'inizio della campagna. E' leggenda che i combattenti garibaldini nel 1860 fossero male armati, anzi spesso lo erano meglio della loro controparte borbonica: quando avvenne l'imbarco a Quarto, erano disponibili fucili dei modelli più recenti, compresi 2000 ottimi Enfield inglesi. Tuttavia Cavour, non volendo che il governo fosse accusato di agevolare un attacco contro uno stato sovrano, non in guerra con il Regno di Sardegna, fece sì che alla spedizione fossero inizialmente distribuite armi a canna liscia, scarto dell'esercito piemontese. 38

Questo non valeva per i Carabinieri genovesi, che avevano portato con sé le carabine di loro proprietà, per cui a Marsala e Calatafimi erano l'unico reparto della spedizione ben armato. Avevano anche le baionette, poiché le carabine svizzere, fatto piuttosto raro in armi di questo tipo, ne avevano una di modello speciale. A Calatafimi furono disposti in ordine sparso in prima fila, costituendo 'una sottile linea grigia' di fronte allo schieramento del grosso garibaldino e subendo, data la loro posizione particolarmente esposta, cinque morti e dieci feriti, perdite assai gravi considerando la forza del reparto (nulla viene detto circa le perdite che inflissero al nemico). 39

Con la presa di Palermo i corpi della prima spedizione furono riorganizzati e anche i Carabinieri genovesi ebbero modo di colmare i vuoti e di espandere i propri organici con nuove reclute: il loro numero rimase sempre limitato, segno che nel reparto si privilegiava la qualità rispetto alla quantità e che i nuovi arrivati dovevano dimostrare la loro abilità nel tiro, anche se non si conoscono gli esatti termini delle prove che dovevano superare (per essere ammessi negli Sharpshooters gli aspiranti dovevano colpire con dieci colpi consecutivi un bersaglio posto a oltre 180 metri). Secondo i dati pubblicati da Carlo Agrati, il 23 giugno i Carabinieri genovesi contavano 3 ufficiali e 56 soldati, e l'8 luglio avevano in Palermo 59 uomini; per il combattimento di Milazzo (20 luglio) non fornisce cifre, ma altre fonti indicano una forza di 85 uomini con 8 morti e 29 feriti (qualcuno nel computo dei feriti include anche 8 semplicemente contusi); al 5 agosto abbiamo 109 uomini presenti su di un totale di 132, mentre il 21 agosto sbarcarono in Calabria 4 ufficiali e 180 uomini di truppa. 40 In questo periodo i Carabinieri genovesi da compagnia erano diventati battaglione, ma, more solito, non si sa precisamente quando. L'ultimo incremento era dovuto all'incorporazione di elementi già parte della spedizione Pianciani, organizzata a Genova da Mazzini e da Bertani: destinata in origine a prendere terra in territorio pontificio, aveva poi, per intervento diretto di Garibaldi, raggiunto presso Messina le altre forze. 41

Bisogna evitare di confondere i Carabinieri genovesi con i battaglioni di bersaglieri che figuravano nell'esercito garibaldino, anche se spesso si dice che questi fossero armati di carabina: il fatto è che essi avevano in dotazione i fucili rigati Enfield, denominati all'epoca «carabine» a causa della rigatura della canna: non va mai dimenticato che gli anni dal 1848 al 1870 corrisposero a un grande progresso delle armi da fuoco e di tutta la tecnologia in genere. 42

Al 30 settembre 1860 il battaglione dei Carabinieri genovesi, al comando del maggiore Antonio Mosto, contava 13 ufficiali e 210 uomini di truppa; era aggregato alla 15a divisione del generale Stefano Türr, che formava la riserva concentrata a Caserta. 43 Dopo la battaglia del Volturno (1-2 ottobre 1860) i Carabinieri genovesi non vennero più impiegati e rimasero inattivi fino alla pubblicazione del decreto datato 11 novembre 1860, che in pratica scioglieva l'esercito meridionale. In poche settimane 30.000 volontari chiesero il congedo: il battaglione dei Carabinieri genovesi venne sciolto e i suoi componenti tornarono alla vita civile e alle loro occupazioni. Il 20 dicembre 1861 Garibaldi inviava da Caprera una lettera alla Società dei Carabinieri Genovesi, ringraziandoli dell'opera loro e dell'onore di averlo eletto presidente della Società stessa.

1 G. de Mayo, Carabinieri genovesi, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, I, Milano 1930, p. 166. Fanno eccezione, in quest'opera, le schede di Francesco Poggi: d'altronde l'autore fu poi costretto a dimettersi da segretario della Società Ligure di Storia di Storia Patria in quanto antifascista.

2 C. Cesari, Corpi volontari italiani dal 1848 al 1870, estratto dal n. 4 del Bollettino dell'Ufficio Storico (1° Luglio 1926), Roma s.d. (ma 1926), che tratta dei Carabinieri genovesi alle pp. 62-63. Tale opera è il rifacimento del precedente Per uno studio sui corpi volontari dal 1848 al 1867, estratto dalla Rivista militare italiana, anno 1917, Roma, Voghera, 1917, in cui i Carabinieri genovesi sono alle pp. 34-36.

3 Cfr. ad esempio le opere di B. Montale, Antonio Mosto. Battaglie e cospirazioni mazziniane (1848-1870), Pisa 1966, e Mito e realtà di Genova nel Risorgimento, Milano 1999; v. anche i due volumi editi a cura dell'Istituto Nazionale del Risorgimento, Comitato Ligure, Genova e l'impresa dei Mille, 2 voll., Roma 1961, nei quali sono raccolte le relazioni presentate al Convegno storico internazionale tenuto a Genova nel maggio 1960.

4 Un contributo molto importante in questo senso è la possibilità di scaricare un gran numero di testi dell'Ottocento attraverso il programma Google Libri.

5 In passato la fondazione della società era fissata genericamente al 1852, opere più recenti citano invece la data del 30 marzo 1851; neppure sul nome c'è accordo (per alcuni era semplicemente Società del Tiro a Segno, per altri Società Privata di Tiro a Segno Nazionale, una lapide del 1870 cita la Società del Tiro a Bersaglio). Alcune fonti affermano poi che l'associazione mutò denominazione assumendo quello di Società dei Carabinieri Genovesi, ma probabilmente questo fatto si verificò negli anni successivi al 1871.

6 Genova garibaldina e il mito dell'eroe nelle collezioni private, catalogo della mostra, a cura di L. Morabito, Genova 2008, pp. 83-86.

7 G. Assereto, Dalla fine della Repubblica aristocratica all'Unità d'Italia, in Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, a cura di D. Puncuh, Genova 2003, pp. 509-550, in particolare p. 537. Cfr. anche P. Giacomone Piana, All'ombra della bandiera britannica: il ruolo dell'H.M.S. Vengeance nella repressione dell'insurrezione genovese dell'aprile 1849, in «Microstorie», II, Chiavari 2006, pp. 59-78.

8 I reparti di milizia erano (almeno inizialmente) poco solidi con quadri spesso improvvisati e di scarsa preparazione. Occorre anche dire che il sistema militare svizzero presuppone, oltre ad un atteggiamento difensivo, un'orografia favorevole e armamenti di prima qualità; inoltre non è mai stato messo alla prova: in Europa solo la Norvegia e, nel primo dopoguerra, i Paesi Bassi avevano un'organizzazione militare simile a quella svizzera, ma entrambi sono passati ad un sistema più tradizionale dopo le disastrose esperienze del 1940.

9 H.R. Kurz, Hundert Jahre Schweizer Armee, Thun 1979, p. 16. Questa è la vera ragione di questo nome, spesso oggi travisata facendolo derivare (come fa il sito Internet dei Carabinieri) dall'omonima forza di polizia militare.

10 Nemo, Carabina federale mod. 1851, in «Eserciti e Armi», 17 (luglio 1974), pp. 70-71, in particolare p. 70.

11 Molto diffusa è la credenza che con essa fosse equipaggiato il 13° battaglione Cacciatori, composto tutto da svizzeri, costituito nel 1850: in realtà solo i sottufficiali e la compagnia scelta di questo battaglione avevano in dotazione queste armi: cfr. G. Boeri-P. Crociani-M. Fiorentino, L'esercito borbonico dal 1830 al 1861, II, Roma 1998, p. 482.

12 Nel 1870 venne inaugurata nel Lazzaretto della Foce una lapide in onore dei soci caduti nelle campagne del 1859 (1), del 1860 (16), del 1866 (2) e del 1867 (7). Nel 1890, essendo stato il Lazzaretto demolito a seguito dell'espansione urbanistica della città, la lapide fu trasferita nel cortile di Palazzo Tursi, sede del municipio di Genova, dove tuttora si trova: cfr. Genova garibaldina, cit., p. 141.

13 Nemo, Carabina federale mod. 1851, cit., p. 71.

14 Cfr. F. Poggi, Burlando Antonio, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, II, Milano 1930, pp. 448-449, in particolare p. 449; idem, Mosto Antonio, ibidem, III, Milano 1933, pp. 662-663, in particolare p. 662; G. de Mayo, Carabinieri genovesi, cit., p. 166; per le lapidi cfr. ad esempio la targa dedicata alla memoria di Luigi Sartorio, caduto a Calatafimi, di professione avvocato, in Genova garibaldina, cit., p. 141.

15 Genova garibaldina, cit, p. 133.

16 B. Montale, I Carabinieri genovesi nelle battaglie del Risorgimento, in «Genova. Rivista municipale», XXXVI, n. 7 (settembre 1959), pp. 8-11, in particolare p. 10.

17 Tra gli arrestati a Genova era anche la giornalista inglese Jessie White, che denunciò le condizioni di vita all'interno del carcere dove erano ammassate più di tremila persone e i prigionieri politici convivevano con gli accusati di delitti comuni: cfr. Genova garibaldina, cit, p. 138.

34 Mosto venne amnistiato in virtù del decreto 13 giugno 1859, che estendeva ai contumaci l'amnistia già concessa ai condannati per reati politici che si trovavano in carcere; Savi doveva rimettersi dai disagi sofferti durante la detenzione a Fenestrelle: cfr. F. Poggi, Mosto Antonio, cit., p. 663; Genova garibaldina, cit, p. 133. Camillo Stallo rimase a Genova ma fu attivo nella Cassa centrale di soccorso a Garibaldi.

35 G.C. Abba, Storia dei Mille, versione elettronica dell'edizione Milano 1926, da www.liberliber.it.

36 G.C. Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille, a cura di L. Russo, Firenze 1928, p. 14: nelle molte edizioni di quest'opera si può trovare il riferimento cit. alla data del 14 maggio.

37 Cfr. I Volontari Italiani. Storia delle rivoluzioni in Italia dal 1821 fino al 1861, Lucca 1863, (Voll. 2), II, p. 641, sul quale è basato l'Appendice 2.

38 V. da ultimo L. Morabito (a cura di), Genova garibaldina, cit, p. 80. Le spedizioni successive allo sbarco di Marsala erano armate con gli ottimi fucili rigati Enfield modello 1853 acquistati con i fondi della sottoscrizione «Un milione di fucili» e con altre armi recenti, che equipaggiarono naturalmente anche i componenti la spedizione locale e quanti vennero reclutati nell'isola.

39 Recentemente al Museo del Risorgimento di Genova è stato collocato un diorama che privilegia proprio l'aspetto del contributo dei Carabinieri Genovesi: cfr. U. Barlozzetti e R. Ravagli, La battaglia di Calatafimi. Diorama, in L. Morabito (a cura di), Genova garibaldina,cit., pp. 85-86.

40 C. Agrati, Da Palermo al Volturno, Milano 1937, pp. 577, 579, 587, 588, 589: dati tratti da documenti dell'Archivio Sirtori.

41 Sui Carabinieri genovesi che facevano parte della spedizione Pianciani si sa molto poco. Francesco Poggi cita una lettera, datata 24 luglio, di Mazzini ad Antonio Burlando (ferito gravemente a Calatafimi) in cui gli viene proposto di assumere il comando di «alcune nuove compagnie di carabinieri genovesi», ma non dice se questi accettasse: cfr. F. Poggi, Burlando Antonio, cit., p. 448. Un vago accenno anche in G. Pittaluga, La diversione. Note garibaldine sulla Campagna del 1860, Roma 1904, p. 128. Forse erano Carabinieri genovesi solo di nome, per cui, una volta incorporati gli elementi in possesso dei requisiti richiesti al battaglione dei “veri” Carabinieri genovesi, gli altri vennero passati ai battaglioni di Bersaglieri.

42 Sugli Enfield cfr. S. Masini – G. Rotasso, Dall'archibugio al Kalashnikov, sette secoli di armi da fuoco, Milano, Mondadori, 1992, pp. 181-182.

43 G. Calvia, La battaglia del Volturno (1° ottobre 1860), in Scritti sul 1860 nel centenario, Roma 1960, pp. 105-135, in particolare p. 111.


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