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La spedizione Agnetta


Il problema delle armi e delle munizioni rimaste a terra

Durante la partenza dei Mille da Quarto la notte del 5 maggio 1860 le barche che dovevano portare armi e munizioni non comparvero e ciò costrinse poi Garibaldi a fermarsi a Talamone per cercare di procurarsi quello che gli abbisognava.

Cesare Abba, che è il più noto fra i tanti che hanno scritto la storia della spedizione dei Mille, nella sua opera più famosa Da Quarto al Volturno non dice nulla su questo importante episodio però nel suo libro Storia dei Mille [1], scritto molti anni dopo il precedente e che quindi contiene non solo i suoi ricordi ma anche una ricca messe di altre informazioni, ci racconta nel dettaglio cosa accadde.

Benché la Società Rubattino fosse d'accordo a fornire i due vapori Piemonte e Lombardo a Garibaldi, bisognava far sembrare che fossero stati presi colla forza. Già da alcuni giorni Nino Bixio aveva fatto nascondere fucili e munizioni nella vecchia carcassa di una nave, chiamata nave Joseph, che si trovava vicino alle due navi da catturare.

Alle nove e mezza del 5 maggio con una quarantina di uomini Bixio, ricuperate le armi, si impadroniva dei due vapori, caricava una parte dei volontari che si trovavano alla foce del Bisagno e si recava verso Quarto per caricare gli altri volontari che si erano già allontanati da riva su molte barche.

Secondo il piano fra le quelle barche avrebbero dovuto essercene anche alcune cariche di armi e munizioni che erano immagazzinate a Bogliasco. All'alba del 6 maggio però Garibaldi e Bixio, parlandosi da un vapore all'altro, scoprirono che le barche non erano giunte per cui avevano fucili ma non munizioni. Cosa era successo?

La sera prima Bixio e l'Acerbi avevano mandato un gruppo di giovani genovesi al ponte di Sori dove avrebbero trovato due uomini ai quali avrebbero dato una parola d'ordine. Da costoro avrebbero avuto le casse di armi e munizioni, che erano a Bogliasco, da caricare nelle barche e poi, condotti sempre da costoro, avrebbero dovuto raggiungere i due vapori catturati da Bixio stesso.

Abba non ci dice i nomi di questi due ma ci racconta che qualcuno di quei giovani sospettò subito di costoro temendo che fossero gli stessi che, nel 1857, dovevano condurre Rosolino Pilo con un carico d'armi ad incontrare il vapore Cagliari su cui si trovava Pisacane ed invece girarono per il golfo senza trovare il vapore per cui Pisacane andò incontro alla morte senza armi.

Bixio però non volle dire i nomi e quando i giovani li incontrarono videro che si trattava proprio delle stesse persone. I loro timori purtroppo erano giustificati infatti i due consegnarono le casse con le armi e le munizioni ed i giovani caricarono tutto ma poi, al momento di imbarcarsi, si scoprì che uno si era allontanato mentre l'altro si rifiutò di salire sulle barche.

Visto che le suppliche non lo smuovevano si provò con le minacce ma costui saltò in un leggerissimo canotto a due remi e si allontanò da riva, gridando che lo seguissero alla luce del fanale che stava accendendo sulla sua poppa.
Fu giocoforza seguirlo ma dopo una ventina di minuti la luce si spense e quell'uomo sparì nel buio e non si fece più vivo.

Allora i rematori, che erano tutti di Cornegliano, vogarono al largo verso ponente dicendo di aver avuto l'ordine di andar allo scoglio di Sant'Andrea presso Sestri Ponente dove ci sarebbero stati i vapori.
In realtà, così facendo, passarono al largo di dove si trovavano i due vapori e si diressero verso la parte opposta rispetto a Genova. Dopo varie ore i volontari costrinsero i barcaioli a tornare verso levante ma ormai era tardi e solo all'alba, videro, da molto lontano, due vapori che viaggiavano verso Portofino.

Secondo alcuni il motivo di questo tradimento era dovuto a mene di Cavour ma mi sembra probabile che sia giusto quanto scrive Cesare Abba che pensa che costoro, che erano due contrabbandieri, volessero approfittare dell'occasione per fare un buon colpo.
Scrive infatti: Intanto i due uomini, i due traditori che gli avevano ingannati, erano stati tutta la notte a scaricare mercanzie di contrabbando, sete e coloniali; certo approfittando del fatto che i doganieri lungo le rive o non v'erano o facevano cattiva guardia, per ordini avuti di non disturbar nessuno quella notte di misteriosa faccenda.

Garibaldi riuscì a rimediare alla meglio fermandosi a Talamone dove poté avere parte di quello che gli serviva ma a Genova era rimasto Agostino Bertani, organizzatore della spedizione, che voleva rimediare al contrattempo.

Il Bertani, con il concorso di La Farina, noleggiò il vapore Utile, che era della società Queirolo, e che faceva servizio di rimorchiatore e lo fece partire al più presto con alcune migliaia di fucili ed un milione di cartucce.
Come scorta sul vapore si imbarcò un gruppo di volontari scelti da Medici e da La Farina.

Il viaggio dell'Utile e la spedizione Agnetta

La notte del 25 maggio, alle 23, l'Utile levava l'ancora. I suoi documenti dicevano che era diretto ad Atene. L'Utile era un vapore a ruote di sole sessantanove tonnellate di stazza e fino ad allora era stato usato come rimorchiatore del porto. Era stracarico e viaggiava ad appena quattro nodi.

A bordo c'erano 69 persone, una delle quali però non faceva parte dei volontari scelti da Medici e da La Farina. Si trattava di Giulio Adamoli, un giovane di vent'anni che l'anno precedente si era arruolato volontario nell'esercito piemontese ed aveva combattuto a San Martino.

L'Adamoli era giunto a Genova quella mattina stessa ma il Bertani non aveva voluto dirgli della spedizione che doveva partire alla sera ma accadde che Adamoli incontrasse per caso uno degli uomini che dovevano partire sull'Utile.
Si trattava di Francesco Fera, un calabrese che aveva combattuto come volontario nei Cacciatori delle Alpi e che Giulio Adamoli conosceva molto bene perché Francesco Fera era rimasto ferito a Varese ed era stato curato nella casa di Adamoli stesso.

Il Fera, saputo che Adamoli aspettava d'imbarcarsi per la Sicilia, gli confidò che lui doveva partire la sera stessa e gli raccontò della spedizione. Adamoli non ci pensò su un attimo, lo accompagnò al molo e salì con lui a bordo del vapore.

La partecipazione di Giulio Adamoli alla spedizione dell'Utile è stata per noi una grande fortuna perché poi Adamoli pubblicò un libro di memorie [2] che è estremamente interessante e ricco di notizie ma soprattutto è scritto molto bene per cui è piacevolissimo da leggere e consiglio a tutti la sua lettura.

Da questo libro apprendiamo anche come mai il Bertani avesse voluto tenere nascosta all'Adamoli la notizia della spedizione dell'Utile.

Dopo la fine della II Guerra d'Indipendenza Adamoli era rimasto nell'esercito piemontese frequentando un corso per diventare ufficiale.
Appena seppe della partenza della spedizione di Garibaldi volle seguirlo per cui, il 10 maggio, presentò le sue dimissioni dall'esercito che il suo colonnello inviò il giorno successivo al Ministero ed, in attesa della risposta, gli accordò una licenza di tre giorni per andare a casa sua a Varese.

Quando Adamoli tornò a Milano trovò che il suo reggimento era partito per Livorno e lo seguì. Passando per Genova però andò a parlare col Bertani e con Medici che gli confidarono che si stava preparando una prossima spedizione ma piccola alla quale avrebbero partecipato pochi volontari. Si trattava certamente della spedizione dell'Utile.

Il 20 maggio furono accettate le dimissioni per cui Giulio Adamoli era libero di partire ma a questo punto Bertani gli disse che per il momento non partivano spedizioni e gli consigliò di tornare provvisoriamente a casa sua a Varese.

Adamoli tornò a Genova alla mattina del 25 ed era d'accordo che Felice Origoni [3] lo raggiungesse alla sera per poi partecipare assieme alla futura spedizione.
Giunto a Genova sentì delle voci sulla partenza di una spedizione per la Sicilia alla sera stessa ma sia Bertani che Medici gli dissero che si trattava di fandonie.

Il caso però volle diversamente e Giulio Adamoli, incontrando Francesco Fera, seppe della spedizione e decise su due piedi di partire senza nemmeno tornare all'albergo per lasciare un biglietto per Origoni.

Il motivo dello strano comportamento di Bertani e di Medici che lo spiega Adamoli stesso: Medici stava preparando la sua spedizione che sarebbe stata molto grossa ed aveva bisogno di persone esperte per i posti di comando e quindi l'Adamoli, come ex-ufficiale dell'esercito piemontese, gli avrebbe fatto molto comodo.

Seguiamo ora il viaggio dell'Utile che, come scrive Adamoli, immerso fino ai tamburi per il grave carico delle armi e delle munizioni, navigava pesantemente, filando in media quattro sole miglia per ora.
Il capitano del battello era Francesco Lavarello di Livorno e l'equipaggio era formato da marinai genovesi. A bordo c'erano sessantanove persone. La maggior parte dei volontari era formata da siciliani di Palermo e di Trapani, c'erano parecchi genovesi ed anche tre stranieri (due ungheresi ed un polacco).

Capo della spedizione era Carmelo Agnetta, siciliano, che era stato imprigionato nel 1848 e poi era emigrato vivendo prima in Oriente e poi a Parigi. Però uno dei siciliani, Enrico Faldella di Trapani, che era stato ufficiale della marina britannica (Adamoli precisa di non essere certo di questa notizia), dichiarò di voler essere indipendente.

L'Utile costeggiò la Corsica e poi dovette far rotta sull'isola della Maddalena perché, essendo stracarico di casse, aveva imbarcato solo il combustibile per due giorni di navigazione.
Il 27 maggio l'Utile, con un certo rischio perché privo di pilota e col vento che aveva rinforzato, attraccava a La Maddalena. Dapprima le autorità del luogo non volevano rifornire la nave ma poi, dopo uno scambio di telegrammi con il ministero, fornirono il carbone che serviva.

Qui uno dei volontari, impaurito più dalle condizioni della nave che dalle future battaglie, volle sbarcare e tornò a Genova da dove però partì successivamente con una delle altre spedizioni per la Sicilia.
A La Maddalena, oltre al carbone, si imbarcò un pilota del luogo che li condusse fino a Cagliari dove arrivarono alla mattina del 29 maggio e dove dovevano nuovamente procurarsi del carbone.

A Cagliari però trovarono una nave da guerra sarda, l'Authion che era comandata dal tenente di vascello Piola Caselli [4]. Vi era un forte timore che la nave da guerra potesse interferire con la spedizione e l'Agnetta decise di andare subito a bordo dell'altra nave per vedere la situazione e se necessario, cercare di far credere che l'Utile fosse solo una nave mercantile diretta ad Atene, come dichiarava la patente.

Ben presto Agnetta tornò tutto contento perché, non solo aveva scoperto che l'Authion non aveva nessuna intenzione di fermare l'Utile ma anche che l'Authion era venuto a Cagliari da Palermo per trasmettere al governo sardo la notizia che Garibaldi era entrato a Palermo la mattina del 27 dove aveva combattuto ed era rimasto.

Mentre si caricava il carbone, il comandante dell'Authion, il tenente di vascello Piola Caselli, dava ad Agnetta alcune importanti informazioni dicendogli di non dirigersi su Palermo dato che il porto era occupato dalle navi da guerra borboniche e di stare attento alle numerose navi da guerra che pattugliavano la costa per impedire altri sbarchi.

Il comandante dell'Authion però non si limitò ai consigli ma, dato che la sua nave doveva tornare subito a Palermo, prese una lettera, da consegnare a Garibaldi, nella quale Agnetta lo avvisava dell'arrivo dell'Utile e gli chiedeva di mandare una barca vicino ad Ustica per sapere dove dovevano sbarcare.

Il 30 maggio, l'Utile lasciava Cagliari diretto in Sicilia, però il giorno dopo ad Ustica non si trovava alcuna barca e si veniva a sapere da alcuni pescatori che anche a Trapani vi era una forte guarnigione borbonica. Si decise allora di tentare lo sbarco a Marsala sperando che i borbonici non pensassero che qualcuno avrebbe tentato lo sbarco nello stesso punto del primo.

I volontari vennero divisi in quattro squadre e l'Adamoli fu messo a capo di queste. Adamoli però restò deluso sia delle uniformi che erano state fornite e che non erano le mitiche camice rosse bensì dei camiciotti azzurri della guardia nazionale, sia delle armi perché per loro, benché ne trasportassero tante, c'era solo una cassa di vecchi fucili.

Lo sbarco avvenne di notte con la guida di un pilota del luogo che si chiamava Sesti e con i volontari di Trapani che andarono avanti in ricognizione su di una scialuppa a remi. Alle tre e mezzo di mattina del primo giugno l'Utile era a Marsala.
Alla mattina comparve una nave da guerra borbonica che mandò una lancia all'imboccatura del porto ma che evidentemente non sospettò nulla perché, dopo poco, si allontanò.

Gli abitanti di Marsala, che per prudenza avevano imbandierato le loro case con i colori inglesi, fornirono una sessantina di carretti sui quali vennero caricate le casse con le armi e le munizioni, si trattava dei tipici carrettini siciliani che l'Adamoli descrive così: quegli strani carretti a due ruote, istoriati, con vivaci colori d'ogni sorta, di soggetti biblici e romanzeschi, tirati da un cavallo coperto di bardature sfarzose.

Il 2 giugno la spedizione si diresse verso Palermo col timore di essere attaccati dalla guarnigione di Trapani che invece non si mosse. Ai volontari arrivati da Genova si erano uniti, oltre i conduttori dei carri, alcuni giovani di Marsala e dei disertori svizzeri e bavaresi dell'esercito napoletano.
Enrico Faldella ed i volontari originari di Trapani non erano partiti con loro ma erano rimasti sperando di poter fomentare la ribellione di Trapani contro i borbonici.

L'Utile invece tornò subito a Genova da dove ripartì, pochi giorni dopo, assieme al vapore Charles Georgy con a bordo la spedizione comandata da Clemente Corte, però accadde che il Charles Georgy ebbe un guasto alle macchine e mentre l'Utile lo rimorchiava, entrambe le navi furono catturate dai borbonici e condotte a Gaeta.
Dopo il 1860 l'Utile riprese il suo lavoro di rimorchiatore navigando fra Manfredonia e Brindisi.

Intanto il convoglio dei carri viaggiava la sera, parte della notte ed al mattino con una sosta nelle ore più calde. Quando arrivarono a Vita vi trovarono alcuni garibaldini che erano stati feriti a Calatafimi.
Sul campo di battaglia non rimanevano tracce degli scontri, a Partinico invece i volontari videro case saccheggiate e bruciate, i campi calpestati e gli avanzi di roghi, la cui origine Adamoli ci spiega con molta saggezza, scrive infatti. i roghi sui quali, al dire dei paesani, i borbonici avevano bruciato i cadaveri non ancora freddi dei liberali, mentre, come i borbonici asserirono più tardi, fu proprio il contrario. Probabilmente, vere l'una e l'altra versione.

Il 5 giugno il convoglio giungeva a Monreale dove arrivarono anche gli ordini di Garibaldi ed il 6, alle due del pomeriggio, i carri entravano in Palermo, e venivano consegnate le armi e le munizioni. I volontari appena giunti furono condotti nella chiesa di San Giuseppe dei Teatini, danneggiata dal bombardamento ed occupata dai garibaldini.

Qui, mentre i volontari di Agnetta aspettavano Garibaldi, entrarono due ufficiali sconosciuti uno dei quali si mise a dare ordini e quando Agnetta gli chiese chi egli fosse, rispose con un manrovescio. Si trattava di Bixio che aveva un pessimo carattere e che aveva già litigato con molti.
Successe un pandemonio ed Agnetta, che aveva messo mano alla spada, chiese soddisfazione ma Garibaldi proibì il duello che però ebbe luogo ventidue mesi dopo, una volta finita la spedizione in Sicilia. Il duello fu alla pistola e Bixio si prese una palla in una mano che rimase poi lesa.

Con la consegna delle armi e delle munizioni la missione della spedizione comandata da Agnetta era terminata. I vari volontari arrivati con lui entrarono nei ranghi dei Mille mentre Agnetta veniva destinato al commissariato.


[1] - Giuseppe Cesare Abba Storia dei Mille - Bemporad & figlio - 1926.   <<

[2] - Giulio Adamoli Da San Martino a Mentana: ricordi di un volontario - Milano, 1892. Pubblicato anche in Internet sul sito www.adamoli.org   <<

[3] - Felice Origoni, di Varese, fu amico di Garibaldi fin dai tempi di Montevideo. Fu lui che, nel 1849, accompagnò Anita da Nizza a Roma. Era un vecchio amico della famiglia di Adamoli e trovandosi in Sardegna al momento della partenza dei Mille non poté farne parte.   <<

[4] - Giuseppe Alessandro Piola Caselli [>>], che aveva già conosciuto Garibaldi nel Mar della Plata, era stato inviato a navigare nelle acque siciliane da Cavour per osservare e poi riferire a Torino. Per fare ciò scendeva addirittura a terra in abiti borghesi per cercare di contattare i gruppi e le persone ostili ai Borboni.   <<


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