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Brevi note biografiche sulle persone citate


Premessa

Nelle pagine del mio sito parlo di molte persone, di queste sono parecchie quelle sono poco conosciute ed ho quindi pensato di fare cosa utile raccogliendo, per ognuna di loro, qualche breve nota biografica sulla loro vita e sulla parte avuta nella spedizione in Sicilia di Garibaldi nel 1860.

Dapprima avevo pensato di limitare queste note solo ai personaggi meno conosciuti ma poi ho visto che è difficile tracciare un confine netto fra quelli noti e quelli meno noti e che anche per i personaggi più famosi vi sono aspetti interessanti che non sono conosciuti. Per fare un esempio che riguarda lo stesso Giuseppe Garibaldi, ben pochi sanno che abbandonò momentaneamente i volontari in Sicilia per recarsi a Cagliari ad incontrare la spedizione Pianciani.

Per questo motivo cercherò di mettere qualche breve nota per tutti i personaggi citati nelle pagine del mio sito anche se per fare ciò ci vorrà tempo e questa pagina sarà aggiornata più volte. Quando poi questa pagina diventerà troppo grossa la suddividerò nelle varie tipologie trattate (garibaldini, borbonici, piemontesi, etc.).

Data la grande molteplicità di fonti che ho utilizzato per scrivere questi cenni biografici, non le cito tutte nelle note, come faccio solitamente nelle altre pagine, ma rimando il lettore direttamente alla pagina con la Bibliografia [>>]. Cosa, del resto, che faccio anche per tutte le pagine che, per i vari cognomi che tratto nel mio sito, parlano di Altri ... più o meno famosi.

Garibaldini

Agostino Bertani (Milano 1812, Roma 1886)

Si laurea in medicina presso l'Università di Pavia e nel 1842 fonda la Gazzetta Medica. E' vicino a Cattaneo e a Mazzini e nel 1848, partecipa alle Cinque giornate di Milano. L'anno successivo si reca a Roma ed offre il suo aiuto di medico alla Repubblica Romana. Successivamente ripara in Svizzera.

Si trasferisce poi a Genova dove fonda un comitato militare per l'indipendenza e l'unità d'Italia d'ispirazione mazziniana. Nel 1859, pur essendo repubblicano, dichiara di appoggiare re Vittorio Emanuele II e si arruola, come ufficiale medico, nei Cacciatori delle Alpi partecipando alla Seconda Guerra d'Indipendenza.

Nel 1860 fa parte del Comitato Nazionale che organizza la spedizione di Garibaldi e quelle successive dando un enorme contributo nell'organizzazione e nel raccogliere armi e quanto necessario. Bertani è quello che fa la maggior parte del lavoro perché gli altri due componenti del comitato sono Cosenz ed Assanti che ben presto seguono anch'essi Garibaldi in Sicilia.

Bertani si reca in Sicilia solo in agosto per perorare la decisione iniziale di far sbarcare la spedizione Pianciani nello Stato Pontificio per poter attaccare il Regno delle Due Sicilie da nord. Questa scelta è osteggiata dai piemontesi che riescono a far proseguire le navi della spedizione nonostante Bertani raggiunga Garibaldi e lo accompagni fino a Cagliari.
Dato che nel frattempo Garibaldi riesce a passare in Calabria, questa idea perde d'importanza e Bertani è nominato pro-dittatore della Sicilia.

Nel 1861 viene eletto deputato nel nuovo Parlamento del Regno d'Italia e fa parte della Sinistra storica. Si oppone alla spedizione di Garibaldi del 1862 verso Roma ma torna con lui nella Terza Guerra d'Indipendenza nel 1866 e a Mentana nel 1867.

Fa parte della Sinistra repubblicana e mazziniana ma vorrebbe conciliare le idee repubblicane con una evoluzione democratica della monarchia. Successivamente, però, si oppone alla Sinistra di Depretis e fonda, nel 1877, un gruppo parlamentare dell'estrema sinistra. Chiede l'abolizione della tassa sul macinato ed il suffragio universale.

Giovanni Chiassi (Mantova 1827, Bezzecca 1866)

Nasce a Mantova nel 1827. Nel 1844 si iscrive alla facoltà di Ingegneria dell'Università di Padova, che frequenta fino al 1848 quando viene chiusa in seguito ai moti di Milano. Si arruola nei corpi franchi e poco dopo diventa ufficiale nella colonna mantovana con la quale, il 24 aprile, partecipa, assieme a Nino Bixio, alla battaglia di Governolo. Ritornata la Lombardia in mano austriaca, la colonna mantovana si ritira in Piemonte ma Chiassi si rifiuta di prestare giuramento a Carlo Alberto e raggiunge Garibaldi che tentava di resistere ancora nel Varesotto.

Nel 1849 si reca a Roma ed il 9 maggio combatte a Palestrina ed il 19 a Velletri, caduta Roma, vorrebbe andare a Venezia ma si ammala e deve rinunciare. Entra nella Giovine Italia e partecipa alla congiura stroncata con le esecuzioni di Belfiore ma riesce a fuggire in Svizzera. Prende parte alla tentata insurrezionale del 1854 che fallisce perché la polizia austriaco, avendo avuto qualche informazione, esegue vari arresti. Il Chiassi riesce a fuggire a Londra. Nel 1857 Francesco Giuseppe concede la grazia a trentadue profughi e così Chiassi può tornare a Castiglione e conseguire la laurea in Ingegneria.

Nel 1859 si arruola nei Cacciatori delle Alpi, combatte a Varese e San Fermo, fa parte della colonna Medici in Valtellina e viene decorato con la medaglia d'argento al valor militare. Dopo Villafranca segue Garibaldi nell'Italia centrale.

Nel 1860 Giovanni Chiassi, che era capitano nel 46° reggimento fanteria della brigata Reggio, si dimette da ufficiale dell'esercito regolare ed entra nei garibaldini. Il 21 luglio 1860 ha una parte importante nella presa di Reggio, riuscendo a mettere in fuga le truppe borboniche, che si erano opposte a Bixio. Rimane per un po' a Reggio, come comandante del presidio e poi partecipa nella battaglia del Volturno con il grado di luogootenente colonnello.

Nel 1862, quando Garibaldi prepara l'invasione del territorio pontificio, Chiassi si reca a Caprera, da dove parte per la Sicilia assieme a Garibaldi ma non partecipa allo scontro di Aspromonte perché deve andare a Genova su incarico di Garibaldi. Nel 1865 Chiassi viene eletto deputato al Parlamento. Nel 1866, allo scoppio della terza guerra di indipendenza, ha il comando del 5° reggimento del corpo dei volontari garibaldini dislocato nel settore delle Giudicarie ma, il 21 luglio 1866, muore in combattimento durante la battaglia di Bezzecca.

Clemente Corte (Vigone 1826, Vigone 1895)

Nasce a Vigone (TO) nel 1826. E' ufficiale di carriera nell'esercito regolare sardo in Artiglieria. Partecipa alla Prima Guerra d'Indipendenza, combatte a Novara nel 1849 guadagnandosi la medaglia d'argento al valor militare. Durante la Seconda Guerra d'Indipendenza è Capo di Stato Maggiore di Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi.

Nel 1860 fa parte della cosiddetta seconda spedizione di Giacomo Medici. Dato, però, che i volontari disponibili erano di più di quelli che potevano portare i tre vapori della spedizione, 900 garibaldini sono imbarcati in parte sull'Utile ed in parte sul clipper americano Charles Georgy, rimorchiato dall'Utile e posti tutti sotto il comando di Clemente Corte.

Essendo questo convoglio più lento degli altri piroscafi della spedizione Medici parte due giorni prima ma il 9 giugno è catturato dalla marina borbonica e portato a Gaeta. La bandiera americana, però, protegge il Charles Georgy e quindi i volontari rimangono a bordo per ben venti giorni dopo di che, il 29 giugno, i legni vengono rilasciati con l'ordine di non rientrare più nelle acque del Regno delle Due Sicilie.

Il 9 luglio Clemente Corte sbarca a Genova insieme ai suoi uomini ed il 15, tutti insieme, s'imbarcano sull'Amazon che si dirige su Palermo. Il 18 luglio l'Amazon entra in porto a Palermo proprio mentre Garibaldi ne sta uscendo sulla City of Aberdeen con a bordo vari volontari giunti nei giorni precedenti, Garibaldi allora fa imbarcare sulla sua nave anche i volontari giunti sull'Amazon e tutti sbarcano a Patti dirigendosi poi verso Merì dove gli uomini di Medici fronteggiano le truppe borboniche.

Clemente Corte fa così in tempo a partecipare alla battaglia di Milazzo. Dapprima il suo battaglione è tenuto fra le truppe di riserva ma poi viene mandato in soccorso alle truppe di Cosenz che componevano l'ala ovest dello schieramento garibaldino e che avevano incontrato una forte resistenza. Corte viene ferito al petto durante la presa della città di Milazzo.
Successivamente si distingue anche nell'assedio della fortezza di Capua.

Nel 1862 partecipa alla spedizione di Garibaldi fermata sull'Aspromonte. Nella Terza Guerra di Indipendenza si arruola nel Corpo Volontari Italiani e comanda dapprima il 1° Reggimento poi, dopo essere stato nominato generale, comanda la 4a Brigata. Partecipa alla battaglia di Monte Suello e consegue la medaglia d'oro al valor militare.

Successivamente è Prefetto di Rovigo e viene eletto deputato nella medesima circoscrizione di Rovigo. Nel 1880 viene nominato senatore. Ha anche scritto numerosi articoli per il Corriere della Sera.

Alberto Leardi (Tortona 1836, Milazzo 1860)

Nasce a Tortona, nel 1836 da Luca Leardi, sindaco della cittadina. Nel 1859, allo scoppio della Seconda Guerra d'Indipendenza, sospende gli studi e cerca di arruolarsi nel Corpo dei Granatieri dell'esercito sabaudo ma non viene accettato per via dei postumi di una frattura allora entra nei Carabinieri Genovesi sotto gli ordini del generale Garibaldi partecipando alla campagna col grado di sottotenente.

Nel 1860 parte con i Mille da Quarto e poiché si era distinto nella guerra del 1859 Garibaldi lo nomina capitano. Giunti, però, a Talamone Garibaldi organizza la diversione negli Stati Pontifici e ne affida il comando a Callimaco Zambianchi al quale affianca. come cooperatori, tre ufficiali dei Cacciatori delle Alpi uno dei quali è Alberto Leardi. La Compagnia di Zambianchi viene divisa in due parti una delle quali comandata dal Capitano Leardi.

Deve così abbandonare la spedizione in Sicilia e seguire Zambianchi. Il 19 maggio ha luogo uno scontro a fuoco fra i garibaldini ed i gendarmi pontifici e Zambianchi, dopo aver parlato con i suoi collaboratori, decide che, essendo stata individuata la spedizione, è ormai impossibile marciare su Orvieto e che è meglio rientrare in Toscana.

Una volta giunti in Toscana i volontari si dividono e si dirigono chi ad Arezzo, chi a Siena e chi a Grosseto. Un grosso nucleo di volontari arriva a Genova in tempo per aggregarsi alla spedizione Medici. Alberto Leardi si imbarca sul Charles Georgy, un clipper americano con a bordo ottocento volontari e che viene rimorchiato dall'Utile. Essendo questo convoglio più lento degli altri piroscafi della spedizione Medici parte due giorni prima ma il 9 giugno è catturato dalla marina borbonica e portato a Gaeta.

La bandiera americana, però, protegge il Charles Georgy e quindi i volontari rimangono a bordo per ben venti giorni dopo di che, il 29 giugno, i legni vengono rilasciati con l'ordine di non rientrare più nelle acque del Regno delle Due Sicilie. Il 9 luglio Alberto Leardi sbarca a Genova ed il 15, insieme agli altri volontari che erano stati catturati dai borbonici e liberati dopo un mese, s'imbarca sull'Amazon che si dirige su Palermo.

Il 18 luglio l'Amazon entra in porto a Palermo proprio mentre Garibaldi ne sta uscendo sulla City of Aberdeen con a bordo vari volontari giunti nei giorni precedenti, Garibaldi allora fa imbarcare sulla sua nave anche i volontari giunti sull'Amazon e tutti sbarcano a Patti dirigendosi poi verso Merì dove gli uomini di Medici fronteggiano le truppe borboniche.

Il 20 luglio inizia la battaglia di Milazzo. Alberto Leardi comanda una compagnia. Alla testa di 18 uomini carica alla baionetta un battaglione di Fanteria Regia che fugge, ne consegue una carica della cavalleria napoletana che vuole proteggere la ritirata della fanteria ma la respinge. Garibaldi gli dice Capitano, mi congratulo con voi della valorosa carica che avete fatto; conoscevo da lungo tempo le vostre virtù militari e gli stringe la mano.

I garibaldini avanzano ma, appena passato il ponte che mette nella città, Alberto Leardi cade colpito nella testa da una pallottola nemica. E' gravemente ferito ma incoraggia ancora i suoi soldati. Viene trasportato in una casa e muore dopo qualche ora.

Nel 1905, a Tortona, un suo busto viene murato nello scalone del palazzo Municipale.

Giacomo Medici (Milano 1817, Roma 1882)

Nel 1836 segue il padre che va in esilio in Portogallo e combatte i Carlisti. Nel 1840 si trasferisce a Londra dove conosce Mazzini ed entra nella Giovine Italia. Nel 1846 si reca in Uruguay dove conosce Garibaldi. Nel 1848, insieme a Garibaldi, ritorna a Milano liberata dagli austriaci e comanda i volontari del Battaglione Anzani.

Nel 1849 va a difendere Roma e comanda la Legione Medici, composta da trecento volontari lombardi. Riesce a tenere l'avamposto della Villa del Vascello contro le truppe francesi e riceve la medaglia d'oro al valore militare dal Governo dello Repubblica Romana.

Nel 1859 partecipa all'organizzazione dei volontari che affluivano in Piemonte, viene promosso tenente colonnello e gli viene affidato il comando del 2° Reggimento dei Cacciatori delle Alpi. Combatte nelle battaglie di Varese e di San Fermo e comanda i volontari che occupano la Valtellina.

Su richiesta di Garibaldi non partecipa alla Spedizione dei Mille perché deve rimanere a Genova ad organizzare le spedizioni successive, comunque è lui che si accorda con Rubattino ottenendo il Piemonte ed il Lombardo che portarono i Mille fino a Marsala.

Quando si accorge che molte armi e munizioni non sono state imbarcate sulle navi dei garibaldini organizza subito un'altra spedizione, comandata da Agnetta, composta da pochi uomini ma che portava con sé molti fucili e munizioni. Organizza poi la spedizione che avrebbe comandato lui stesso e che avrebbe dovuto attaccare il Regno delle Due Sicilie da nord attraversando Marche ed Umbria ma questa idea incontra l'opposizione delle autorità piemontesi.

La spedizione, comandata da Medici in persona, parte allora per la Sicilia. E' composta da quasi 3500 volontari ma i 900 uomini comandati da Corte, che erano a bordo dell'Utile che rimorchiava un clipper a vela, vengono catturati dalla marina borbonica, per cui sbarca in Sicilia con 2500 volontari che vengono organizzati in un brigata che viene chiamata Brigata Medici.

Medici comanda poi una delle tre colonne che dovevano attraversare la Sicilia e precisamente quella che deve percorrere la parte settentrionale dell'isola andando da Palermo a Messina. Medici ha l'ordine di occupare Castroreale e di attendere ma avanza fino a Merì per proteggere Barcellona che è insorta e si scontra con i borbonici del colonnello Bosco.

Garibaldi accorre via mare con tutte le truppe che gli restano ed ha luogo la battaglia di Milazzo nella quale Medici comanda il centro dello schieramento garibaldino. Medici avanza poi su Messina e firma un trattato col quale la città viene lasciata ai garibaldini mentre i borbonici rimangono nella fortezza che, però, rimarrà neutrale fino alla fine della guerra.

La Brigata Medici attraversa lo stretto assieme alla Brigata Cosenz e contribuisce all'accerchiamento dei borbonici del generale Briganti che si arrendono. Successivamente i suoi uomini sono agli avamposti sul Volturno e si scontrano con rilevanti forze nemiche a Caiazzo. Durante la battaglia del Volturno Medici respinge i borbonici usciti dalla fortezza di Capua e partecipa poi all'assedio della stessa fortezza.

Successivamente entra nell'esercito regolare ed è nominato comandante militare di Palermo. Nel 1862 aiuta i garibaldini che preparavano la spedizione finita poi all'Aspromonte e cerca inutilmente di convincere il re perché non fermi i volontari. Si occupa poi di reprimere il brigantaggio guidando una serie di operazioni nella Sicilia occidentale.

Nel 1866 Medici comanda una colonna dell'Esercito Italiano ed avanza fino alle porte di Trento. Nel 1868 viene nominato Prefetto di Palermo come prefetto e mantiene la carica fino al 1873. Nel 1870 il re lo nomina senatore e nel 1876 gli concede il titolo di Marchese del Vascello.

Giovanni Nicotera (Sambiase 1828, Vico Equense 1894)

Fa parte della Giovine Italia di Mazzini, nel 1848 combatte a Napoli e poi, nel 1849, a Roma assieme a Garibaldi. Dopo la caduta della Repubblica Romana si reca in Piemonte e con Pisacane, organizza la spedizione di Sapri che fallisce. Nicotera viene ferito, arrestato e condannato a morte ma la pena viene trasformata in ergastolo.

Viene imprigionato a Favignana ma è liberato, nel 1860, dalla spedizione Medici che si ferma a Favignana per liberare i superstiti della spedizione Pisacane e si reca subito a Palermo da Garibaldi. Viene poi mandato in Toscana per raccogliere i volontari che avrebbero composto la 5a Brigata Toscana che doveva occupare Perugia e poi ricongiungersi alle prime quattro brigate, comandate da Pianciani, che sarebbero sbarcate a Montalto ed alla sesta brigata che doveva invadere le Marche fra Urbino e Gubbio.

Nicotera raccoglie oltre duemila volontari. I piemontesi però sono contrari alla spedizione e la impediscono con il semplice espediente di mandare una nave da guerra a Golfo Aranci dove si dovevano radunare le navi con a bordo le prime quattro brigate della spedizione e facendo dire ad ogni nave garibaldina che arrivava di proseguire per Palermo perché il concentramento si sarebbe fatto là.

Garibaldi accorre ma, di fronte al fatto compiuto, decide che la diversione attraverso lo Stato Pontificio si può fare con i soli volontari di Nicotera e quelli della Romagna. Il ministro Farini, però, proibisce ogni nuovo arruolamento e Ricasoli ordina a Nicotera, che rifiuta, di sciogliere la brigata.

Il 28 agosto Nicotera viene arrestato ma la brigata rifiuta di obbedire ad ordini che non fossero quelli dati liberamente da Nicotera e si appresta alla difesa. Allora si decide di lasciarli partire, si libera Nicotera e il 30 agosto a Livorno la brigata si imbarca sui vapori Rhone e Provence ed il brigantino San Nicola.

I volontari, però, non ci possono stare tutti e 400 rimangono a terra. Nicotera rimane con loro. Il giorno successivo si presenta un commissario di polizia con molte forze ed ordina che i volontari passino sopra i due vapori Febo e Generale Garibaldi (quanti ce ne stavano) per essere scortati a Palermo. Nicotera protesta, si dimette da comandante e dice che avrebbe accompagnato i volontari a Palermo ma solo come privato cittadino.

Nei giorni successivi la brigata parte da Livorno ed arriva a Palermo. Dato che Nicotera persiste nelle sue dimissioni, la brigata viene posta sotto il comando del colonnello Spangaro.

Nel 1862 Nicotera partecipa alla spedizione di Garibaldi fermata all'Aspromonte. Nel 1866, comanda il 6° Reggimento volontari durante la Terza Guerra d'Indipendenza. Nel 1867 partecipa al tentativo di Garibaldi contro Roma penetrando da sud nello Stato Pontificio ma intanto Garibaldi viene sconfitto a Mentana e la spedizione si ferma.

Nel 1876, quando la Sinistra storica va al governo, viene nominato Ministro dell'Interno nel primo governo Depretis. Si dimette alla fine del 1877 e va all'opposizione. Nel 1891 è nuovamente al governo, sempre come Ministro dell'Interno, con Rudinì. Durante lo scandalo della Banca Romana propone invano severe misure repressive.

Luigi Pianciani (Roma 1810, Spoleto, 1890)

Si laurea in legge e diventa ispettore generale delle dogane a Roma. Suo fratello è il conte Adolfo Pianciani, generale delle Armi pontificie. Nel 1847 è gonfaloniere di Spoleto e promuove la prima petizione a Pio IX per ottenere la costituzione liberale. Infatti, benché sia nobile, apprezza la Giovine Italia di Mazzini.

Nel 1848 è un ufficiale delle milizie pontificie combattenti nel Veneto e prende parte alla difesa di Venezia. Nel 1849 è arrestato dai francesi e quando viene liberato, va esule a Londra dove collabora con Mazzini.

Nel 1860 è chiamato da Garibaldi come capo di Stato Maggiore di una nuova spedizione che avrebbe dovuto operare una diversione nello Stato pontificio dopo quella fallita di Zambianchi. Successivamente Pianciani è nominato comandante dell'intera spedizione, composta di sei brigate di linea, che doveva invadere l'Umbria e le Marche contemporaneamente per via di terra (due brigate) e per mare (quattro brigate).

Il ministro Farini, però, non vuole che la spedizione parta ed afferma che il governo avrebbe permesso la spedizione solo se fosse andata in Sicilia. Ci si accorda allora affinché i volontari partano da più porti su uno o due vapori alla volta con l'intervallo di uno o due giorni e si concentrino a Terranova (è l'attuale Olbia).

Con il semplice espediente di mandare una nave da guerra a Golfo Aranci dove si dovevano radunare le navi con a bordo le prime quattro brigate della spedizione e facendo dire ad ogni nave garibaldina che arrivava di proseguire per Palermo perché il concentramento si sarebbe fatto là, Farini riesce a far proseguire per la Sicilia le prime due brigate che arrivano.

Le altre due stanno anch'esse per proseguire ma arriva Garibaldi in persona che intanto le manda a Cagliari cosicché, quando, il pomeriggio del 14 agosto, arriva Pianciani con lo Stato maggiore, ha la sorpresa di non trovare nessuno. Da alcuni soldati che erano scesi a terra e non avevano poi ritrovato le loro navi, apprende quanto accaduto e va a Cagliari.

Qui incontra Garibaldi che gli dice che gli uomini da lui portati ora servono in Sicilia e che la diversione la si può fare, per via di terra, con i volontari di Nicotera e di Caucci che si trovano ancora a Firenze ed in Romagna e che sono circa 2000. Pianciani chiede allora di raggiungerli per continuare l'impresa già iniziata ma, quando arriva, apprende da Nicotera che Ricasoli aveva ordinato di sciogliere la brigata.

Nel 1865 viene eletto deputato al Parlamento italiano. Nel 1866, la commissione militare gli rifiuta il grado di colonnello, così combatte nella Terza Guerra d'Indipendenza come soldato semplice nelle Guide a cavallo. A Bezzecca si comporta valorosamente ed ottiene la Croce di Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.

Successivamente è Sindaco di Roma e Presidente del Consiglio provinciale dell'Umbria.

Gaetano Sacchi (Pavia 1824, Roma 1886)

Da giovane si dedicò allo studio frequentando le migliori famiglie di Pavia tra le quali quella dei fratelli Cairoli ma, nel 1842, la sua famiglia ebbe problemi economici per cui abbandonò gli studi e lavorò nella Marina mercantile.

Nel 1843, in America Latina, si arruolò nella neonata Legione italiana comandata da Anzani e Garibaldi. Arrivò al grado di capitano, partecipò alla difesa di Montevideo (1843-1844) e alla battaglia di San Antonio del Salto (1846), rimanendo gravemente ferito.

Nel 1848 seguì Garibaldi che tornava in Italia e si recò a Pavia per organizzare i volontari del luogo, nel 1849 si recò a Roma per combattere in difesa della Repubblica Romana arrivando al grado colonnello. Dopo la fine della Repubblica assunse il comando della Seconda Legione fino allo scioglimento del corpo a San Marino.

Dopo la guerra fu pilota di vapori sul Po ma, per aver diffuso libri proibiti, dovette fuggire nel Regno di Sardegna. Nel 1853 partecipò al moto mazziniano del 6 febbraio ma, essendo questo fallito, fuggì a Zurigo e poi tornò in Uruguay. Nel 1856 rientrò in Italia e l'anno successivo, fu graziato.

Nel 1859 entrò a far parte del 2° reggimento dei Cacciatori delle Alpi con il grado di maggiore combattendo a Varese e a San Fermo, poi si recò in Emilia per organizzare il 4° reggimento di linea rimanendone al comando anche dopo l'annessione al Regno di Sardegna.

Nel 1860 Garibaldi stesso gli disse non abbandonare il comando del 46° reggimento della brigata Reggio perché sperava che Vittorio Emanuele gli concedesse l'autorizzazione ad utilizzarlo per la sua spedizione.

Dato che ciò non avvenne diede le dimissioni e prese il comando di una delle spedizioni successive che partì da Genova il 19 luglio. La sua brigata risalì tutta la Calabria con vari scontri con i borbonici e partecipò alle battaglie di Caiazzo e del Volturno ed all'assedio di Capua.
Gestì poi la smobilitazione dei volontari e partecipò alla commissione che doveva valutare gli ufficiali garibaldini che chiedessero di entrare a far òparte dell'esercito regolare.

Come maggiore generale dell'esercito prese parte alla Terza Guerra d'Indipendenza e partecipò alla battaglia di Custoza. Fu mandato poi a Catanzaro per la lotta contro il brigantaggio in Calabria. Nel 1870 fu promosso a tenente generale, nel 1876 fu nominato senatore e morì nel 1886 a Roma.

Stefano Türr (Baja in Ungheria 1825, Budapest 1908)

Il suo nome, István è stato italianizzato in Stefano. Nasce nell'Ungheria meridionale. Entra nell'esercito austriaco dove diventa tenente dei granatieri e partecipa, nel 1848, alla guerra contro Il Piemonte.

Nel gennaio del 1849 diserta e passa dalla parte dei piemontesi combattendo contro gli austriaci come capitano della Legione ungherese. Dopo la sconfitta di Novara lascia il Piemonte recandosi in Germania, nel Granducato del Baden, dove partecipa alla rivolta col grado di colonnello.

Torna poi in Piemonte dove voleva organizzare, assieme a Giuseppe Mazzini e Luigi Kossuth (il famoso patriota ungherese) che aveva conosciuto a Londra, una rivolta che si svolgesse in tutti paesi occupati dall'Austria ma viene arrestato ed espulso.

Si reca allora prima a Tunisi e poi a Londra dove si arruola nell'esercito nella legione anglo-turca partecipando alla guerra di Crimea. Nel 1855 va a Bucarest per conto degli inglesi ma viene arrestato dagli austriaci e condannato a morte come disertore, salvandosi solo per l'intercessione della Regina d'Inghilterra.

Si dedica allora al commercio andando a vivere in Turchia. Nel 1859, essendo nuovamente scoppiata la guerra contro gli austriaci, torna in Italia, si arruola nei Cacciatori della Alpi combattendo agli ordini di Garibaldi con il grado di colonnello e rimanendo ferito a Treponti.

L'anno successivo parte con i Mille di Garibaldi. E' dapprima aiutante di campo e poi viene nominato comandante della 15A divisione. Una volta occupata Napoli viene nominato da Garibaldi governatore della città. Alcuni storici gli attribuiscono la colpa di essere stato imprudente e di aver così contribuito alla sconfitta di Cajazzo mentre altri lo difendono e gli danno in merito di aver validamente contribuito alla vittoria sul Volturno per come ha gestito la riserva.

Dopo che l'esercito garibaldino viene disciolto, è nominato generale di divisione dell'esericto sabaudo ma, nel 1861, termina la sua carriera. Nel settembre dello stesso anno sposa Adelina Bonaparte Wyse che era nipote del fratello di Napoleone Bonaparte e cugina di Napoleone III.

Nel 1862 viene nominato Aiutante di campo onorario di re Vittorio Emanuele II. Nel 1866, scoppia ancora la guerra con l'Austria e viene incaricato di organizzare un'insurrezione dell'Ungheria che sarebbe dovuta partire dalla Serbia. Nel 1888 riceve la cittadinanza italiana.

Borbonici

Ferdinando Beneventano del Bosco (Palermo 1813, Napoli 1881)

Nel 1822, all'età di nove anni, entra come allievo nella Reale Accademia della Nunziatella dalla quale esce con il grado di secondo tenente e viene assegnato ai granatieri della Guardia. Nel 1845 è costretto a fuggire a Malta perché imputato di aver partecipato a un duello. Ritorna poi a Napoli e nel 1848 è promosso capitano.

Sempre nel 1848, nella campagna contro gli insorti siciliani, si mette in luce durante l'assedio di Messina; l'anno successivo combatte a Taormina e a Catania e si mette nuovamente in luce in due operazioni nelle zone di Monserrato e di Punta del Verde. Nel 1850 è decorato con la medaglia d'oro di prima classe dal re Ferdinando II che lo crea anche Cavaliere di San Ferdinando e San Giorgio.

Successivamente torna a Napoli ma, nel 1857, viene trasferito in Sicilia e l'anno successivo promosso a maggiore ed assegnato al 9° battaglione di linea di stanza a Monreale. Il 6 ed il 12 aprile 1860 respinge gli attacchi dei palermitani insorti e poi contrattacca nei pressi di Carini.

Il 20 maggio il suo battaglione viene inquadrato nella brigata comandata dal colonnello svizzero Von Mechel che il giorno seguente attacca i garibaldini che puntano su Palermo, nello scontro muore Rosolino Pilo. I borbonici poi perdono il contatto col nemico e lo inseguono verso l'interno mentre invece Garibaldi attraversa i monti ed occupa Palermo.

Von Mechel torna a Palermo il 30 maggio e Bosco attacca le barricate dei garibaldini ma deve subito fermarsi perché era in corso una tregua chiesta da borbonici di Palermo. Il 3 giugno i borbonici capitolano in cambio del permesso di lasciare la città; il 10 giugno Bosco è promosso colonnello e mandato a Messina, comandata dal generale Clary che gli ordina di presidiare il forte di Milazzo con tre battaglioni.

Quando le truppe di Medici avanzano ed arrivano ad occupare Merì, Bosco esce dalla fortezza ma non attacca. Il 17 luglio i garibaldini occupano Corriolo ed Archi, allora Bosco, avendo avuto l'ordine di occupare Archi, manda il maggiore Marigh con quattro compagnie contro i 300 garibaldini ed i 70 picciotti che difendevano il paese.

L'attacco non riesce e Bosco mette agli arresti il maggiore Marigh e manda sei compagnie, comandate dal tenente colonnello Marra, ad attaccare Corriolo. Alla sera Corriolo è in mano ai garibaldini ed Archi ai borbonici ma Bosco, credendo di avere di fronte più di settemila uomini, ordina la ritirata.

Il 20 luglio i garibaldini avanzano ed attaccano i borbonici davanti a Milazzo, i borbonici si ritirano ed i garibaldini attaccano le mura ed occupano la città mentre la fortezza rimane in mano a Bosco che manda al generale Clary un dispaccio che dice Sono nel forte. Gran perdita di truppe. Se non potete spedire alle spalle del nemico un gran numero di cacciatori, procurate di far stabilire una capitolazione con onore.

La resa del forte viene trattata tra Garibaldi ed il ministro plenipotenziario del re di Napoli, colonnello Anzani. I regi possono uscire dal forte con armi e bagagli, lasciando però all'esercito garibaldino i cannoni, le munizioni e gli animali da tiro con le bardature oltre ai due cavalli del comandante Bosco che è l'unico degli ufficiali che deve uscire a piedi e disarmato dal forte.

Quest'ultima strana condizione è dovuta al fatto che i garibaldini accusavano Bosco di aver mancato alla parola a data a Palermo e perché Bosco si era vantato che sarebbe entrato in Messina sul cavallo che, in precedenza, i messinesi avevano regalato al generale Medici ed invece sarà Medici che entrerà a Messina sul cavallo di Bosco.

Bosco torna a Napoli dove, nonostante la sconfitta, riceve la terza promozione in pochi mesi e diventa generale di brigata ed in questa veste si oppone alla nomina di Girolamo Ulloa a comandante delle truppe in Calabria, convince Francesco II a non mettersi a capo dell'esercito e gli suggerisce di non opporre resistenza ai garibaldini e di ritirarsi in Gaeta.

Bosco, che intanto aveva avuto dei contatti con Mariano d'Ayala promettendo di non impegnarsi in combattimento con Garibaldi, viene arrestato quando Garibaldi entra in Napoli ma, dopo aver rinnovato l'impegno con il d'Ayala, ha il permesso di lasciare Napoli e va a Parigi per cui non partecipa alla battaglia del Volturno.

In novembre si reca alla fortezza di Gaeta che era assediata e tenta senza successo una sortita nella notte tra il 28 e il 29 novembre. Due mesi dopo sostiene la decisione di arrendersi all'esercito piemontese e segue il re in esilio a Roma dove organizza il brigantaggio contro i piemontesi. Nel settembre del 1861, però, Pio IX, a causa di alcuni duelli provocati da Bosco, ne ordina l'espulsione.

Bosco si trasferisce allora a Trieste dove, nel 1863, tenta di organizzare una spedizione legittimista con ex-soldati del duca di Modena e poi si reca a Madrid dove continua a reclutare uomini da inviare nell'Italia meridionale. Nel 1866 è a Barcellona dove fa altri tentativi di arruolamento che falliscono per la mancanza di denaro.

Fileno Briganti (Chieti 1802, Mileto 1860)

Nel 1815 entra nella Reale Accademia della Nunziatella dalla quale esce con il grado di sottotenente di artiglieria. Nel 1848, durante l'insurrezione indipendentista siciliana, partecipa alla difesa di Messina ricevendo la Croce di San Giorgio e poi viene ferito nella battaglia di Taormina.

Nel 1860, quando Garibaldi occupa Palermo, è il comandante delle artiglierie del Castello a Mare e bombarda senza tregua la città per tre giorni. Successivamente il generale Bortolo Marra accusa il generale Giambattista Vial, diretto superiore di Briganti, di manifesta incapacità, allora il maresciallo di campo Pianell, il primo d'agosto, solleva dall'incarico Marra e lo sostituisce con Briganti che viene promosso a generale di brigata.

Briganti deve difendere Reggio Calabria ma, dopo lo sbarco di Bixio, commette numerosi errori e perde la città. Il 22 di agosto è circondato dalle truppe garibaldine e gli viene intimata la resa. Benché abbia con sé 4000/5000 uomini il 24 agosto ordina ai suoi soldati di ritirarsi senza combattere ed il giorno successivo è ucciso da soldati del quindicesimo reggimento napoletano che lo accusavano di tradimento.

Francesco Landi (Napoli 1792, Napoli 1861)

Nasce a Napoli in una famiglia di tradizioni militari. Nel 1806 entra nella Regia Accademia Militare. In quel tempo il Regno di Napoli era in mano ai francesi (il re era Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone) mentre i Borboni tenevano la Sicilia grazie all'aiuto inglese. Nel 1809 è mandato al 3° reggimento della fanteria di linea e poco dopo diventa sottotenente.

Partecipa alla fallita spedizione contro la Sicilia (e quindi contro i Borboni) ed alla lotta contro il brigantaggio in Calabria. Come tenente delll'8° reggimento di linea è presente all'assedio della cittadella di Ancona e come capitano prende parte, nel 1815, alla campagna di Gioacchino Murat nel nord combattendo a Tolentino e ricevendo la croce di cavaliere dell'Ordine delle Due Sicilie.

Una volta tornati i borboni, in base cosiddetto trattato di Casa Lanza, gli viene confermato il grado e ritorna al 3° reggimento della fanteria di linea. Nel 1821 prende parte alla campagna contro gli Austriaci. Successivamente re Ferdinando I scioglie l'esercito e Francesco Landi è posto in ritiro con un terzo della paga.

Nel 1832 viene riammesso nell'esercito ma posto in attesa di destinazione. Solo 1837 riceve un nuovo incarico. Passa per vari reggimenti finché, nel 1840, è assegnato al 13° reggimento di linea. Nel 1848 è ancora capitano e viene assegnato al 3° reggimento di linea partecipando alla repressione della rivolta in Calabria e ricevendo la croce di cavaliere dell'Ordine di Francesco I.

Nel 1849 è promosso al grado di maggiore, poi diventa tenente colonnello e nel 1856 colonnello comandante del 6° reggimento di linea. Nel 1860, mentre cerca di soffocare i primi moti di rivolta in Sicilia, è promosso brigadiere generale e mandato verso Partinico e Alcamo al comando di quattro compagnie di fanteria, con anche uno squadrone di cacciatori a cavallo e quattro pezzi d'artiglieria, per disperdere le bande di insorti.

Il 12 maggio 1860, mentre si trova ad Alcamo, apprende dello sbarco di Garibaldi e riceve l'ordine di muovergli contro congiungendosi con dei rinforzi che lo avrebbero incontrato a Calatafimi. Qui giunto assume il comando anche di un battaglione di cacciatori ed di uno di fanteria che lo hanno raggiunto. Riceve però anche l'ordine di ripiegare su Partinico.

Il Landi rimane a Calatafimi mandando in esplorazione tre colonne di soldati. Una delle colonne formata da soldati dell'8° cacciatori avvista i garibaldini e li attacca. Landi aiuta le truppe impegnate con molti rinforzi ma tiene a Calatafimi varie compagnie per un totale di circa mille uomini che non vengono impegnati nella battaglia nemmeno quando si vede che i garibaldini resistono ed addirittura avanzano.

Landi manda una richiesta di aiuto a Palermo ed ordina la ritirata senza cercare di difendere Calatafimi. Tornato a Palermo partecipa alla difesa della città ma, una volta a Napoli, insieme agli altri generali che hanno perso la Sicilia, è giudicato da una commissione d'inchiesta che lo assolve da ogni addebito. Decide comunque di congedarsi e nel 1861 muore.

Dopo la sua morte i fautori dei Borboni dissero che era stato comprato e che sarebbe morto di crepacuore dopo aver scoperto di essere stato truffato e che il documento di credito di 14.000 ducati, che aveva ricevuto per il suo tradimento, era falso. Uno dei suoi figli, per tutelare l'onore del padre, scrisse a Garibaldi che gli rispose smentendo tutta la vicenda.

Del resto la commissione d'inchiesta borbonica lo aveva assolto perché, già nella sua richiesta di soccorso, il Landi spiegava le ragioni della sua decisione di ritirarsi senza cercare di difendere la città di Calatafimi e cioè che moltissime bande di siciliani si erano unite ai garibaldini e molte altre erano in attesa dello svolgersi degli eventi per farlo, per cui rischiava di rimanere bloccato in Calatafimi con tutti i suoi uomini e poche munizioni.

Piemontesi

Giuseppe Alessandro Piola Caselli (Alessandria 1825, Torino 1910)

Giuseppe Alessandro Piola Caselli si dedicò alla carriera militare nella Marina piemontese a differenza di alcuni suoi fratelli che entrarono nell'esercito. Fu dapprima nel Mediterraneo e poi nel Mar del Plata, dove conobbe Giuseppe Garibaldi che appoggiava il governo di Montevideo. Incontrò di nuovo Garibaldi nel settembre del 1849 quando Garibaldi, prima di poter tornare a Nizza, fu tenuto, dal governo piemontese, bloccato a Genova sulla fregata San Michele dove Caselli era ufficiale.

Partecipò poi alla spedizione in Crimea e stette a lungo lontano dall'Italia. Nel 1860 Cavour inviò Piola Caselli, al comando dell'avviso veloce Authion, nelle acque siciliane per osservare e riferire a Torino. Per fare ciò si mise addirittura a scendere a terra in abiti borghesi, per capire cosa accadesse e contattare i gruppi e le persone ostili al governo borbonico, cosa ovviamente non gradita alle autorità.

Successivamente Cavour permise che ufficiali della marina sarda passasero sotto il comando di Garibaldi e Piola Caselli divenne Segretario di Stato della Marina siciliana pur mantenendo i legami con il governo piemontese. Condusse poi il tentativo di impadronirsi, nel porto di Castellammare di Stabia, del vascello borbonico Monarca che fallì ma la nave garibaldina usata per l'attacco venne spinta dal vento in vicino ad una fregata inglese e così si salvò.

Il 1° novembre 1860 tornò nella Marina piemontese continuando la sua carriera militare. A Lissa fu al comando della pirofregata corazzata Ancona e poi, nel settembre del 1866, partecipò alla spedizione che doveva reprimere la rivolta di Palermo, durata sette giorni e mezzo. L'anno successivo dovette pattugliare le coste del Lazio per prevenire un possibile sbarco dei garibaldini diretti a Roma.

Negli ultimi anni di carriera raggiunse i massimi gradi della gerarchia militare e fece parte del Consiglio Superiore di Marina. Fu collocato a riposo nel 1882 e morì a Torino il 7 maggio 1910.


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