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Antonio Comaschi


Il padre della mia nonna paterna

Antonio Comaschi è il padre della mia nonna paterna, Maddalena Comaschi.

Nasce a Lodi il 10 dicembre 1834 da Giovanni Battista e Maddalena Inzaghi. E' l'ultimogenito di sei figli ed il secondo maschio e nasce a grande distanza di tempo dai primi. Quando nasce, le sue sorelle Carolina e Lucia hanno già più di 20 anni e suo fratello Carlo ne ha 18.

La casa paterna era situata nella piazza principale di Lodi proprio di fianco alla facciata del Duomo. Dalla tradizione familiare mi è giunto il ricordo di quanto fosse fastidiosa la vicinanza all'orologio del campanile che suonava le ore, le mezze ore ed anche la mezzanotte [1].

Guardando una foto attuale della piazza (che ora si chiama Piazza della Vittoria e che un tempo si chiamava Piazza Maggiore) si può facilmente individuare la casa in questione che è la più vicina al Duomo e che è di tre piani con la facciata gialla.

Suo padre possedeva anche quella che ora è la fettina di casa alla destra di chi guarda perché questa casa è stata ricavata dall'unione di due case più piccole, entrambe di proprietà dei Comaschi [2]. Non so l'anno esatto in cui sono state unite ma sicuramente è stato alcuni anni prima del 1857 [3] quando Giovanni Battista Comaschi era già deceduto e le case erano di proprietà di Carlo Comaschi, il fratello di Antonio.

Ecco come appariva la casa in questione nel 2013:

La casa che fu dei Comaschi come appariva nel 2013   Piazza della Vittoria (ex-Piazza Maggiore) a Lodi come appariva nel 2013   La casa che fu dei Comaschi come appariva nel 2013

L'anno successivo alla sua nascita, suo fratello Carlo si iscrive alla Facoltà politico-legale dell'Università di Pavia dove rimane per tre anni accademici (dal 1835/36 al 1837/38), poi si traferisce a Padova [4] e si laurea a Pavia il 25 novembre 1840.

Il 29 febbraio 1848, quando suo padre Giovanni Battista muore [5], Antonio è ancora minorenne ed è suo fratello Carlo che gli farà da padre. Anche se Carlo si è già trasferito a Milano, ha mantenenuto comunque la gestione e la proprietà della casa paterna a Lodi dove continua a vivere Antonio con le sorelle e la madre.

Quando, nel marzo del 1848, scoppia la rivolta delle Cinque Giornate di Milano, Antonio Comaschi è poco più che tredicenne ma certo si sarà infiammato nel sentire i racconti di suo fratello Carlo che, in quei giorni, era a Milano ed aveva partecipato attivamente alla rivolta combattendo contro le guardie di polizia della Caserma posta nella contrada di San Bernardino alle Monache ed issando per primo il tricolore sulla Caserma conquistata.

Può darsi anche che abbia avuto occasione di conoscere l'Avv. Giunio Bazzoni che era un collega di suo fratello Carlo e che era un poeta ed un carbonaro. Costui era amico di vari carbonari arrestati nel 1821 e nel 1825 quando si sparse la notizia, rivelatasi poi falsa, della morte di Silvio Pellico, prigioniero allo Spielberg, aveva pubblicato, in forma anonima, un'ode in morte di Silvio Pellico che era diventata famosissima.

Data la giovane età di Antonio non ho mai pensato che, durante i mesi del Governo Provvisorio della Lombardia, istituito dopo la cacciata degli austriaci, abbia potuto fare di più che sventolare un tricolore e del resto non l'ho mai trovato citato nei numerosi articoli che ho letto su quel periodo a Lodi ma poi ho scoperto che, nel 1864 quando fu preparato un dossier su di lui [6], si affermava che era volontario nel '48. Non ho ancora potuto leggere questo dossier e quindi non so cosa abbia potuto fare a soli 13 anni.

Suo fratello Carlo ha vari incarichi nel Governo Provvisorio ed il 5 agosto 1848 viene chiamato a far parte di una nuova Commissione incaricata delle requisizioni per l'approvvigionamento della Città, ma il giorno successivo gli austriaci tornano a Milano e così è costretto a riparare in Svizzera per qualche tempo.

Non ho notizie precise sui primi studi di Antonio Comaschi ma, data la sua successiva laurea in legge, è praticamente certo che abbia frequentato il Liceo Comunale che ora si chiama Liceo Pietro Verri e che si trovava nell'ex-convento di San Giovanni alle Vigne dove si studiavano le materie che successivamente caratterizzarono il Liceo Classico.

Alcuni degli insegnanti professavano idee considerate rivoluzionarie in quanto erano antiaustriaci e repubblicani. Fin dal 1834 vi insegnava fisica Paolo Gorini (1813-1881), scienziato noto ma spesso attaccato per i suoi studi non ortodossi e dal 1842 era vicepreside l'abate Luigi Anelli (1813-1890) che, nel 1848, partecipò al Governo Provvisorio come rappresentate di Lodi e Crema. Era un repubblicano convinto e quindi era contrario all'annessione della Lombardia al Piemonte.

Luigi Anelli andò in esilio dopo il fallimento dei moti e quindi Antonio può aver fatto appena in tempo a conoscerlo ma Paolo Gorini era anche un amico di famiglia ed un altro conoscente ed amico di suo fratello Carlo era il sacerdote Cesare Vignati (1814-1900) che era anch'egli un patriota e che era stato nominato segretario del Governo Provvisorio Cittadino.

In una lettera del 15 maggio 1848 scritta da Paolo Gorini a Don Cesare Vignati si legge La tua famiglia e la famiglia Comaschi stanno bene e ti salutano [7].
Inoltre, tra i libri che erano di mia nonna, c'è anche Storie lodigiane, scritto da Cesare Vignati e stampato nel 1847 [8], con la dedica autografa dell'autore a Carlo Comaschi.

Dedica a Carlo Comaschi

Antonio Comaschi segue la tradizione di famiglia e studia legge. Non so la data alla quale si iscrive all'Università e nemmeno quella della sua Laurea ma è certo che si laurea prima del 23 dicembre 1858, data alla quale viene ordinato agli studenti dell'Università di Pavia di far rientro a casa entro 22 ore e l'Università viene chiusa a tempo indeterminato a causa del subbuglio fra gli studenti per le voci di una possibile nuova guerra fra il Piemonte e l'Austria [9].

A Pavia incontrò sicuramente un ambiente molto vivace e rivoluzionario fra gli studenti mentre i docenti avevano una completa sottomissione agli austriaci. Faceva eccezione Giuseppe Zuradelli che aveva la cattedra di Statistica generale d'Europa e statistica particolare austriaca e che insegnò dal 1824 al 1859 ma che fu sospeso dall'insegnamento fra 1850 ed il 1851 per aver partecipato alle lotte rivoluzionarie ed aver condotto il battaglione studenti nel 1848 [10].

Volontario nei Cacciatori delle Alpi

I patti di Plombières, stipulati fra Cavour e Napoleone III nel luglio del 1858, prevedevano che il Piemonte avrebbe rafforzato il suo esercito con l'arruolamento di volontari. I primi volontari furono arruolati il 12 gennaio 1859 (tre giovani, tutti di Pavia) ma, per qualche tempo, gli arruolamenti procedettero a rilento perché l'Esercito pretendeva che i volontari si impegnassero per una ferma di otto anni come era d'uso.

Le regole furono cambiate più di una volta ma solo quando fu stabilita la ferma di un anno gli arruolamenti procedettero spediti. Agli ufficiali di carriera però garbava poco sia che entrassero nell'esercito altri ufficiali, sia che, come soldati, venissero arruolati giovani diversi come istruzione, stato sociale e forza fisica dai contadini e dai montanari che solitamente si arruolavano per otto anni nell'esercito sabaudo.

Per questo motivo non tutti furono accettati nell'esercito e parecchi furono ospitati in un Deposito situato nel Monastero di Santa Chiara a Cuneo. Il 17 marzo 1859 un decreto reale creava i Cacciatori della Alpi organizzando in compagnie i volontari che si trovavano nel deposito di Cuneo e nominava Giuseppe Garibaldi loro comandante con le funzioni di Maggior Generale.
I volontari però dipendevano dal Ministero dell'Interno e non da quello della Guerra e non facevano parte dell'Armata.

Verso la fine di marzo gli arruolati erano già tantissimi per cui, con la matricola 1103, si chiuse il primo deposito e dal 29 marzo, se ne aprì un secondo a Savigliano che fu completato con le matricole da 1104 a 2417 per poi aprirne un terzo sempre a Savigliano.

I primi lodigiani ad arruolarsi (il 16 marzo) erano stati Paolo Boccardi e Carlo Dossena, uno studente ginnasiale di diciott'anni. Antonio Comaschi si arruola il 6 aprile e probabilmente si reca in Piemonte assieme a vari conoscenti anch'essi di buona famiglia perché, tra i sette lodigiani che si arruolano in quel giorno, tre sono i possidenti (il ventunenne Giovanni Pollini, il ventiseienne Antonio Barni ed il ventisettenne Giovanni Barni) e due i laureati (Antonio Comaschi, dottore in legge ed il ventisettenne Agatocle Canevini, laureato in medicina [11]). Gli altri due sono Antonio Nova, filarmonico ed Antonio Uttini, giovane di negozio.

Probabilmente dello stesso gruppo facevano parte vari dei nove lodigiani che lo stesso giorno sono accettati nell'Esercito sabaudo perché ben cinque di loro sono assegnati a reparti di cavalleria quando la stragrande maggioranza dei volontari era messa tra i fanti e c'era stato un nobile veneziano che si era fatto raccomandare addirittura dal Cavour per farsi assegnare alla cavalleria.

E' probabile anche che i due Barni fossero fratelli o comunque parenti del Tommaso Barni, figlio del Conte Giorgio che, parecchi anni prima, si era iscritto all'Università di Pavia assieme a Carlo Comaschi, fratello maggiore di Antonio.

La data dell'arruolamento è molto interessante perché fa vedere che Antonio Comaschi si è arruolato ancora prima dell'ultimatum dell'Austria al Piemonte. Viene assegnato al 2° reggimento, 8a compagnia con la matricola 1188.
Il giorno successivo al suo arruolamento e cioè il 7 aprile 1859, Garibaldi si reca a Cuneo e a Savigliano ed incontra per la prima volta i volontari ai suoi ordini.

Il 24 di aprile un altro decreto reale passa il corpo dei Cacciatori delle Alpi sotto le dipendenze del Ministero della Guerra ma non riconosce ai volontari la nomina ad ufficiali anche se ne svolgano le funzioni. Solo Garibaldi, il giorno successivo, riceve la nomina reale a Maggior Generale. Garibaldi chiede la nomina anche per gli altri ufficiali ma non l'ottiene.

I due reggimenti già pronti sono comandati da Enrico Cosenz e da Giacomo Medici. Sono divisi in due battaglioni (ma ne sarebbero previsti quattro), ognuno dei quali diviso in quattro compagnie. La numerazione delle compagnie è unica a livello di reggimento e quindi il fatto che Antonio Comaschi si trovi nell'8a compagnia significa che la sua è la quarta compagnia del secondo battaglione.

La divisa dei cacciatori consiste in un cappotto di colore grigio con berretto e calzoni di colore azzurro scuro e giberna con cintura nera mentre gli ufficiali portano tunica e calzoni azzurro scuro con colletti e bande verdi.

Come già detto il reggimento di Antonio Comaschi è comandato dal tenente colonnello Giacomo Medici mentre il 2° battaglione è comandato dal maggiore Riccardo Ceroni (nato nel 1806) di Milano che era uno scrittore e l'8a compagnia dal capitano Jacques Freyri che fa anche funzione di aiutante maggiore.
Gli altri ufficiali sono il tenente Antonio Mancini ed i sottotenenti Lorenzo Baggi (che era stato sergente a Roma nel 1849) e Romualdo Sartorio [12].

Il 25 aprile Garibaldi riceve l'ordine di spostare la sua brigata a Brozolo. Partono i due reggimenti già pronti (il terzo era in via di formazione) che sono portati a Chivasso in treno per poi marciare fino a Brusasco dove, il giorno successivo si schiera il secondo reggimento.

Dal 26 aprile al 9 di maggio Garibaldi dipende dalla 4a Divisione di Cialdini da cui prende ordini. Il 28 aprile il secondo reggimento arriva a Brozolo dove rimane fino al 30 mentre i cacciatori si esercitano nell'uso delle armi. Il 29 però gli austriaci passano il confine e la guerra ha inizio.

Il primo maggio viene ordinato a Garibaldi di recarsi a Ponte Stura con tutti i suoi uomini per perlustrare il terreno davanti e di fianco alla Divisione Cialdini. Il 4 maggio Garibaldi riceve l'ordine di spostarsi a Casale il che viene fatto sotto una gran pioggia. Il 6 maggio il generale Cialdini ordina un sortita da Casale sulla riva sinistra del Po alla quale partecipano undici compagnie dei cacciatori fra le quali anche quella di Antonio Comaschi.

Le undici compagnie marciano per Cà Angiolino, Popolo e Corno arrivando fino a Balzola dove rimangono tutto il giorno poi, constatato che il nemico è presente in forze a Vercelli si ritirano nuovamente a Casale. Fin qui Antonio Comaschi ha solo marciato a lungo sotto la pioggia ma, l'8 maggio, il nemico attacca le due compagnie che si trovavano agli avamposti, Medici porta la 3a, 7a ed 8a compagnia ad occupare l'estrema sinistra e gli austriaci dopo uno scontro con quelli della 3a compagnia e con dei bersaglieri di Cialdini si ritirano.

Anche se probabilmente Antonio Comaschi non è stato impegnato direttamente, ha comunque provato l'emozione di avanzare contro il nemico. I cacciatori devono poi tornare a Brozolo e a Chivasso con una dura marcia ed il 12 maggio vengono portati in treno a San Germano per appoggiare l'attacco a Vercelli assieme al terzo reggimento che intanto si era unito a loro.

Dal 10 al 17 maggio i Cacciatori delle Alpi sono assegnati agli avamposti di San Germano e Garibaldi dipende dal Generale d'Armata Sonnaz. Il 13 si vuole fare una sortita contro Vercelli ma poi si mandano avanti solo i due battaglioni del 2° reggimento che, al Cavo Provana, si scontrano brevemente con gli austriaci.

Il 18 maggio i cacciatori vengono portati in treno a Biella e a Garibaldi viene comandato di tenersi davanti e di fianco alla Divisione di Cialdini per impedire sorprese da parte degli austriaci. Nei due giorni che i volontari trascorrono a Biella Garibaldi comanda di cucirsi due grandi tasche dentro i cappotti perché voleva far lasciare i sacchi prima di varcare il Ticino per essere più svelto.

Il 20 maggio tutta la brigata marcia su Gattinara avendo gli austriaci a destra. Il 21 si costruisce un ponte di barche sulla Sesia che si passa raggiungendo Romagnano ed arrivando, alla sera, a Borgomanero. Nella notte fra il 22 ed il 23 maggio Garibaldi passa il Ticino a Castelletto, ottenendo così un'ampia autonomia dato che l'esercito regolare lo passerà solo undici giorni dopo.

Il 23 maggio Garibaldi è a Sesto Calende con i sei battaglioni dei suoi tre reggimenti. Il 2° battaglione del 3° reggimento, comandato dal Maggiore Bixio, viene mandato verso Angera nella speranza di sorprendervi il vapore Ticino, poi Garibaldi lo segue con il grosso delle truppe (compresa la compagnia di Antonio Comaschi).

Dapprima c'è il sole ma poi viene ancora brutto tempo. Alle dieci di sera Garibaldi occupa Varese che era stata abbandonata dagli austriaci che si erano spostati verso Gallarate, forse ingannati da una sortita fatta in quella direzione da una pattuglia mandata da Garibaldi per far credere che volesse puntare su Gallarate.

Bisogna ora difendere Varese. Il 1° reggimento (Cosenz) viene schierato a destra, il 2° (Medici) a sinistra ed il 3° (Ardoino) in parte al centro ed il resto come riserva.
Il 2° reggimento, che è quello nel quale si trova Antonio Comaschi, occupa Biumo Inferiore con tre barricate in prima linea e due compagnie di riserva.

All'alba del 26 maggio gli austriaci attaccano Biumo Superiore dove si trova Cosenz ma le artiglierie tirano sulle barricate di Biumo Inferiore dove c'è Medici con i suoi uomini fra i quali anche Antonio Comaschi.
L'ordine è di non sparare e così gli austriaci avanzano su Biumo Inferiore ma, quando sono a cinquanta passi, si apre il fuoco e vengono respinti.

C'è un secondo attacco e gli austriaci sono nuovamente respinti, il 2° reggimento contrattacca alla baionetta, mette il nemico in fuga e lo insegue.
Garibaldi scende fino alle barricate di Biumo Inferiore, loda tutti e manda il 3° reggimento ad aiutare il 2° nell'inseguire il nemico. Ci sono vari scontri e Medici si trova impegnato personalmente assieme a duecento dei suoi uomini e poi si rientra a Varese. Nel bollettino della giornata vengono lodati tutti gli uomini di Medici.

Il 27 maggio Garibaldi marcia su Malmate Olgiate e da lì il 2° reggimento rimane in testa fino a Cavallasca, gli austriaci sono a San Fermo.
Due delle compagnie di Medici attaccano frontalmente, un'altra va a destra ed una a sinistra mentre quattro (fra le quali anche quella di Antonio Comaschi) rimangono di riserva.

San Fermo è preso ma poi c'è un nuovo scontro per due delle compagnie di Medici ed infine tutto il reggimento di Medici avanza verso Como seguito dagli altri, meno alcuni che restano a presidiare San Fermo. Nella notte fra il 27 ed il 28 maggio viene occupata Como e catturati quattro battelli

Il 29 Garibaldi torna verso Varese e punta su Laveno che difendeva il lago Maggiore, il 2° reggimento si sposta a Brenta e a Fracce. Al tramonto del 30 gli uomini di Cosenz tentano un colpo di mano su Laveno ma non riescono ad occupare il paese.
Il grosso degli austriaci si dirige verso Varese, Garibaldi marcia su Cuvio dove si arriva all'imbrunire del 31 maggio; Medici marcia oltre e prende posizione a Cassano poi il 1 giugno si reca a Frascarolo per appoggiare da sinistra il grosso che era con Garibaldi.

Varese è ora in mano a 12000 austriaci. Garibaldi sposta ad Induno il 1° ed il 3° reggimento mentre il 2° è a Villa Melegnano-Medici dove va anche lui con lo Stato Maggiore.

Il 2 giugno si fa una lunga marcia di sette ore sotto un temporale fino a Como che, alla sera, è occupata di nuovo. Il comando della piazza viene affidato al maggiore Riccardo Ceroni comandante del battaglione al quale apparteneva la compagnia nella quale militava Antonio Comaschi. Nella notte dal 5 al 6 la brigata va a Lecco su quattro vapori poi Garibaldi si porta ad Almenno dove si arriva il 7 sera.

Alle 3 di mattina il 2° reggimento di Medici occupa Bergamo Alta poi Garibaldi entra in Bergamo Bassa ed ha uno scontro a Seriate con dei rinforzi austriaci arrivati col treno.
Fino alla sera del'11 i Cacciatori delle Alpi rimangono a Bergamo. Gli austriaci sono in ritirata dopo essere stati sconfitti a Palestro. Il 12 si marcia su Ghisalba, Martinengo e Palazzolo, il 13 si arriva a Cazzago e poi a Brescia.

I Cacciatori delle Alpi rimangono a Brescia dalla mattina del 13 fino alla sera del 14 giugno poi il re chiede che vadano a Lonato. Il 15 un battaglione di Medici è con lui a Bettola di Ciliverghe mentre l'altro è con Garibaldi ed il 3° reggimento al Ponte del Bettoletto.
C'è uno scontro a Tre Ponti e gli uomini di Cosenz si devono ritirare protetti da tre compagnie di Medici, poi il 2° reggimento viene schierato a Nuvolera ed il 17 tutta la brigata è a Gavardo ed il 18 all'alba a Salò.

Il 19 arriva Cialdini con i piemontesi ed il 20 i volontari tornano di nuovo a Gavardo poi Garibaldi parte e lascia l'ordine a Cosenz di portare la brigata a Bergamo e a Lecco.
Il 22 giugno i cacciatori riprendono la marcia passando per Nave e per San Bartolomeo fino ad arrivare ad Ospitaletto, Il 23 sono a Palazzolo ed il 24 a Bergamo.

Dopo un giorno di riposo vanno a Pontita, dove sostano per il rancio, e a Lecco da dove proseguono, in battello, fino a Colico per poi andare verso la Valtellina con in testa i nuovi arruolati di Medici.
C'è uno scontro a Bormio che viene occupata. Anche il 2° battaglione del 2° reggimento, dove si trova Antonio Comaschi, è a Bormio.

L'8 luglio trecento uomini, scelti fra gli anziani del 2° reggimento, tentano di occupare il monte Pedemello. C'è un lungo combattimento senza esito ma il 9 di luglio c'è l'armistizio e la guerra finisce.
Arrivano comunque altri rinforzi che vengono schierati nelle valli. Il 15 luglio in Valtellina c'è tutto il 2° reggimento. Il 7 agosto Garibaldi è dispensato dal comando che viene assunto dal Maggior Generale Pomarè.

Il 28 luglio si lasciano liberi i volontari di chiedere il congedo assoluto ed un altro analogo messaggio è emesso in agosto.

Il capitano Giacomo Freyri, che era il comandante della compagnia dove ha combattuto Antonio Comaschi, viene insignito della medaglia d'argento mentre i tenenti Lodovico Mancini, Lorenzo Baggi e Romualdo Sartorio della medesima compagnia ricevono una menzione onorevole.

Due medaglie di Antonio Comaschi

Antonio Comaschi riceve due medaglie ricordo, da parte di Vittorio Emanuele III e di Napoleone III, per aver partecipato alla campagna. Le fa montare in un bel contenitore di legno che è giunto fino a noi.

Carta d'Italia del 1859     Intestazione di una carta d'Italia del 1859

Mi sono giunte anche due carte geografiche tascabili che erano di Antonio Comaschi e che sono state stampate nel 1859 dagli editori Pietro e Giuseppe Vallardi. La carta era stata disegnata ed incisa da Giovanni Battista Bordiga. Le due carte d'Italia sono identiche ma in una sono stati acquarellati i confini fra i vari stati come erano prima della II Guerra d'Indipendenza e nell'altra come erano dopo la conclusione della guerra e l'annessione dell'Emilia e della Toscana.

Con Garibaldi in Sicilia

Il 5 maggio 1860 Garibaldi partiva da Quarto con poco più di mille volontari diretto in Sicilia. I volontari erano mille non perché non potesse raccoglierne molti di più ma perché erano importanti la velocità e la segretezza per cui molti giovani, che avrebbero partecipato con entusiasmo alla spedizione, con loro grande rammarico, ne ebbero notizia solo dopo la partenza da Quarto.

Fra questi vi era anche Antonio Comaschi che però, appena seppe che a Lodi si era formato un comitato per raccogliere volontari da mandare in appoggio ai primi mille, si presentò immediatamente.
Promotore del comitato era Tiziano Zalli, aiutato da Leopoldo Boselli. Zalli era in contatto con il Comitato Nazionale, con sede in Genova, presieduto da Cosenz, allora Colonnello Brigadiere, coadiuvato dai Colonnelli Agostino Bertani e Damiano Assanti.

In una lettera, inviata da Zalli a Cosenz il 25 giugno 1860, troviamo citato Antonio Comaschi del quale si dice che fu il quinto ad arruolarsi e lo si descrive così Dott. in legge - Ottimo giovane, gli sono famigliari le abnegazioni della vita militare. Sacrifica una bella posizione per offrire nuovamente alla patria il suo sangue [13].

Il giorno successivo Zalli scrive a Bertani per avvisare che la compagnia dei volontari lodigiani è pronta ed è formata da 135 volontari. Viene citato di nuovo Antonio Comaschi dicendo che sarà il furiere interinale della compagnia.

Il comandante delle compagnia è Antonio Scotti ed il luogotenente è Luigi Cingia mentre Antonio Comaschi è sergente foriere e Giuseppe Rossi caporale foriere.
La compagnia è poi divisa in quattro squadre ognuna delle quali comandata da un sergente ed un caporale.

I volontari partono il 2 luglio e a Milano prendono il treno per Genova accompagnati da Leopoldo Boselli fino a Mortara. La previsione era di imbarcarsi il giorno stesso per partecipare alla spedizione comandata da Enrico Cosenz.
Intanto, a Genova, nel pomeriggio iniziano le operazioni di imbarco dei volontari che vengono fatti salire sul piroscafo Provence che, dopo aver imbarcato circa ottocento volontari, salpa portandosi alla boa dove rimane fino alla mezzanotte.

Continuano ad arrivare volontari, molti dei quali giunti in qual momento a Genova in treno da vari parti del Nord-Italia. I treni li portano vicino alla spiaggia alla quale scendono per un viottolo stretto e scosceso.
Si inizia a far salire questi volontari sul battello a pale Washington. Alle prime ore del 3 luglio l'Washington ha già le macchine in pressione ma i volontari continuano ad arrivare e ad essere imbarcati finché il capitano dichiara che la sua nave non può portarne di più e leva l'ancora.

Moltissimi volontari, con loro grande disperazione, rimangono a terra a fra questi vi sono anche i volontari lodigiani perché le loro carrozze erano all'estrema coda del treno.
La compagnia dei lodigiani trova un magazzino a Sestri Ponente dove si sistema alla meglio sperando di partire presto. Antonio Comaschi è uno dei pochi che sono impegnati durante l'attesa, infatti si deve recare a Genova ogni giorno con l'ordine di pagamento che l'autorizza a ritirare le paghe dell'intera compagnia.

Finalmente riescono a partire il lunedì successivo (9 luglio) sul Saumont, una vecchia carcassa mercantile destinata al trasporto del carbone e che, per la fretta della partenza, non era stata nemmeno ripulita e sulla quale viene caricato un numero di volontari assai superiore di quello che poteva portare.

Il nome Saumont è quello che compare nel libro I Lodigiani nella guerra del 1860 e non avevo alcun motivo di dubitare della correttezza di come fosse stato scritto dato che quella dei Saumont è un'antica famiglia nobile piemontese (erano signori di Bardassano e Tondonito ed il loro stemma era d'argento, alla banda di rosso, carica di tre stelle d'oro) e quando, in altre opere ho trovato scritto Saumon ho pensato che si trattasse di un semplice errore dovuto al fatto che in francese la t finale è sempre muta.

Successivamente, però, mi sono reso conto che in francese saumon significa salmone e che è molto più facile che ad una vecchia carcassa mercantile destinata al trasporto del carbone venga dato il nome di un pesce piuttosto che quello di una nobile ed antica famiglia.
Ulteriori ricerche hanno dimostrato che il nome Saumon è quello giusto, così infatti è chiamato il vapore nelle lettere di Agostino Bertani che si occupò del suo noleggio [14].

Cosenz era partito anche lui, per cui, questa successiva spedizione fu comandata dal Maggiore Vacchieri che, durante la Seconda Guerra d'Indipendenza, era stato nei Cacciatori delle Alpi ed aveva comandato la 7a compagnia del 2° reggimento dove era anche Antonio Comaschi (ma nell'8a compagnia).

Il viaggio in mare dura sei giorni. I volontari sono addossati l'un l'altro ma il peggio deve ancora venire perché, dopo due giorni, s'incendia la cucina per cui, per quattro giorni, possono avere solo acciughe e gallette ed anche l'acqua è poca.
Per di più avvengono anche guasti alla macchina ed il mare è contrario.

I volontari lodigiani sbarcano a Palermo il 14 luglio. La loro compagnia diventa la 1a compagnia del battaglione comandato dal maggiore Vacchieri che fa parte della brigata comandata da Cosenz. I volontari di Cosenz, però, non si trovano più a Palermo ma sono partiti già la sera del 9.

Si dice che gli ultimi saranno i primi e questa volta accade proprio così. Infatti, il 18 luglio, Garibaldi si imbarca, assieme a circa 1500 volontari fra i quali anche quelli di Lodi arrivati da pochi giorni, sulla City of Aberdeen. Ad ora di colazione annunzia l'intenzione di tentare uno sbarco in Calabria ma a mezzanotte sbarca, con i volontari a Patti dove gli uomini di Cosenz arriveranno solo la sera del giorno successivo.

Il motivo per cui Garibaldi aveva cambiato idea era che i garibaldini che si erano diretti verso Milazzo erano stati attaccati dai borbonici a Meri e quindi voleva farla finita col Forte di Milazzo, senza prendere il quale lo sbarco era pericoloso.
I volontari lodigiani sono così tra i primi a partecipare alla battaglia di Milazzo.

La parte avuta dai volontari lodigiani è descritta in alcune note di Bassano Sommariva che era sergente della prima squadra e che furono pubblicate in occasione del cinquantesimo anniversario della spedizione [15].

In queste note non è citato Antonio Comaschi (vengono citati dei sergenti ma senza precisare il loro nome) ma il fatto che, dopo la battaglia, sia stato promosso al grado di sottotenente fa supporre che abbia partecipato attivamente ai combattimenti.
In particolare i volontari lodigiani ebbero una parte importante nella presa di due cannoni che impedivano alle truppe di avanzare e nella carica alla baionetta fatta per sfondare la porta della città.

I volontari lodigiani restano a lungo a Messina e solo il 24 agosto possono attraversare lo Stretto sul vapore Il Veloce sbarcando a Villa San Giovanni. Dopo due giorni lo stesso vapore li porta a Nicotera dove iniziano una lunga marcia inseguendo le truppe borboniche che si ritiravano verso Napoli.

Si passa per Monteleone, Pizzo, Tiriolo, Soveria, Roglione, Cosenza arrivando, dopo varie scaramucce col nemico, a Paola l'8 settembre. Il 15 si riparte, a bordo del piroscafo Amalfi che va direttamente a Napoli dove i volontari vengono alloggiati nel grande fabbricato detto L'Albergo dei Poveri.

Nella notte dal 19 al 20 settembre, il reggimento comandato da Vacchieri riceve improvvisamente l'ordine di partire per una destinazione ignota. Dopo un percorso in treno si cammina per dei sentieri fino al fiume Volturno, che viene passato a guado, per poi giungere al paese di Cajazzo occupato il giorno prima da duecento uomini del battaglione Bolognesi, capitanati dal maggiore Cattabene.

Il giorno successivo settemila borbonici attaccano il paese difeso da ottocento uomini. Dopo due ore di combattimento iniziano a scarseggiare le munizioni ed i garibaldini si devono ritirare al di là del Volturno perdendo parecchi uomini.
Tutti i lodigiani nel combattimento si comportarono assai bene e questo venne riconosciuto anche dagli altri ufficiali superiori.

Successivamente i volontari lodigiani partecipano alla battaglia del Volturno e poi sono incaricati di un servizio d'avamposto sotto le mura della fortezza di Capua.

Il 15 ottobre si uniscono ai garibaldini le truppe piemontesi ed il primo di novembre inizia il bombardamento di quella fortezza che si arrende il giorno successivo. Hanno l'onore d'entrarvi per primi i garibaldini della Brigata Simonetta alla quale appartengono anche le due compagnie, comandate da Scotti e Cingia.

Il 6 novembre Garibaldi, per l'ultima volta, passa in rivista il suo esercito e l'11 novembre un ordine del giorno autorizza i volontari garibaldini a tornare a casa. Alla conclusione della spedizione Antonio Comaschi è Aiutante Maggiore della Divisione Medici ma non so quando lo sia diventato.

Il matrimonio e la sua carriera come magistrato

Una volta tornato alla vita civile Antonio Comaschi deve decidere a quale attività dedicarsi. Non sceglie la professione di avvocato, come suo fratello Carlo, e preferisce entrare in Magistratura. E' sicuramente per questo motivo che il Ministero dell'Interno realizza il dossier su di lui del quale ho già parlato.

Nel 1863 è vicegiudice a Gallarate [16] ed è qui che conosce Amalia Buzzi che aiutava il padre Giuseppe a gestire una locanda. La sua madre (Giuseppina Falcioni) era morta ed il padre, Giuseppe Buzzi, aveva continuato a gestire la sua locanda con l'aiuto delle sue figlie.
Amalia Buzzi è di tredici anni più giovane di lui. Si innamorano e nel 1866, quando lei è diciottenne, si sposano.

Antonio Comaschi  - 1875 circaNei racconti di famiglia c'è anche quello di un viaggio dei due sposi fatto per mare fino a Palermo che non fu particolarmente fortunato.
Accade infatti che si avesse un caso di colera a bordo e così la nave dovesse rimanere a lungo in quarantena ancorata nel porto di Palermo senza che nessuno potesse salire o scendere.

Pensavo che ciò potesse essere accaduto nell'agosto del 1866 (e quindi, probabilmente, durante il viaggio di nozze) perché proprio allora, a Genova, che era il porto dal quale partivano i vapori per Palermo, iniziò un'epidemia di colera ed uno dei primi due colpiti fu un marinaio che si trovava a bordo del piroscafo Luri [17].

Invece è accaduto sicuramente l'anno successivo perchè, il 14 luglio 1867 tramite un un Regio Decreto [18], Antonio Comaschi, uditore applicato come vicepretore al mandamento di Gallarate, viene nominato pretore al mandamento di Biancavilla (Catania).

Per altro il 1867 fu un anno terribile per la Sicilia per quanto riguarda il colera che già l'anno precedente aveva colpito duramente. A fine anno l'epidemia sembrava quasi terminata invece alla fine di maggio del 1867 c'era stato un nuovo caso a Terrasini a 35 chilometri da Palermo.
La città ne rimase indenne per un po' ma poi il 20 luglio, proprio quando stava per arrivare Antonio Comaschi con la giovane sposa, ci fu il primo caso locale dopo di che il colera si diffuse arrivando ad uccidere 3887 persone [19].

Non ho il dettaglio preciso dei primi anni della sua carriera come giudice ma i luoghi di nascita dei suoi figli danno un'idea delle successive destinazioni: i primi tre (Giovanni Battista, Carlo e Giuseppe) nascono a Godiasco (Pavia) nel 1869, 1871 e 1873.
A Godiasco Antonio Comaschi era Pretore del locale mandamento del Tribunale ed anche vicepresidente della commissione comunale per le imposte dirette [20]. La famiglia Comaschi abitava in una casa posta nella traversa della strada provinciale Voghera - Bobbio.

Firma di Antonio Comaschi (1869)

Il primo maschio, Giovanni Battista, che era nato l'8 settembre 1869 [21], morì poi, nel 1877, per una improvvisa malattia e fu sepolto nel cimitero di Gallarate. Non sapevo della sua esistenza che ho scoperto leggendo il discorso che Antonio Comaschi fece in occasione della morte di Garibaldi e del quale parlo più avanti e non ne sapevo il nome, che ho trovato solo successivamente, anche se immaginavo potesse essere Giovanni Battista che era il nome del padre di Antonio Comaschi.

E' molto probabile si riferisca a lui un racconto giuntomi tramite la tradizione orale secondo il quale qualcuno avrebbe detto di un bambino Ne faremo un buon sacerdote dato che era intelligentissimo ma la madre avrebbe replicato Oh no!, allora questo menagramo avrebbe aggiunto Non dica così, il Signore potrebbe portarglielo via e questo bambino, in effetti, sarebbe morto giovane.

Questo racconto, però, veniva riferito ad Alfonso Comaschi, figlio del fratello di Antonio, ma era evidente che doveva esserci un errore dato che Alfonso, quando morì, non era affatto giovane ma aveva circa una sessantina d'anni ed era già in pensione da parecchi anni e quindi non poteva certo essere definito giovane.

Il quartogenito è una femmina (mia nonna) che viene chiamata Maria Maddalena dal nome di sua nonna Maddalena Inzaghi, madre di Antonio Comaschi. In precedenza erano stati dati come nomi Carlo da Carlo Comaschi che era il fratello maggiore di Antonio e che gli aveva fatto da padre e Giuseppe da Giuseppe Buzzi, padre di Amalia.
Maddalena nasce, nel 1875, a Cuggiono (Milano) dove era stato trasferito il padre nel corso della sua carriera di magistrato.

Il quinto figlio nasce circa nel 1876, non so esattamente dove ma dovrebbe trattarsi sempre di Cuggiono. E' ancora una femmina e viene chiamata Rachele come sua zia.
Ho trovato una Rachele Comaschi che è morta a Milano il 19 ottobre 1863 [22] ma ignoro se si trattasse della sorella di Antonio o di una omonima; però, considerato che Antonio aveva chiamato Maddalena, come sua madre, la sua prima figlia nata nel 1875 e Rachele la successiva, potrebbe forse trattarsi proprio di lei.

Poi, probabilmente nel 1877 ma con la conferma ufficiale nel decreto 28 aprile 1878 [23], Antonio Comaschi torna a Gallarate dove nascono altri due figli: Giovanni Battista nel 1879 e Carlotta nel 1882.
Intanto, con decreto del 13 dicembre 1879, Antonio Comaschi è stato promosso pretore di 1a categoria [24].

Nel 1882, quando muore Giuseppe Garibaldi, si trova a Gallarate ed è chiamato a pronunciare un discorso al cimitero di Gallarate per commemorarlo. Oltre a lui pronunciano un discorso anche Giuseppe Osculati e Giovanni Gilardoni, che sono entrambi insegnanti ed educatori, e le tre necrologie vengono poi raccolte in un libretto a stampa [25].
Ho potuto leggere il discorso e lo riporto poco più avanti.

Poco tempo dopo, con decreto del 30 dicembre 1882 [26], Antonio Comaschi è trasferito presso il Tribunale di Ferrara, città dove, nel 1883, nascono le ultime due figlie. Sono due gemelle e vengono chiamate Lucia e Teresa. Probabilmente la famiglia Comaschi va ad abitare dalle parti della Chiesa di Santa Francesca Romana ma poi, circa alla fine del secolo, si trasferisce al n. 1 di vicolo Spadari (ora via Frizzi) e cioè di fianco al Castello Estense.

Infatti quando, nel 1901, si sposa sua figlia Maddalena presso la Chiesa di Santo Stefano nel cui territorio vi era vicolo Spadari le pubblicazioni vanno fatte anche nella Chiesa di Santa Francesca Romana ed è Annibale Lupi, parroco di questa chiesa, a celebrare le nozze mentre quando, nel 1910, si sposa sua figlia Carlotta, sempre presso la Chiesa di Santo Stefano, viene scritto che da tempo faceva parte di questa parrocchia.

Il 1 dicembre del 1891, quando è giudice del Tribunale civile e penale di Ferrara, viene promosso dalla 2a alla 1a categoria il che comporta uno stipendio di 3500 lire [27].

Nella sua carriera di magistrato Antonio Comaschi avrà sicuramente pronunciato moltissime sentenze ma ho qualche informazione precisa solo su di una di esse in quanto è stata pubblicata in gran parte in un libro sulla storia della Lega provinciale delle cooperative di Ferrara [28].

Amalia Buzzi ed Antonio Comaschi  - tra il 1885 ed il 1890 circaIl motivo di ciò è che si trattava di un processo politico in quanto il Tribunale di Ferrara doveva decidere se gli imputati, che avevano fondato a Bondeno, nel 1893, un'associazione dal nome Fascio Socialista, fossero colpevoli di aver incitato all'odio fra le varie classi sociali ed alla sovversione degli ordinamenti sociali.
La commissione giudicante era formata da Alessandro Pannunzio, allora Presidente del Tribunale di Ferrara e dai giudici Antonio Comaschi e Lodovico Marchetti.

La sentenza viene emessa il 20 aprile 1895 ed il Tribunale dichiara Guelfo Pacchioni ed Oreste Gulinati colpevoli di aver incitato all'odio fra le varie classi sociali e Gregorio Agnini colpevole di aver fatto parte di una associazione diretta ad incitare all'odio fra le varie classi sociali [29].
Non so però a quale pena siano stati condannati gli imputati.

Nello stesso anno un'altra sua sentenza viene pubblicata sul periodico Il Foro Italiano [30] ma non ho ancora avuto modo di leggerla.
Si tratta di una causa civile, dove Antonio Comaschi faceva le funzioni di Presidente, tra la Cassa di Risparmio di Ferrara, patrocinata dall'Avv. Tumiati e la Provincia di Ferrara, patrocinata dagli Avvocati Novi e Pasqualini.

A Ferrara Antonio Comaschi, che era già stato nominato Cavaliere, completa la sua carriera con la nomina a Consigliere di Corte d'Appello.

Nel 1907 Antonio Comaschi va in pensione e con delibera del 17 luglio 1907 [31] gli viene riconosciuto un assegno di 3452 lire. Muore il 17 dicembre 1911 nella sua abitazione al n. 1 di vicolo Spadari (ora via Frizzi) ed il suo atto di morte si trova nell'Archivio Parrocchiale della Chiesa di Santo Stefano a Ferrara [32]. Vi è scritto:

Comaschi Antonius quond. Ioannis Baptistae iuris peritus, annos natus septaginta septem vir Buzzi Amaliae in Comunione S.Matia Ecclesiae, animam suam Dio redibit ni domo signata n. civico 1 ni via Vicolo Spadari prima confessus S.Oli Unctione delibutus, eius corpus seguenti die, comitantibus sociis Tribunali addictis fero ad Ecc.siae S.Christophori delatum est ibique exequies de more fersolutis in hoc Coemiterio comunali humatum est.

Nel 1961, quando vi fu il primo centenario dell'Unità d'Italia, chiesi notizie su Antonio Comaschi a sua figlia Lucia, la quale però non poté dirmi molto sulle avventure di suo padre fra i Cacciatori delle Alpi ed i garibaldini, perché Antonio Comaschi non era il tipo che, per tutta la vita, racconta le sue imprese in guerra ed anzi, specie nei suoi ultimi anni, era alquanto taciturno.

Mi ha però raccontato un curioso aneddoto sulla sua sciabola. Antonio Comaschi conservava fra i suoi ricordi la camicia rossa da garibaldino e la sciabola, che era appesa ad un muro. Anche allora, ogni tanto, uscivano nuove leggi sulla detenzione delle armi che, per i trasgressori, prevedevano pene terribili che colpivano poi solo i cittadini onesti perché, per i criminali, venivano riassorbite dai reati più gravi.

Ogni volta che ciò accadeva i suoi familiari si preoccupavano e gli facevano notare che la sua sciabola era un'arma da guerra al che Antonio Comaschi si indignava e diceva che con quella sciabola lui aveva difeso la Patria per cui se la teneva e guai a chi avesse avuto qualcosa da dire in merito.

Indubbiamente, considerato anche che era un magistrato, appariva molto difficile che qualcuno lo infastidisse ma dopo la sua morte, i suoi familiari si trovarono di fronte il problema di cosa fare con quella sciabola. Per prima cosa la staccarono dal muro e scoprirono che era composta dal fodero e dall'elsa ma che la lama non c'era!

Tra le cose che erano appartenute alla mia nonna paterna c'era un timbro da ceralacca che mi piaceva molto anche perché permetteva di stampare le mie iniziali AC. Anche se mio padre diceva che poteva essere di suo zio Augusto Cavallari, è abbastanza evidente che doveva essere di Antonio Comaschi, padre della mia nonna paterna.

La certezza però l'ho avuta quando ho visto il bel librino da Messa con incise le iniziali AC che, nel 1919, Amalia Buzzi, vedova di Antonio Comaschi regalò alla primogenita di sua figlia Maddalena, che si chiamava Amalia come lei, quando diventò maestra. Dato che questo librino risulta stampato nel 1861 è molto probabile che si trattasse di un regalo ricevuto da suo marito e che in origine AC stesse per Antonio Comaschi.

Ebbene confrontando lo stile utilizzato nel timbro e nello stemma sul librino da Messa si vede che i caratteri sono praticamente identici. Dato che AC sono anche le mie iniziali ho utilizzato lo stile di questo antico monogramma per disegnare l'iconcina colorata che caratterizza le pagine del mio sito.

Il timbro da ceralacca di Antonio Comaschi   La base del timbro da ceralacca di Antonio Comaschi   Lo stemma sulla copertina di un libro da Messa

Del resto la ceralacca compariva anche in uno degli aneddoti che mi aveva raccontato Lucia Comaschi su suo padre. Mi aveva detto che suo padre aveva la mania di staccare la ceralacca dalle lettere che riceveva e poi di scioglierla e di aggiungerla a quella raccolta in precedenza nel caso gli servisse. In realtà, essendo ormai in pensione, era raro che gli servisse la ceralacca per cui col tempo si era formata una palla di ceralacca di svariati centimetri di diametro.

Il discorso per la morte di Garibaldi

Come ho accennato brevemente in precedenza, nel 1882 e più precisamente la sera del 5 giugno, Antonio Comaschi è chiamato a pronunciare un discorso al cimitero di Gallarate per commemorare Giuseppe Garibaldi che era morto tre giorni prima, oltre a lui pronunciano un discorso anche Giuseppe Osculati e Giovanni Gilardoni, che sono entrambi insegnanti ed educatori.

Nasce poi l'idea di pubblicare un opuscolo che raccolga le tre necrologie, dapprima gli autori, per modestia, si schermiscono ma poi viene proposto di utilizzare gli utili derivanti dalla vendita dell'opuscolo per iniziare una raccolta di fondi allo scopo di erigere un monumento a Garibaldi. Gli autori accettano e nel volumetto c'è una loro spiegazione, datata 14 luglio, che spiega questi fatti.
Chi cura la pubblicazione dell'opuscolo è la Società Ginnastica di Gallarate.

Il discorso di Antonio Comaschi è quello pubblicato per primo ed è preceduto due righe che lo presentano e da una citazione del Foscolo. Qui ho trovato la notizia che era stato Aiutante Maggiore nella Divisione Medici nel 1860, cosa che non sapevo ed ho anche appreso l'esistenza di un primogenito di Antonio Comaschi, morto nel 1877, del quale prima ignoravo l'esistenza.

Ecco il testo del discorso:

 

Parole pronunciate dal Sig. Comaschi D.r Antonio

R. Pretore della Città Mandamento di Gallarate - già Cacciatore delle Alpi nel 1859 ed Aiutante Maggiore nella Divisione Medici nel 1860.

A egregie cose il forte animo accendono

L'urne dei forti ...

Foscolo

Se per natura e per abitudine io mi sia alieno di prendere la parola in pubblico, per quanto doloroso sia per me oggi il prenderla in questo commovente incontro, pur sento imprescindibile, indeclinabile, saldo il dovere di parlare. Solo chi, come me e i miei commilitoni, di cui pure in Gallarate v'ha eletta schiera, ebbe l'onore di militare nelle file onorate del nostro Grande, ora perduto, irreparabilmente perduto, General e Padre, l'Eroe leggendario dei due mondi, Cittadino GIUSEPPE GARIBALDI, solo chi ebbe l'alto onore di dividere con Lui gli stenti, la fame, la sete, ma nel contempo la gloria delle memorabili campagne degli anni 1859-60 e 61, può immaginare o rammemorare le immense commozioni che tutto facevano dimenticare; allorché, dopo faticosissime, misteriose marce e contromarce, partiti dal suolo Lombardo, ove spadroneggiavano straniere coorti, ai primi del Marzo 1859, tornavamo a baciare questa terra a Sesto Calende e di lì fra pittoreschi, poetici monti si arrivava a Varese dove una splendida dimostrazione mai più superata né da Como, né da Bergamo, né da Brescia, né da Palermo, né da Messina, né da Napoli, né dalle altre cento città d'Italia, che pure ci accolsero - Duce il Generale - con entusiasmi indescrivibili!

Chi dirà il fascino potente, irresistibile che Egli esercitava sopra di noi, allora giovanetti, quando conducendoci per la prima volta al sacro fuoco delle patrie battaglie, ci eccitava alla gloria? - Avanti, giovinotti ! - Avanti ! . . . Sempre avanti ! Tu gridavi a noi, cui stavi sempre innanzi, ed in prima fila, centro e bersaglio alle carabine dei famosi degher ritto della persona, colla testa maestosamente alta, sul tuo focoso cavallo da guerra, e raccomandavi a noi di imitarti, o prode, o Valoroso, o Magnanimo eroe ! - Si diradavano ad ogni tratto le nostre file, ma e che per questo? tosto c'erano chi le riempivano, altra mira, altro intento non avendo, che di vincere, o di dolcemente morire per la diletta nostra Patria, che da volontario servivamo colla pura e semplice idea di poter dire in fondo alla nostra coscienza - « facciamo null'altro che il nostro dovere » - senza mire peculiari di carriera, o di lucro avvenire qualsiasi, senza altro scopo che non fosse il poetico, il semplicissimo di poter dire di poi ai nostri figli - « imitate il nostro esempio, e la coscienza non vi farà rimorso di non essere accorsi all'appello della Patria quando suonò ».

Salve Generale! Le tue sacre ceneri, depositate nella romita Caprera, saranno visitate da migliaia de' tuoi figli, e ad esse ispirandosi, sentiranno parte della forte, indescrivibile scintilla per bene della Patria, cui ardentemente ispiravi, infiammavi in ogni momento della fortunosa, ma pur sempre gloriosa tua esistenza.

Salve, Gallarate, mia diletta patria di elezione, che al merito di distinguerti per tutta Italia ed all'estero per gli estesi tuoi commerci, arroghi quello di albergare anime nobili, gentili e patriottiche, le quali giammai trascurano di testificare il grande affetto per la nostra cara, dilettissima Italia ! . . .

Salvete, Società della Ginnastica e degli Operai, che qui riunite, mi ascoltate, ed, in particolare, salve, neonata Società dei Reduci, che, presieduta da un prode rappresentante del nostro grande amatissimo Esercito, darà sempre ai giovani l'esempio del come all'evenienza si sappia combattere, vincere e morire, ove la patria ci avesse a chiamare a nuovi cimenti per assodare la nostra indipendenza, per difenderla da chi solo tentasse di affrontarla, ché di debellarla, impossibile ormai ne saria l'impresa.

Nel sacro silenzio di queste Tombe, qui, dove riposa il primogenito mio figlio, da crudo, repentino morbo rapitomi, nell'anno 1877; qui ove riposano le ossa di tanti buoni ed ottimi amici, che in questi ultimi venti anni mi furono sempre cari di vive memorie, giuriamo, fratelli, di trovarci per commemorare, come oggi facciamo, la immensa perdita del nostro Generale, per deporre una corona di eletti fiori di fede, speranza e carità!. Di fede nei sacri destini d'Italia nostra, di speranza nella crescente sempre sua prosperità e grandezza, di carità verso tutti i nostri fratelli della Società che ci uniscono e verso tutti i fratelli che ancora desiderano a noi congiungersi nel sacro sodalizio di pace, di amore e di lavoro. Fidente che l'Illustre Municipio di questa città sarà per decretare un segno, pur che sia, ove riunirci nei prossimi tristi anniversari, a compietere il dovere sacrosanto di deporvi la verde, la forte corona d'alloro, commossi in dignitoso, eloquente silenzio, abbandoniamo questa casa ai nostri sacra, per tornare alle nostre veramente tristi, a meditare sulla amara perdita subita, ma in pari tempo ad ispirarci ai sacri versi che epigrafe formano a questi miei disadorni, sconnessi detti, gettati là in mezzo ai moltissimi affari che di questi giorni mi tengono più del solito occupato, ma pur sempre affettuosi verso la memoria del caro Estinto. -

 


[1] - per ulteriori notizie sull'orologio si veda Archivio Storico per la Città e i Comuni del Circondario e della Diocesi di Lodi - Anno XXXIV 1915, pag. 78.   <<

[2] - Anselmo Robba - La Piazza Maggiore di Lodi nel 1760 in Archivio Storico per la Città e i Comuni del Circondario e della Diocesi di Lodi - Anno XXXIV 1915, pag. 55.   <<

[3] - Gazzetta della Provincia di Lodi e Crema - Fascicolo 31 - 1 agosto 1857.   <<

[4] - Archivio Parrocchiale della Cattedrale di Lodi- Status Animarum.   <<

[5] - Archivio Parrocchiale della Cattedrale di Lodi - Liber Mortuorum.   <<

[6] - Piero D'Angiolini - Ministero dell'Interno. Biografie (1861-1869) in Quaderni della "Rassegna degli Archivi di Stato" n. 31 - Stampato per i tipi della tipografia "La Galluzza" - Roma, 1964.   <<

[7] - Nicola Minervini - Lettere inedite di Paolo Gorini a Don Cesare Vignati in Archivio Storico Lodigiano - Serie II. Anno IV - I semestre 1956.   <<

[8] - Cesare Vignati - Storie lodigiane - pei tipografi C. Wilmant e figli - Milano, 1847.   <<

[9] - Anna Maria Isastia - Il volontariato militare nel Risorgimento: la partecipazione alla guerra del 1859 - SME, Ufficio Storico - Roma, 1990.   <<

[10] - Anna Andreoni, Paola Demuru - La facoltà politico legale dell'Università di Pavia nella Restaurazione (1815-1848): docenti e studenti - Cisalpino - Bologna, 1999.   <<

[11] - L'anno successivo Agatocle Canevini partirà per la Sicilia con la spedizione Pianciani con il grado di sottotenente ma non si trova citato nel libro sui lodigiani che hanno partecipato alla guerra del 1860.   <<

[12] - Louis De La Varenne - Les chasseurs des Alpes et des Apennins: histoire complete de la guerre de l'indipéndance italienne en 1859 - Le Monnier - Florence, 1860.   <<

[13] - Bortolo Vanazzi - I Lodigiani nella guerra del 1860 - Editori Quirico e Camagni - Lodi 1910; pubblicato anche in Archivio storico per la Città e Comuni del circondario di Lodi - Anno XXIX (1910).   <<

[14] - Museo del Risorgimento e Raccolte storiche del Comune di Milano - Le carte di Agostino Bertani - Tip. Antonio Cordani s.p.a. - Milano, 1962.   <<

[15] - Bassano Sommariva - La battaglia di Milazzo ed i volontari lodigiani - pubblicato in Il Fanfulla - giornale liberale di Lodi e circondario - Anno III, numero 29 del 16 luglio 1910.   <<

[16] - Angelo Dell'Acqua - Annuario statistico del Regno d'Italia, con particolari notizie sulle Province di Lombardia, per l'anno 1863-64 - Anno V - A spese dell'autore - Milano, 1864.   <<

[17] - Du Jardin - Storia della epidemia di colera patita in Genova nell'anno 1866 in Annali universali di medicina - Serie 4, Volume 69, Fascicolo 614 e 615 - settembre 1868.   <<

[18] - Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia - Num. 241 di martedì 3 settembre - pagina 1 - Firenze, 1867.   <<

[19] - Dottor Giuseppe Furitano - Relazione sul colera di Palermo nel 1867 - Tipografia di Michele Amenta - Palermo, 1867.   <<

[20] - La Provincia di Pavia - Guida-Almanacco per l'anno 1874 - Stabilimento Tipografico-Librario Successori Bizzont - Pavia, 1873.   <<

[21] - Archivio del Tribunale di Voghera - Comune di Godiasco - Stato Civile - Nati 1866-1911.   <<

[22] - Ufficio Registro Successioni di Milano - Comaschi Rachele - Cartella 16, Faldone 5, Pratica 66.   <<

[23] - Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia - Num. 140 di venerdì 14 giugno - pagina 2339 - Roma, 1878.   <<

[24] - Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia - Num. 39 di lunedì 16 febbraio - pagina 667 - Roma, 1880.   <<

[25] - Antonio Comaschi, Giuseppe Osculati, Giovanni Gilardoni - 2 giugno 1882 : necrologie pronunziate al cimitero di Gallarate per la morte di Giuseppe Garibaldi il 5 giugno 1882 - Tipografia Marino Bellinzaghi - Gallarate, 1882.   <<

[26] - Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia - Num. 52 di sabato 3 marzo - pagina 906 - Roma, 1883.   <<

[27] - Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia - Num. 294 di giovedì 17 dicembre - pagina 4883 - Roma, 1891.   <<

[28] - Delfina Tromboni - A noi la libertà non fa paura: la Lega provinciale delle cooperative e mutue di Ferrara dalle origini alla ricostruzione (1903-1945) - Società editrice Il Mulino - Bologna, 2005.   <<

[29] - Archivio di Stato di Ferrara - Tribunale di Ferrara - Sentenze penali 1895 - Sentenza n. 118 contro Agnini Gregorio, Pacchioni Guelfo, Gulinati Oreste e Calzaverini Giuseppe.   <<

[30] - Il Foro italiano: raccolta generale di giurisprudenza civile, commerciale, penale, amministrativa - Volume 116, Parte 1 - Società per la pubblicazione del giornale 'Il Foro italiano' - Roma, 1895.   <<

[31] - Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia - Num. 208 di lunedì 2 settembre - pagina 5369 - Roma, 1907.   <<

[32] - Archivio Parrocchiale della Chiesa di Santo Stefano in Ferrara Liber Defunctorum Paroeciae St. Stephani Protom. Ferrariae ab anno 1891 - p. 209, n. 45.   <<


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