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Pantione Caballario


Un'antica pergamena longobarda

Circa a metà del XIX secolo Carlo Troya ha pubblicato una poderosa opera, intitolata Codice diplomatico longobardo, che riporta la trascrizione di centinaia di antiche pergamene che mostrano come i longobardi governassero il sud dell'Italia dopo averlo tolto ai bizantini.

Fra queste pergamene ce n'è una che riguarda un certo Pantione Caballario [1]. Questa pergamena, che compare con il numero 559, è stata scritta nel novembre del 743 e con essa Gisulfo II, che fu Duca di Benevento dal 743 al 749, dona una condoma, sita a Papiano, all'abate Zaccaria.

Il Troya non commenta granché questa pergamena ma si limita a spiegare che condoma indica una famiglia di servi e a dire che la pergamena è citata nella Cronica di Santa Sofia dell'Ughelli ed in altre opere. Inoltre spiega che Pantione, capo della condoma, era un cavallaro così come Palombo, citato nella pergamena n. 568, era un pescatore e che Papiano si trovava nel distretto di Consa già famosa per l'assedio ivi posto da Narsete contro Ragnari degli Unni Vittori.

Il testo della pergamena è il seguente:

In nomine Domini Dei Salvatoris nostri IESU CHRISTI

DOMINUS vir gloriosissimus concessimus ego GISOLPHUS summus Dux gentis LONGOBARDORUM vobis ZACHARIAE sanctissimo Abati Patri nostro condomam unam nomine PANTIONE Caballario con uxore, filijs et filiabus nostris et nepotes eorum, cum caseis, vineis et territorijs, peculijs, mobilibus et immobilibus, cum omnibus et in omnibus in quantum usque nunc ad manum nostrae potestatis deseruierunt, qui habitare videntur in PAPIANO, et fuit de actione Consina quam et nostra iussione per Gualdum vobis tradere fecimus nominatam condomam; quatemus a modo habeatis et possideatis, tam vos, qui super, ZACHARIA, tam et posteri tui, et quod exinde facere volueritis, in vestra sit potestate; et a nullo quopiam Gastaldo, aut actore, nulla vobis exinde subtrahantur, sed nostris felicissimis, atque perennibus temporibus hoc nostrum donum omni tempore stabile debet permanere.
Quod vero praeceptum concessionis ex iussione nostrae potestatis scripti ego GRATIANUS Notarius.

Actum BENEVENTI in Palatio, mense Novembri, per Ind. XII feliciter.

e questa è la sua traduzione:

In nome del Signore e Dio, Gesù Cristo, nostro Salvatore

Noi, Gisulfo, signore, uomo gloriosissimo, sommo Duce delle genti Longobarde, concediamo a voi, Zaccaria, nostro santissimo Padre Abate, una condoma, a nome di Pantione Caballario, con moglie, figli e figlie nostri e i nipoti di loro, con case, vigne e terreni, denaro, beni mobili ed immobili, con tutti e riguardo a tutti in quanto, fino ad ora, disertarono dal nostro potere, che sono visti abitare a Papiano e furono della zona di Consa che per nostro ordine facemmo portare la suddetta condoma a Gualdo; affinché l'abbiate e possediate tanto voi Zaccaria, quanto i vostri successori e ciò che poi vogliate fare, sia in vostro potere; e nulla sia poi a voi sottratto da alcun Gastaldo o curatore, ma, nei nostri felicissimi e perenni tempi, il nostro dono deve rimanere fissato per sempre.
Della verità del comando della concessione dalla disposizione del nostro volere, io, Graziano, notaro, scrissi
.

Emesso nel Palazzo di Benevento nel mese di Novembre del 743.

Alcune considerazioni

Il primo dubbio che viene leggendo questo scritto è come facesse una famiglia di servi a possedere case, vigne e terreni, denaro, beni mobili ed immobili e questo dubbio non è venuto solo a me ma anche ad altri storici. Lellia Ruggini, nel suo libro Economia e Società nell'«Italia annonaria» [2], spiega diffusamente il significato della parola condoma e dice di ritenere che il Troya erri interpretando questa parola come una famiglia di servi.

Leggendo, però, il Troya quando spiega l'organizzazione dei Longobardi, si capisce cosa intendeva dire e si vede che ciò è formalmente corretto anche se fuorviante per il lettore. Il fatto è che, presso i Longobardi, solo chi era di stirpe longobarda poteva essere un uomo libero e tutti gli altri risultavano essere servi di qualcuno.

Essere servi non significava quindi avere qualcuno che dicesse cosa bisognava fare, come coltivare i campi e come condurre i propri affari ma voleva dire che bisognava pagare un tributo all'autorità dalla quale si dipendeva e che per fare tutta una serie di attività occorreva chiedere un permesso il che si risolveva sempre nel pagare un tributo particolare.

Il tutto è molto simile a quello che facciamo noi quando paghiamo le innumerevoli tasse statali, regionali, provinciali, comunali e consortili che ci toccano. In pratica l'unica differenza è che loro venivano chiamati servi e noi siamo chiamati cittadini. Per altro immagino che allora avessero molta meno burocrazia di quanta ce ne sia oggi.

Quindi questo Pantione Caballario, che formalmente era un servo, di fatto sembra essere un ricco possidente e tutta l'operazione equivale a spostare il ricavato delle tasse di una certa località da un ente percettore ad un altro. In questo caso Gisulfo rinuncia a riscuotere direttamente le tasse del borgo di Papiano a favore dell'abbazia della quale era rettore Zaccaria.

Per altro, visto che nella pergamena si parla di quanti disertarono dal nostro potere, sembrerebbe che non si trattasse di chissà quale regalo dato che la riscossione di queste tasse appare non essere così facile.

Il secondo dubbio che viene leggendo questo scritto è come mai nell'elenco delle proprietà di Pantione che era cavallaro non siano citati i cavalli ed in quello di Palombo che era pescatore non siano citate né barche, né reti, né trappole fisse.

Si potrebbe pensare che caseis, vineis et territorijs, peculijs, mobilibus et immobilibus sia una frase stereotipata e che stia semplicemente ad indicare tutto quello che possiedono ma già nella pergamena di Palombo troviamo una frase leggermente diversa: caseis, vineis, terris cultis et incultis, mobilibus, peculijs e ben di più si trova in un'altra pergamena (la 627) dove si parla anche di un oliveto, un mulino e del necessario per lavorare le olive.

Considerato che Consa è l'attuale Conza della Campania che si trova in provincia di Avellino e che Palombo abitava in una località detta Pons Lapideus e cioè Ponte di Pietra si può pensare che pescasse nel fiume Ofanto, che non avesse bisogno di barche e che quindi le sue reti non siano citate nella pergamena in quanto di scarso valore.

Per quanto riguarda Pantione, però, è del tutto inconcepibile che, nella pergamena che lo riguarda, non si citino i cavalli che, essendo cavallaro, avrebbe dovuto possedere ed allevare perché, presso i Longobardi, i cavalli avevano un elevato valore come si può vedere nelle pergamene n. 626 e 627 dove il monastero di Farfa compra due proprietà pagandole in un caso con due cavalli valutati 50 solidi [3] (più altri 20 solidi) e nell'altro con sei cavalli valutati 60 solidi (più altri 340 solidi).
Del resto lo stesso Troya, nelle note, dice che con un cavallo si poteva comprare un uliveto.

Viene quindi il legittimo dubbio che sia sbagliato tradurre la parola Caballario con cavallaro e che allora caballario indicasse qualcosa di diverso da colui che alleva ed accudisce dei cavalli.

Una possibile spiegazione

Una possibile spiegazione si può trovare proprio in un fatto ricordato dal Troya stesso nelle sue note e cioè che Conza era famosa per l'assedio ivi posto da Narsete contro Ragnari degli Unni Vittori. L'episodio al quale fa riferimento si svolse nel 555 e concluse la Guerra Gotica con la quale i bizantini riconquistarono la maggior parte dell'Italia.

Verso la fine del 554 gli ultimi Goti dell'Italia meridionale si rifugiarono tra le mura di Conza e vi furono assediati. All'inizio della primavera del 555, Ragnari, loro capo, venne ucciso e la città si arrese.

Il fatto che chi assediò la città fosse il generale bizantino Narsete è molto interessante perché fu proprio Narsete il primo ad impiegare in battaglia il nuovo corpo dei Kabalarioi creato dai Bizantini nel VI secolo dopo gli scontri con gli Unni e gli Avari e che gli fu molto utile nel 562 quando sconfisse l'armata persiana di Cosroe I e fu proprio la carica dei kavallarioi, sul fianco della schieramento nemico, a scompaginare definitivamente l'esercito persiano.
Si trattava di cavalieri con il solo torso protetto da armatura e con la cavalcatura dotata di una parziale bardatura ed armati di lancia ed arco.

Considerato che Pantione visse due secoli dopo questi avvenimenti e che allora né i longobardi, né i bizantini usavano i cognomi, non si può immaginare che Pantione fosse chiamato Caballario in quanto discendente di uno dei Kabalarioi bizantini che fecero parte dell'esercito di Narsete.

Si può, però pensare, che fosse sopravvissuta la parola e che quindi, nel 743, la parola caballario fosse usata per indicare non un cavallaro bensì un armato a cavallo, ipotesi che discuto ampiamente nella mia pagina sull'origine del cognome Cavallari [>>].

Per altro, considerato che nella pergamena si parla di quanti disertarono dal nostro potere, è abbastanza logico che si ponga a capo della località di Papiano qualcuno che probabilmente aveva servito come cavaliere nell'esercito locale e quindi da qui deriverebbe l'attributo Caballario con il quale viene indicato Pantione.

Del resto esistono, anche in altre parti d'Italia, degli indizi sul fatto che, in epoca longobarda, il termine cavallaro indicasse un cavaliere armato. Infatti, secondo un manoscritto del 1778, pubblicato da poco [4], il nome di Cavallara, piccola frazione del Comune di Viadana in Provincia di Mantova, deriverebbe da un gruppo di cavalieri longobardi che si sarebbe lì fermato all'epoca della regina Teodolinda (VI secolo).

Inoltre nel sardo medievale troviamo la parola caballare che indicava un cavaliere armato. Ignazio Putzu, in un suo articolo sulla lingua sarda [5], spiega benissimo come questa parola derivasse direttamente dal bizantino kaballari(os) ed indicasse il contadino-soldato limitaneo dotato di fondo rustico statale per il mantenimento suo e del cavallo ai fini del servizio militare.

La medesima cosa scrive anche Gian Giacomo Ortu nel suo La Sardegna dei Giudici [6] dove spiega che i caballares dell'XI e XII secolo rappresentavano una piccola aristocrazia militare di livello superiore ai lieros de cavallu menzionati in fonti posteriori.

Molto interessante è quanto scrivono John B. Trumper, Marta Maddalon e Nadia Prantera nel loro articolo La seta: un percorso linguistico [7] dove ammettono che caballarius stesse in primis ad indicare un armato a cavallo ma sostengono che, talvolta, questo termine venisse usato anche per soldati appiedati purché dotati di un'armatura a maglia segmentata.
E' da notare infatti che la caratteristica principale che distingueva i Kabalarioi dagli altri cavalleggeri era di avere una corazzatura leggera con il solo torso protetto da un'armatura.

E' curioso anche il motivo per cui si parla di ciò in un articolo sull'etimologia dei termini che riguardano l'allevamento del baco da seta. Bisogna sapere che, nell'allevamento del baco da seta (che in Italia ebbe origine nelle zone soggette ai bizantini), la larva nel primo stadio antecedente alle mute viene chiamata cavaddaru in Calabria e cavaliéro nel settentrione ed che, in questa fase, il corpo del baco appare segmentato.

Del resto il termine caballarios, nel X ed XI secolo, era ampiamente diffuso anche nella Francia meridionale e centrale col significato di cavaliere armato ed era talvolta usato anche come come sinonimo di milites [8].


[1] - Carlo Troya - Codice diplomatico longobardo con note storiche, osservazioni e dissertazioni - Tomo Quarto, dal DLVIII al DCCLXXIV - Dalla Stamperia Reale - Napoli, 1854.   <<

[2] - Lellia Ruggini - Economia e Società nell'«Italia annonaria»: rapporti fra agricoltura e commercio dal IV al VI secolo d.C. - Edilpuglia s.r.l. - Bari, 1995.   <<

[3] - Si tratta del solidus bizantina, moneta aurea che fu utilizzata per secoli e che rimase a lungo come pietra di paragone per tutte le altre monete. Da questa moneta deriva anche la parola soldo.   <<

[4] - Stefano Faveri - Croniche Universali - trascrizione del manoscritto inedito del 1778, a cura di Alfio e Paola Lucchini - Seri.vol.ma. - Formola di Vezzano Ligure, 2010.   <<

[5] - Ignazio Putzu - La posizione linguistica del sardo nel contesto mediterraneo in Neues aus der Bremer Linguistikwerkstatt: Aktuelle Themen und Projeckte - Universitätsverlag Dr. N. Bruckmeyer - Bochum, 2012.   <<

[6] - Gian Giacomo Ortu - La Sardegna dei Giudici - Volume III della collana La Sardegna e la sua storia - Edizioni Il Maestrale - Nuoro, 2005.   <<

[7] - John B. Trumper, Marta Maddalon e Nadia Prantera - La seta: un percorso linguistico in Atti del Convegno "La seta ed oltre ..." - Università della Calabria - 25-26 ottobre 2001 - Edizioni Scientifiche Italiane - Napoli, 2004.   <<

[8] - Archibald R. Lewis - The Development of Southern French and Catalan Society, 718-1050 - University of Texas Press - Austin, 1965.   <<


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