Spazio per comunicazioni urgenti

I Cavallaro ed i Cavallari di Sicilia


Premessa

In Sicilia il cognome Cavallaro è particolarmente diffuso ma dove, percentualmente, ne troviamo di più è nel Messinese. Il cognome Cavallari è presente anch'esso ma alquanto più raro, però è sempre nel Messinese che lo troviamo maggiormente presente se lo si considera in percentuale sul totale degli abitanti.
Esiste poi il cognome Cavaleri che invece è diffuso specialmente nell'Agrigentino.

Nell'opera di Giovanni Battista di Crollalanza sulle famiglie nobili italiane [1] troviamo citati solo i Cavallaro (o Cavallaris) di Messina dei quali, per altro, ci si limita a descrivere l'arma (d'azzurro al cavallo inalberato d'oro, alato dello stesso).
I Cavaleri sono citati ma solo con riferimenti ad una famiglia di Grosso in Piemonte.

Molte più informazioni si possono trovare nell'opera di Antonino Mango di Casalgerardo sulle famiglie nobili siciliane [2] dove troviamo tre gruppi di famiglie: i Cavallaro o de Cavallariis che godettero nobiltà in Messina, Palermo e Randazzo e che sono quelli citati anche dal Crollalanza, i Cavallaria, Cavalleria o Cavaleria per i quali, per altro, viene citata una sola persona ed i Cavaleri, Cavalero o Cavaliero. Non sono citati i Cavallari che pure (come vedremo), imparentandosi con la nobile famiglia degli Alagona, ebbero alcuni feudi.

Per quanto riguarda i Cavaleri, Cavalero o Cavaliero solo la prima persona citata dal Mango sembra poter avere un collegamento col cognome Cavallaro mentre, per i successivi, il cognome sembra evolversi in Cavalieri.

Il Mango infatti ci parla prima di un regio cavaliere che si chiamava Giovanni de Cavalero e che fu barone della Mucharda e capitano di Salemi nel 1422 e poi di un Matteo, un Orlando ed un Andrea Cavalerio, fratelli, che possedettero il feudo Catuso e Verbumcaudo, un Dionisio che fu giurato di Salemi nel 1405-06, un Pietro che fu capitano nel 1482-83 e segretario regio nel 1501 ed infine di un Giuseppe Maria Cavaliero, da Palermo, che, il 10 febbraio 1761, ottenne il titolo di barone di San Gaetano ed un Domenico che fu maestro razionale supernumerario del tribunale del Real Patrimonio nel 1800.
Anche l'arma di questa famiglia fa pensare al cognome Cavalieri, infatti è d'oro, al cavaliere armato al naturale.

Tratterò quindi in dettaglio solo i cognomi Cavallaro e Cavallari (con anche Cavallaria).

I Cavallaro

Un sito di genealogisti greci che si occupa di ricerche sui cognomi [3] ha pubblicato un elenco di famiglie greche che si sono trasferite in Sicilia tra il X ed il XIII secolo. Fra questi vi è un Kavallaris (Καβαλλαρης) che si è trasferito in Sicilia nel 1144 (quindi molto prima dei Cavallari di Medicina del XIII secolo) e che potrebbe essere l'antenato dei Cavallaris di Messina.

I più antichi Cavallaro citati nell'opera di Antonino Mango risalgono agli ultimi anni del XVI secolo ed appartenevano alla nobiltà messinese. A Messina però vivevano dei Cavallaro (o più precisamente dei Cavallariis) già nel XIV secolo.

Troviamo infatti mastro Giovanni Cavallariis citato nelle carte relative al processo per l'attentato a Federico IV, re di Sicilia [4]. Federico IV (1342-1377) era un Aragona e divenne re di Sicilia ancora in tenera età. Fu leggermente ferito in un attentato che, secondo alcuni, era stato ispirato da Artale d'Alagona ma dal processo risultò solo la colpevolezza dell'attentatore che, per altro, negò di avere avuto complici.

Giovanni Cavallariis era fabbro ferraio ed a lui si rivolse il fiammingo mastro Tomeo per farsi realizzare un punzone di ferro che poi utilizzò per attentare alla vita del re all'uscita dalla chiesa di San Francesco di Messina, dove il re si era recato ad assistere alla Messa, riuscendo però solo a ferirlo leggermente all'addome.

Il Cavallariis testimoniò che, venerdì 11 ottobre, mastro Tomeo, che di professione era sellaio, si era recato nella sua bottega chiedendogli di fabbricargli uno strumento di ferro ad artificium sellarie, ma, dato che non capiva come volesse fosse fatto questo strumento perché mastro Tomeo, essendo fiammingo, parlava male il siciliano, costui era tornato con un modello di legno dell'oggetto da fabbricare e così glielo aveva realizzato in ferro.

Un fabbro ebreo, tal mastro Giuseppe, dichiarò che, giovedì 10 ottobre, mastro Tomeo era andato da lui con una forma di legno appuntita e lunga un palmo e mezzo e gli aveva chiesto di realizzarla in ferro ma poi non era più ritornato, per cui mastro Giovanni Cavallariis non ebbe alcuna noia per aver fabbricato l'arma usata nell'attentato ed il solo mastro Tomeo fu condannato finendo sul rogo.

Secondo la tradizione l'attentato sarebbe avvenuto la mattina di domenica 13 ottobre 1371, ma ciò non è possibile sia perchè il 13 ottobre 1371 era un lunedì, sia perchè, da altri documenti, risulta che in quel giorno il re fosse a Corleone e non a Messina.
Dalle dichiarazioni del Cavallariis e di mastro Giuseppe, si vede che l'anno giusto è il 1370 dove il 10 e l'11 ottobre cadevano effettivamente di giovedì e di venerdì ed il 13 era domenica.

Stemma dei CavallaroI più antichi Cavallaro, citati da Antonino Mango, sono tutti di Messina e si tratta di Antonello del fu Francesco che si trova ascritto alla mastra nobile del Mollica dell'anno 1595 [5] e Giulio Cesare che fu giudice straticoziale dal 1589 al 1590 e dal 1595 al 1596 e che troviamo citato nela mastra del 1605.
L'arma dei Cavallaro è d'azzurro, al cavallo inalberato d'oro, alato dello stesso.

Viene poi citato Giovan Domenico Cavallaro che fu giudice della Gran Corte Criminale del regno dal 1571 al 1573. Svariate notizie su costui si possono trovare in un libro di Giuseppe Emanuele Ortolani [6] che però differisce da quanto scritto dal Mango riguardo gli anni nei quali Giovan Domenico Cavallaro fu giudice della Gran Corte Criminale.

L'Ortolani scrive che il giureconsulto Giovan Domenico Cavallaro nacque a Randazzo nel XVI secolo e che diventò giudice della Corte Criminale (assieme a Gregorio Centurione) il 2 agosto 1577 in sostituzione di due giudici della Corte Criminale che, per non aver riferito su tre processi contro un avvocato, dal 21 giugno erano stati messi ad una specie di arresti domiciliari ante-literam (era stato loro ingiunto di tenere la casa per carcere sotto pena di tremila scudi) e che poi, il 15 ottobre, saranno condannati ad un anno di carcere.

Di Giovan Domenico Cavallaro viene raccontata anche una sentenza, emessa assieme a D. Antonino di Bologna e Francesco Rao con la quale venivano comminate quattro condanne a morte che vennero poi eseguite il 3 agosto 1579.

Viene riferito anche che il padre di uno dei tre condannati aveva offerto 15000 scudi alla corte se salvavano la vita a suo figlio ma che la corte emise lo stesso la condanna a morte. E' molto curioso che né l'antico cronista, né l'Ortolani, che scriveva nel 1827, si stupiscano di questo tentativo di comprare i giudici e che, evidentemente, lo considerino una cosa del tutto normale.

Tre dei condannati erano accusati di sodomia ed uno di aver ammazzato un prete. A tutti e quattro fu tagliata la testa ma solo i tre sodomiti furono poi anche bruciati. Il che è strano e mostra come allora fosse considerato un reato più grave la sodomia rispetto all'aver ammazzato un prete.

Giovan Domenico Cavallaro morì il 25 marzo del 1590. A quell'epoca rivestiva la carica di presidente del Patrimonio.

Antonino Mango cita poi un Francesco Cavallaro che, con privilegio del 12 gennaio 1640, fu decorato del titolo di barone di Campoallegro ed un Francesco Maria che fu giudice pretoriano di Palermo nel 1696, giudice della Gran Corte Civile dal 1713 al 1715, giudice del concistoro nel 1716, maestro razionale giurisperito del tribunale del Real Patrimonio nel 1720, presidente del Concistoro nel 1722, presidente del Real Patrimonio, e, con privilegio dato al 19 febbraio ed esecutoriato al 29 marzo 1724, ottenne, per sé e suoi, il titolo di marchese.

Successivamente il titolo di Marchese di Cavallaro passò alla famiglia Mendoza ma senza che ne fosse mutata la dizione per cui i Mendoza si proclamavano Marchesi di Cavallaro. Solo quando il titolo passò alla famiglia Ballaroto, la denominazione cambiò diventando Marchese di Scala Ballaroto [7].

Questa vicenda è spiegata, con maggiore chiarezza, anche nel libro Fasti di Sicilia [8]:

Francesco Maria Cavallaro, presidente del Real Patrimonio e marchese Cavallaro, morì il 5 maggio 1728 senza lasciare prole. Il suo nipote Ignazio Mendoza de Sandoval e Cavallaro, figlia di sua sorella Elisabetta Cavallaro, fu investito del titolo nel 1728. Costui, nel 1763, vendette il titolo a Benedetto Ballaroto e Marino, barone di Castellazzi che ebbe il titolo di Marchese della Scala.
Benedetto Ballaroto e Marino, nel 1795, vendette il titolo a Girolamo Frangipani, barone di Racalbono, che, nel 1799, ottenne la commutazione del titolo in
Marchese di Racalbono.

Nella Biblioteca Comunale di Palermo [9] sono conservati due interessanti manoscritti di Francesco Maria Cavallaro. Il primo fu scritto, per ordine superiore ed in soli otto giorni, nel 1713, quando Francesco Maria era giudice della Gran Corte e s'intitola: Della libertà e franchigia del regno ed isola di Sicilia dalla investitura e ricognizion di dominio diretto, che dalla Corte Romana si potesse pretendere.

Il secondo fu scritto, nel 1727, assieme agli altri componenti della Giunta dei presidenti e consultorie e riguarda argomenti che forse sarebbe interessante esaminare anche oggi. Infatti vi si disamina: 1° se sia vero che le cause nel Regno si decidano con poca soddisfazione delle parti; 2° se siano soverchiamente lunghe; 3° se convenga che i giudici siano perpetui; 4° se debba accrescersi il numero dei giudici e si conclude esaminando il metodo della sospezione dei giudici [10].

Infine il Mango cita un Ottavio Cavallaro che fu barone di Argivocale per privilegio del 1 marzo 1783, un Felice che fu giurato nobile di Randazzo del 1799-1800 ed un Pietro che acquistò da Girolamo Lo Squiglio la baronia di Castelluzzo.

Su quest'ultima notizia ho trovato alcuni altri dati che però differiscono parzialmente da quanto affermato dal Mango. Infatti i Lo Squiglio furono i primi baroni di Valledolmo (o Valle d'Ulmo) essendo stati investiti, nel 1576, dei feudi di Valle dell'Ulmo, di Cifiliana, di Castelluzzi e di Mandranova ma poi, nel 1590, la baronia passò a Pietro de Giorlando che unì Lo Squiglio al proprio cognome.

Chi vendette il feudo di Castelluzzi fu un successivo Pietro Giorlando Squiglio, il quale a causa delle sue pazze spese, il 26 aprile 1648, vendette a Donna Anna Maria Biscazza il feudo di Castelluzzi del quale fu investito suo figlio, Pietro Cavallaro Biscazza [11]. Poi, nel 1665, il feudo di Castelluzzi passò agli Scammacca per il matrimonio di Virginia Cavallaro Biscazza con Matteo Scammacca.

Successivamente anche i feudi di Cifiliana e Mandranova furono venduti, per alienazione forzata. Quello di Cifiliana fu acquistato da Caterina Tuttobene che lo rivendette ad un Francesco Cavallaro che però non lo acquistò per sé ma per conto del giureconsulto catanese Mario Cutelli, conte di Villa Rosata e Aliminusa.

Un Cavallaro nobile fu anche il canonico don Giuseppe Cavallaro, procuratore della città di Iaci, che (circa a metà del '600) chiese ed ottenne in un'unica concessione il titolo di Don e di barone [12].

I Cavallari ed i Cavallaria

Come già detto nella premessa, Antonino Mango non cita i Cavallari tra le famiglie nobili siciliane ma solo i Cavallaria dei quali per altro nomina soltanto Alfonso Cavallaria, dottore in legge, che fu vicecancelliere del regno di Sicilia nel 1485.

La nobiltà dei Cavallaria appare quindi più antica di quella dei Cavallaro ed è anche più antica di quella dei Cavalero perché, nel 1355, troviamo citato un Peri de Cavallaria che ricava 20 onze di reddito dalla metà del feudo Limino [13].

Questo feudatario è inserito nell'elenco delle persone che tenevano gabellas et iura spettancia ad officium secretie Sicilie che si trova nel manoscritto Quinternus antiquus feudorum et bonorum feudalium aut membrorum Regie Curie cum nominibus et cognominibus baronum et feudatariorum infra scripta et notata possidencium tempore serenissimi et illustrissimi regis et principis domini regis Friderici tercii regis Sicilie della Biblioteca della Società Siciliana per la Storia Patria di Palermo.

Il giureconsulto Alfonso Cavallaria, citato dal Mango, era vicecancelliere del re all'epoca della scoperta dell'America. Subito dopo il ritorno della seconda spedizione, nel 1494, il messinese Niccolò Scillacio, che insegnava allora all'Università di Pavia, avendo avuto da un tal Guglielmo Coma la relazione di ciò che andavano narrando i reduci della spedizione, la commentò e la tradusse in latino col titolo De insulis meridiani atque indici maris sub auspiciis invictissimorum regum Hispaniarum nuper inventis e l'inviò a Ludovico il Moro, Duca di Milano ed al Cavallaria.

Nella lettera che accompagna l'opuscolo inviato ad Alfonso Cavallaria, lo scrittore lo definisce suo antico protettore e gli confessa il suo desiderio di viaggiare, a cui cerca di dare in qualche modo sfogo cogli scritti [14].

Però secondo il Ruscelli, che scriveva nel 1566 [15], Alfonso Cavallaria sarebbe appartenuto alla nobile famiglia dei Cavallara di Mantova. Considerato che, in qualità di commissario regio, viveva a Napoli e che è l'unico Cavallaria citato dal Mango, si potrebbe dare ragione al Ruscelli ma la presenza di un Peri de Cavallaria nel 1355 non ci permette di esprimere un giudizio definitivo.

Stemma degli AlagonaNel siracusano una famiglia Cavallari si imparentò con gli Alagona, nobilissima famiglia spagnola giunta in Sicilia nel XIII secolo. Gli Alagona erano baroni di Palazzolo e Bibino Magno. Quest'ultima era una signoria che risaliva all'epoca bizantina (quando era più vasta) e che successivamente comprendeva i nove feudi di Vallefame, Camelio, San Lio, Melilli, Casale di Bibino, Comuni di S. Giovanni, Comuni dei Fondi, Mandra di Donna e Monastero Germano.

Nel 1605 Don Girolamo Alagona e Cavallari, barone di Bibino Magno, cedette il feudo di Vallefame a Don Cesare Martino Aragona e Alagona, suo procugino, ed al di lui fratello Giuseppe, in cambio di una rendita annua di 204 onze [16].
Lo stemma degli Alagona è d'oro, a sei torte di nero, ordinate, 2, 2 e 2. Lo scudo è accollato dall'aquila bicipite spiegata di nero, membrata e imbeccata d'oro, coronata all'antica, in ambo le teste, dello stesso.

Stemma degli SpadaforaEsiste anche la famiglia Cavallari Spadafora della quale, però, ho finora trovato un unico componente e precisamente l'architetto Domenico Cavallari Spadafora (1788 - 1837) di cui parlo più diffusamente nella mia pagina sui Cavallari famosi [>>].
Quella degli Spadafora (o Spatafora) è una antichissima e nobilissima famiglia siciliana (che si diceva originaria di Bisanzio) che ebbe vasti feudi lungo la costa fra Palermo e Messina. Il suo motto era Prodes in bello ed il suo stemma (Di rosso, col braccio destro armato movente dal fianco sinistro dello scudo, impugnante una spada alta in sbarra, il tutto al naturale) è tuttora utilizzato come stemma del Comune di Maletto ed è compreso negli stemmi dei Comuni di Roccella Valdemone e di Spadafora che da questa famiglia ha preso il nome.

Il più famoso fra i Cavallari siciliani è sicuramente l'architetto ed archeologo Francesco Saverio Cavallari (1809-1896) al quale la città di Siracusa ha dedicato una importante strada e del quale parlo più diffusamente nella mia pagina sui Cavallari famosi [>>].


[1] - Comm. Giovanni Battista di Crollalanza - Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane - Pisa 1886.   <<

[2] - Antonino Mango di Casalgerardo - Il Nobiliario di Sicilia - Libreria Alberto Reber - Palermo, 1912.   <<

[3] - Ελληνικά επίθετα Κάτω Ιταλία-Σικελίας του 10ου ως 13ου αιώνα (Cognomi greci verso l'Italia-Sicilia tra il 10° ed il 13° secolo) - dal blog Ελληνικά επίθετα (Cognomi greci) - 2 novembre 2009.   <<

[4] - Antonino Marrone - L'attentato a Federico IV. Una rilettura dell'azione del Sovrano estratto da Mediterranea: ricerche storiche - 5, n. 12 - Palermo, 2008.   <<

[5] - La Mastra Nobile o Libro d'Oro di Messina è un elenco della nobiltà messinese tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII, redatto dal notaio Domenico Mollica.   <<

[6] - Giuseppe Emanuele Ortolani - Nuovo dizionario geografico, statistico e biografico della Sicilia antica e moderna - Dalla Tipografia degli Eredi Abbate - Palermo, 1827.   <<

[7] - Francesco Maria Emanuele Gaetani - Appendice alla Sicilia Nobile - Tomo I - Nella stamperia de' Santi Apostoli - Palermo, 1775.   <<

[8] - Vincenzo Castelli - Fasti di Sicilia - Volume II - presso Giuseppe Pappalardo - Messina, 1820.   <<

[9] - Luigi Boglino - I manoscritti della Biblioteca comunale di Palermo indicati secondo le varie materie - Volume II (D-L) - Stab. Tip. Virz - Palermo, 1889.   <<

[10] - Sospezione è un termine arcaico che equivale a suspicione ed avviene quando si chiede che il processo sia affidato ad un altro magistrato in quanto esistono delle circostanze che inducono il legittimo sospetto che il giudice ne possa essere condizionato.   <<

[11] - Orazio Granata - Valledolmo - pubblicato in Internet nel 2004.   <<

[12] - Fabrizio D'Avenia - Il mercato degli onori: i titoli di don nella Sicilia spagnola - in Mediterranea: ricerche storiche n. 7 - agosto 2006.   <<

[13] - Antonino Marrone - Repertorio della feudalità siciliana (1282 - 1390) - Quaderni Mediterranea. Ricerche storiche - Palermo, 2006.   <<

[14] - Giuseppe Fumagalli - Una novissima riproduzione dell'opuscolo di Niccolò Scillacio "De insulis nuper inventis" in La Bibliofilia - Raccolta di scritti sull'Arte Antica in libri, stampe, manoscritti, autografi e legature - Anno II (1900-1901), Volume II - Leo S. Olschki Editore - Firenze, 1901.   <<

[15] - Girolamo Ruscelli - Le imprese illustri - appresso Francesco Rampazetto - Venetia, 1566.   <<

[16] - Archivio di Stato di Siracusa - Volumi n. 8194 e 8199 degli atti dell'anno 1605 del notaio G.B. Cannarella in Palazzolo.   <<


Tophost

Questo sito non utilizza cookie

Copyright © Andrea Cavallari
Tutti i diritti sono riservati