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Andrea Cavallari - Vacanze dedicate, tutte o in parte, alle immersioni subacquee


1972 - Tirreno e Sardegna

Nell'estate del 1972, dopo il fallimento del viaggio nel Sahara del quale parlo in un'altra pagina [>>], ho fatto una lunga vacanza, divisa in due parti, assieme ai miei cugini modenesi. Durante la prima parte sono stato con due dei miei cugini lungo le rive del Tirreno percorrendolo dall'Argentario al Cilento, fermandoci nei punti più selvaggi per fare immersioni subacquee in apnea.

Successivamente, assieme al più giovane dei miei cugini, siamo stati ospiti a casa dell'altro cugino che allora viveva in Sardegna e precisamente a Portoscuso e che era proprietario di un motoscafo (un Rio 420) con il quale abbiamo scorrazzato dappertutto.

Durante la prima parte delle vacanze la soddisfazione più grossa l'abbiamo avuta forse il primo pomeriggio quando siamo arrivati all'Argentario dopo un lungo viaggio notturno ed una sosta per un problema alla mia macchina. Abbiamo cercato un punto da dove fosse possibile scendere a mare dalla strada, cosa non facile perché all'Argentario tutto era privato, proibito ed off limits e quando l'abbiamo trovato e siamo scesi, abbiamo trovato altri due subacquei accampati in riva al mare.

Erano dotati di attrezzature tutte nuovissime e costosissime tra le quali le recentissime mute della Technisub dotate di una fodera interna per favorire lo scivolamento sulla pelle e facilitare chi le indossava mentre io avevo ancora una muta di vecchio tipo, tutta di neoprene, per indossare la quale dovevo ricoprirmi di borotalco diventando simile ad un pesce da friggere.

Costoro ci dissero che la zona non era buona e che erano lì da vari giorni ma non c'era niente da prendere. Avevamo comunque voglia di fare il bagno e di vedere i fondali così siamo andati in acqua in due, solo con pinne e maschera, portando però un fucile con noi perché non si sa mai ed abbiamo avuto la grossa soddisfazione di tornare, poco tempo dopo, con una murena di 68 centimetri. Bisognava vedere la faccia degli altri due subacquei!

C'è da dire che non avevano tutti i torti perché effettivamente nella zona non c'era molto da fare per chi fosse in apnea. Il giorno successivo ho preso solo due sogliole, straordinariamente saporite ma un po' scarse come pranzo per tutti. Ci siamo così spostati alla non lontana Ansedonia dove, nonostante si sia provata anche un'immersione notturna, la situazione non è cambiata di molto.

Qui però ci capitò un fatto estremamente buffo, infatti, mentre stavamo cercando un posto dove fermarci nella lunghissima spiaggia a sud di Ansedonia, allora del tutto deserta e che solo molti anni dopo diventerà la famosa spiaggia di Capalbio, finimmo su della sabbia troppo fine e ci insabbiamo con le auto.

Io, assieme al cugino più giovane, ero sulla mia Vignale 750 coupè che era alquanto leggera e che spingemmo senza difficoltà su di una zona più dura potendo così tornare indietro. Parcheggiata l'auto di fianco ad una duna tornammo all'altra auto che era una Primula Coupè che era del mio cugino più anziano che era sposato con figli e viaggiava con tutta la famiglia.

L'auto era pesante e carica di bagagli per cui, per quanto spingessimo non riuscivamo a riportarla sul terreno duro. Proprio per poter portare più bagagli, sul tetto era stato montato un portapacchi con sopra un grosso baule di quelli verdi con gli angoli rinforzati in metallo color ottone. Decidemmo allora di tirarlo giù e dato che era legato assieme a due remi ed un salvagente di sughero di quelli tondi da barca tirammo giù anche quelli.

Una volta alleggerita l'auto la spingemmo sul terreno duro e mio cugino partì per portare i rimanenti bagagli e la famiglia presso la nostra auto, scaricare tutto e poi tornare a prendere noi ed il baule. Mentre aspettavamo abbiamo sentito delle voci provenire da dietro una duna ed abbiamo visto che c'erano due giovani donne con alcuni bambini che stavano caricando su di una jeep Toyota apprestandosi a tornare a casa.

Abbiamo allora chiesto se ci davano un passaggio dicendo però nel contempo che avevamo un bagaglio pesante. Vedendoci spuntare dal nulla sono rimaste perplesse ma ancora di più lo sono diventate quando ci hanno visto sparire dietro alla duna e tornare con un enorme baule, due remi ed un salvagente tondo di sughero: sembravamo due naufraghi di una barzelletta!

Sono rimaste esterrefatte ma ci hanno fatto salire senza osare chiederci una spiegazione però, poco dopo, sono diventate ancora più esterrefatte perché, poche centinaia di metri più in là, mentre il sole era quasi al tramonto, abbiamo chiesto di fermare la macchina e scendendo abbiamo detto qui va bene facendoci lasciare nel nulla, col baule, i remi ed il salvagente, in un posto del tutto identico a quello dove ci avevano raccolto.

Immagino che per qualche tempo si siano chieste cosa significasse tutto ciò. Se una di loro leggesse ora queste note avrebbe la spiegazione: ci siamo fatti lasciare vicini alla duna dov'era parcheggiata la nostra macchina che però, essendo dietro alla duna, non si vedeva affatto. Se ciò accadesse, avrei piacere di ricevere una sua mail nella quale mi dicesse cosa hanno pensato allora.

Successivamente ci siamo spostati a Paestum dove, per qualche giorno, abbiamo fatto i turisti. Allora lo sport preferito era raccogliere le telline. C'era chi le raccoglieva al largo dalle barche e chi a riva trascinando appositi rastrelli. Abbiamo però scoperto che nessuno le raccoglieva nella fascia intermedia dove la profondità andava da due a poco più di tre metri e così ci immergemmo in continuazione prendendole con le mani decine alla volta e raccogliendone in breve un bel po'.

Piazzatici poi ad Agropoli riprendemmo le immersioni subacquee arrivando fino a Punta Licosa che era famosa per le sue cernie, la stragrande maggioranza delle quali era però già finita nelle pentole dei ristoranti della zona, spesso pescata, con tutto comodo, da subacquei con le bombole. I posti erano bellissimi e ricchi di vita lo stesso ma dal punto di vista della pesca subacquea, non avemmo grosse soddisfazioni.

La seconda parte delle vacanza è stata in Sardegna a Portoscuso dove, come ho detto prima, avevamo a disposizione un piccolo motoscafo con il quale abbiamo scorrazzato dappertutto. Il pesce più grosso però l'ho visto vicino al paese dove una centrale elettrica scaricava dell'acqua calda in mare. Qui i fondali erano stati stravolti ma il calore aveva favorito la crescita delle alghe sugli scogli per cui c'erano parecchi grossi cefali.

Il cefalo non è affatto facile da prendere in acqua libera per cui cercavamo di insidiarli tra gli scogli e per evitare di distruggere gli arpioni avevo regolato su di una potenza molto bassa il fucile ad aria compressa quindi, quando, facendo un giretto più al largo, mi sono trovato davanti ad un pesce enorme, non ero nelle migliori condizioni per catturarlo.

Ho tirato lo stesso ma la distanza era notevole per di più, data la sua mole, sembrava si muovesse lentamente mentre invece filava abbastanza veloce per cui l'ho colpito verso la coda anziché dalle branchie come avevo mirato. Non mi si è degnato nemmeno di mostrarsi spaventato ma si è limitato a scuotere la coda con un colpo più forte rispetto al nuoto normale e l'arpione è saltato via.

Non so con sicurezza di che pesce si trattasse ma certo era quello che si dice un tipico pescione. Tutto considerato penso potesse trattarsi di una orata particolarmente grossa.

Abbiamo conosciuto vari giovani del posto e siamo stati invitati ad una battuta di pesca in una di quelle tipiche baie marine che talvolta sono chiamati stagni e che sono molto chiuse e con l'acqua bassa per cui vi sono molte alghe e pesci [1]. La battuta si è fatta di notte e vedendo l'acqua immota, molto calda e zeppa di alghe non avevamo molta spinta a entrarci ma il ronzio di nugoli di zanzare nelle orecchie ci ha convinto rapidamente.

Non si trattava di una battuta di caccia subacquea ma di una pesca fatta tirando a mano al largo una lunghissima rete che poi veniva riportata a riva in modo da imprigionare i pesci in una largo cerchio per poi trascinarli sulla spiaggia ricuperando la rete dai due lati. Il posto era molto caratteristico e la cosa più notevole erano i batteri luminescenti che vivevano fra le alghe ed illuminavano l'acqua quando venivamo mossi.

Per questo motivo, se si camminava sulla battigia, si facevano delle impronte semiluminose che svanivano in qualche secondo. Dopo la battuta di pesca c'è stata una gran festa ed abbiamo cotto il pesce sulle braci. In questa occasione ci è stato offerto anche il famoso casu becciu cioè il formaggio coi vermi [2].

Da vedere fa una discreta impressione perché i vermi si muovono e saltano ma mangiato con delle fette di pane abbrustolito strofinate con l'aglio è veramente squisito e se me ne capitasse di nuovo l'occasione, lo assaggerei ancora molto volentieri. Di quella pesca sono stati tenuti da parte molti gamberetti da usare poi come esche e da ciò è nata la nostra successiva avventura.

Infatti poi siamo usciti in mare di pomeriggio col motoscafo per andare al largo a pescare al bolentino assieme ad un ragazzo del posto che sapeva qual era la zona adatta. Siamo andati molto al largo arrivando circa a metà strada fra Portoscuso e l'isola di San Pietro ed ancorandoci su di un fondale di una quarantina di metri.

Avevamo delle lunghissime lenze con un peso di piombo in fondo e con tre fili, ognuno dei quali con un amo, attaccati poco sopra. Si mettevano i gamberetti come esche e poi si faceva scendere il tutto finché si sentiva che il peso aveva toccato il fondo. Tenendo la lenza tesa sopra un dito o addirittura sopra all'orecchio si aspettava di sentir vibrare il filo per poi dare uno strattone e ricuperare il tutto sperando di trovare un pesce appeso all'amo.

I pesci abboccavano bene, spesso se ne tiravano su anche due alla volta ed anche se si trattava di pesci di non grande valore culinario, ci siamo divertiti lo stesso. Quando il sole era ormai prossimo all'orizzonte, abbiamo messo via tutto e ci siamo apprestati a tornare indietro ma il motore, nonostante tutti i nostri sforzi e tentativi, non ne ha voluto sapere di accendersi.

Per un po' siamo stati all'ancora ed abbiamo anche sparato un razzo ma nessuno ci ha notato. Quando si è fatto buio, la situazione si è fatta pericolosa, infatti eravamo su di una possibile rotta ed il motoscafo, non essendo attrezzato per navigare di notte, non aveva luci. Allora ci siamo mossi a remi anche se ne avevamo solo una coppia ed il Rio 420 era alquanto pesante e poco adatto ad andare a remi.

Facendo dei turni di cinque minuti per uno riuscivamo a tenere un buon ritmo ma, nonostante ciò, le lontane luci della costa non si avvicinavano anche se, per fortuna, nemmeno si allontanavano. Se non altro tutta questa fatica serviva a scaldarci perché eravamo in costume da bagno e cominciava a fare alquanto fresco.

Dopo qualche tempo abbiamo sentito un rumore di motore diesel, abbiamo sparato un razzo rosso ed abbiamo visto sbucare un piccolo peschereccio. Abbiamo chiesto se potevano trainarci fino a riva ma hanno detto che avevano un carico di aragoste vive e che non potevano perdere tempo e che al massimo potevano portarci fino a Calasetta.

Abbiamo dovuto per forza accettare ed attaccato il motoscafo dietro il peschereccio, siamo saliti a bordo dove abbiamo cercato di scaldarci stando attorno al motore. Una volta sbarcati a Calasetta e ringraziato i nostri salvatori ci siamo trovati in un porto a tarda sera, senza una lira in tasca ed in costume da bagno. Siamo allora entrati in un bar dicendo siamo dei naufraghi, potreste regalarci un gettone del telefono per chiedere che ci vengano a prendere?

Anche se avevamo percorso solamente poco più di cinque miglia di mare, eravamo lontanissimi da Portoscuso che, via terra, dista quasi 33 chilometri da Calasetta. Ci volle quindi un bel po' di tempo prima che la nostra disavventura avesse termine. Ci vollero poi alcuni giorni per aggiustare il motore e dopo c'era il problema di ricuperare il motoscafo rimasto a Calasetta.

Non avevamo infatti alcun mezzo di trasporto adatto e per di più, fuori dall'acqua, il Rio 420 era pesantissimo, quindi l'unica era tornare via mare ma intanto il tempo era cambiato ed il mare era molto mosso. La fine della vacanza però si avvicinava per cui siamo partiti lo stesso. Per prudenza avevamo indossato le mute ed avevamo con noi maschera, boccaglio e le pinne lunghe.

Nonostante il mare agitato siamo arrivati fino davanti a Portoscuso senza troppi problemi ma le onde che si frangevano sui moli facevano impressione. Quando abbiamo dovuto imboccare il varco fra i moli è stato il momento più difficile perché avevamo delle grosse onde di traverso e dovevamo stare attenti che non ci ribaltassero.

Tutto è andato bene e così è terminata questa lunga vacanza anche troppo avventurosa.


[1] - Se non ricordo male, ci trovavamo a Porto Botte.   <<

[2] - Il casu becciu o anche casu marzu è un formaggio pecorino, tipico della Sardegna, dove si lasciano nascere appositamente le larve della mosca casearia (Piophila casei) che, con i loro enzimi, trasformano l'interno della forma di in una morbida crema. Va mangiato prima che le larve si trasformino in pupe e quindi quando sono ancora ben vive.   <<


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