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Andrea Cavallari - Casa Cini


Cos'era Casa Cini

Quando iniziai le scuole superiori, cominciai subito a frequentare Casa Cini, così come fece la stragrande maggioranza dei miei compagni di scuola. Spiegare cosa fosse Casa Cini a chi non sia vissuto a Ferrara tra il 1950 e la fine degli anni '70 è molto difficile.
Non era una associazione, non era un circolo e men che meno un club. In effetti la parola Casa è quella che meglio la identifica. Casa Cini era una seconda casa per tantissimi giovani studenti: un luogo dove incontrare i propri compagni ed altri giovani, giocare, fare sport e vacanze insieme ed avere discussioni ed incontri culturali e religiosi.

Alla fine della guerra, i Gesuiti erano tornati a Ferrara, erano giunti i Padri Giandomenico Maddalena e Francesco Bedini. Provvisoriamente presero alloggio sopra la Chiesa di San Domenico ma mancavano gli spazi per radunare i giovani ai quali si voleva offrire una occasione di riunirsi diversa dal frequentare un bar o una osteria.

Nel 1949 il Conte Vittorio Cini, che era vedovo ed al quale era deceduto tragicamente il figlio Giorgio in un incidente aereo, donò la casa paterna ai Padri Gesuiti. Nacque così Casa "Giorgio Cini" che aveva lo scopo di aiutare i giovani ferraresi e promuovere la cultura religiosa.
La casa del Conte Cini era in via Boccacanale di Santo Stefano, di fronte all'antica chiesa che dà il nome alla strada e consiste in un bel palazzo antico con portici particolarmente grandi in un punto dove forse vi era una piccola darsena quando ancora la strada era un canale.

Nel 1957 veniva inviato a Ferrara anche Padre John Caneparo che in breve tempo diventava il pilastro di Casa Cini occupandosi di risolvere tutti i problemi pratici con straordinaria pazienza.

Organizzò e sostenne la squadra sportiva di Casa Cini Quattro Torri che ottenne, per anni, buoni risultati sia nel settore dell'atletica leggera, sia come squadra di pallacanestro.
Nei primi tempi giocò lui stesso nella Quattro Torri di pallacanestro che continuò ad allenare per lungo tempo. Anch'io inizialmente giocai un po' a pallacanestro ma, benché fossi sufficientemente alto, non ottenni buoni risultati per cui smisi presto rimanendo comunque un sostenitore della squadra che allora militava in serie B.

Inoltre Padre John era l'organizzatore e l'anima dei campeggi estivi di Casa Cini che erano stati già iniziati da Padre Maddalena fin dal lontano 1946 ma che con la sua collaborazione diventarono una delle più belle esperienze che un giovane di Casa Cini potesse fare e fecero conoscere la bellezza della montagna e del contatto con la natura a tanti ragazzi ferraresi.

Padre John era estremamente buono e paziente e sempre pronto a risolvere qualunque problema. I giovani, che lo consideravano un amico e lo chiamavano semplicemente John, sapevano di saper contare su di lui in ogni circostanza. Moltissimi sono stati quelli che poi, molti anni dopo, gli hanno chiesto di celebrare le loro nozze od il battesimo dei propri figli.

Anch'io, quando nel 1982 mi sono sposato, ho chiesto a Padre John, che allora stava già a Roma, di celebrare le mie nozze e lui non ha esitato ad accettare anche se sicuramente venire fino a Ferrara quel giorno gli è costata una grossa fatica dovendo ripartire immediatamente dopo le nozze per altri impegni a Roma.

Avendo cominciato a frequentare Casa Cini all'inizio dell'anno scolastico 1963/64 ho fatto in tempo a conoscere Padre Maddalena che andò via da Ferrara giusto un anno dopo. Non ho invece conosciuto Padre Maurizio Roberti che morì improvvisamente nel 1962 in un incidente d'auto ed il cui ricordo era ben vivo a Casa Cini.

Padre Maddalena era detto il Pisto che significherebbe il Prete ma non sapevo in quale dialetto: secondo alcuni era dialetto romanesco, secondo altri gergo delle carceri. Ora, con Internet, ho visto che la seconda ipotesi è quella giusta.
Padre Maddalena ha lasciato una grande impressione in tutti quelli che lo hanno conosciuto, anche in chi, come me, l'ha potuto frequentare solo per un periodo limitato.

Era sempre molto calmo e dava una grande impressione di forza. Nelle discussioni religiose ed intellettuali dimostrava una grande cultura ed una grande capacità di vedere le cose dai vari punti di vista e nelle cose pratiche aveva un modo di fare da militare (era stato cappellano della Marina) che risolveva rapidamente ogni problema.

Nel 1963 era diventato Segretario Generale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori e ciò lo obbligò, alla fine del 1964, a trasferirsi a Roma con grande dispiacere di tutti i giovani che frequentavano Casa Cini.

Chi lo ha sostituito è stato Padre Vincenzo D'Ascenzi che si è trovato di fronte al non facile compito di farsi accettare dai giovani di Casa Cini che ricordavano ancora Padre Maddalena.

Ci è riuscito egregiamente sia mantenendo vive tutte le tradizioni di Casa Cini come il campeggio estivo, sia iniziando una nutrita attività di iniziative culturali, sia aprendo Casa Cini alle nuove esigenze dei giovani.

A quell'epoca chi aveva un complessino musicale aveva il problema di dove suonare e di dove esibirsi. Ricordo il concerto rock tenuto da quattro miei compagni di scuola nel salone principale di Casa Cini.
Bisognò pregare i tantissimi giovani presenti di non accompagnare le canzoni battendo il piede per terra per tema di danni al quattrocentesco salone che vibrava tutto!

Ben presto anche Padre D'Ascenzi aveva un soprannome con il quale i giovani si rivolgevano a lui e che era Dash e questo, secondo me, è stato il primo segno del suo successo nel farsi accettare in toto dai giovani di Casa Cini.

Padre D'Ascenzi è stato a Ferrara per ben quindici anni ed ha portato tante novità a Casa Cini, una delle quali è stata aprire Casa Cini anche alle ragazze che prima ne erano escluse.
E' successo però quando ero già all'Università e quindi, dato che allora ero meno di frequente a Casa Cini, non ho visto quali siano stati gli effetti di questa importante modifica.

Ho frequentato assiduamente Casa Cini per tutto il periodo del Ginnasio ed il Liceo ed anche durante i primi anni dell'Università quando studiavo ancora a Ferrara.
Quando mi sono trasferito all'Università di Bologna facevo il pendolare e quindi, sempre più di rado, ho avuto occasione di andare a Casa Cini e poi una volta lontano da Ferrara, non è stato più possibile.

I campeggi di Casa Cini

Partecipare ai campeggi di Casa Cini è stata una esperienza bellissima e quasi indescrivibile. Dopo di allora ho fatto tante volte campeggio sia in camping per turisti che in zone più o meno selvagge ma nessuno di questi ha eguagliato quei primi campeggi che erano una vera immersione nella natura.

I campeggi erano sempre in grande prato circondato da vasti boschi e lontani da luoghi abitati. Si faceva da mangiare con la legna raccolta da noi, ci si lavava nel torrente e per andare in bagno si aveva un intero bosco a disposizione ma ovviamente bisognava andarci con una piccola vanga con la quale scavare un buco da ricoprire per bene una volta finito.

Le tende del Capo Cini del 1964 in Val VisdendeLe tende erano interamente di tela e senza fondo per cui bisognava continuamente regolare i tiranti la cui tensione cambiava al variare delle condizioni atmosferiche e tutte le mattine arrotolare i sacchi a pelo, i pagliericci ed il telone che li proteggeva dall'umido dell'erba. Erano della Ettore Moretti, antica ditta milanese produttrice di tende che fabbricò anche la famosa Tenda Rossa di Nobile.

Si dormiva su dei pagliericci cioè dei sacconi che andavano riempiti con la paglia. Per chi non abbia mai dormito sulla paglia dirò che all'inizio ci si dorme benissimo poi pian piano la paglia si schiaccia e si formano dei bozzi scomodissimi che danno l'impressione che nella paglia ci siano finiti dei ciottoli di fiume.

Per far funzionare il campeggio occorreva un lavoro enorme che veniva svolto a turno dai ragazzi delle varie tende: c'era da raccogliere nel bosco la legna per alimentare i fuochi della cucina e per il fuoco che si accendeva alla sera, c'era da far da mangiare per tutti e c'erano i pentoloni da lavare nel torrente.

Questa operazione era la più faticosa perché lavare, con solo l'acqua fredda ed una paglietta, un pentolone tutto incrostato è una gran fatica, ma spesso si era aiutati da qualcuno in punizione per qualche mancanza.
Anche se a qualcuno capitava più spesso, questa punizione prima o poi capitava a tutti e capitò anche a me perché, mentre si stava tutti attorno il fuoco alla sera cantando canzoni di montagna, mi esercitavo a lanciare un coltellino.

C'erano alcuni momenti della giornata che erano particolari. Uno era l'alzabandiera che veniva fatto ogni mattina. l'altro era la Messa detta su di un altarino da campo ed il più speciale era trovarsi tutti alla sera intorno al fuoco da campo seduti su delle specie di basse panche rudimentali ottenute con degli assi e dei tocchetti di pino piantati per terra.

Si cantavano canzoni degli alpini e vecchissime canzoni popolari. Alcune di queste erano serie ed altre scherzose ma, alla fine della serata, ci si alzava tutti in piedi per cantare quella che era sempre l'ultima canzone e che iniziava con le parole Attorno al fuoco raccolti.
Finita la canzone si spegneva ben bene il fuoco e si andava tutti a letto.

Andrea Cavallari ad un guado sul fiume Piave nel 1964Ogni tanto ma solo quando il tempo era ottimo si facevano delle gite in montagna in posti sempre molto belli ma con delle camminate incredibili che talvolta ci facevano invidiare i pochissimi che erano rimasti di guardia al campo.
Le gite però mi piacevano moltissimo e non ci volevo rinunciare per cui solo una volta, al mio quarto campeggio, non ho partecipato ad una gita e solamente perché sapevo che si trattava di una gita che richiedeva una certa capacità alpinistica che allora non mi sentivo di avere.

Quando si arrivava al Campo lo si trovava già montato perché alcuni giorni prima dell'arrivo dei ragazzi, i padri salivano con un camion con tutto il materiale e con alcuni ragazzi già esperti per montare e preparare tutto. Lo stesso accadeva quando si doveva smontarlo.

Non ho mai partecipato al montaggio del Campo ma un anno sono rimasto, dopo la partenza degli altri, per aiutare a smontarlo ed è stata una bella fatica dato che tutto pesava tantissimo. Abbiamo dovuto perfino spingere il camion che, in vari punti del sentiero, tendeva ad impantanarsi!

Al Campo si passava il tempo anche giocando, vi erano lunghe partite a carte (specie a trionfo) o a scacchi (che io preferivo) ma la cosa più divertente e vivace era giocare a scalpo.

Il gioco dello scalpo è stato inventato dai boy-scout e consiste in due avversari che si affrontano tenendo un braccio dietro la schiena e cercano con l'altro di prendere il lungo fazzoletto che l'avversario porta infilato nella cintura dal lato dove tiene il braccio dietro alla schiena, ovviamente evitando che nel contempo l'avversario prenda il proprio. Chi riesce per primo a scalpare l'avversario ha vinto.

Gli scout però lo giocano uno contro uno all'interno di un cerchio mentre invece noi facevamo un gioco ben diverso dove lo scontro diretto era solo una delle componenti ed il terreno di gioco era di alcuni chilometri quadrati di bosco.

Venivano infatti formate due squadre di una quindicina di ragazzi, ognuna delle quali aveva una bandiera e vinceva la gara chi prendeva la bandiera all'avversario.
Non avveniva però uno scontro diretto bensì le bandiere venivano nascoste nel bosco (in maniera però che, da almeno un lato, fossero visibili anche da una certa distanza) ed il gioco quindi consisteva nell'aggirarsi nel territorio nemico, senza farsi catturare, per scoprire dove fosse la bandiera ed impadronirsene per poi portarla di fianco alla propria bandiera.

Chi veniva scalpato era catturato ed il suo catturatore lo portava in un punto preciso (anch'esso nascosto nel bosco) dove venivano tenuti i prigionieri. Se però anche uno solo della loro squadra riusciva ad entrare, con ancora lo scalpo addosso, nel cerchio dove stavano, allora tutti i prigionieri erano liberi e potevano riprendere i loro scalpi e continuare il gioco.

Il bello del gioco era che, se anche una squadra catturava quasi tutti gli avversari, non vinceva finché non trovava la bandiera nemica per cui, se rimaneva libero almeno uno della squadra avversaria, costui poteva ancora far conseguire la vittoria alla sua squadra se trovava la bandiera avversaria ed era abbastanza svelto da riportarla di corsa di fianco alla propria.

Tutto questo ci fece diventare abilissimi a muoverci nel bosco senza farci notare e quando feci il militare pensai sempre che, se mai mi fosse accaduto di dover strisciare nel bosco per sorprendere una sentinella nemica, mi sarebbe servita molto di più l'esperienza fatta al Campo "Cini" degli esercizi fattici fare dal nostro sergente istruttore.

Ho partecipato al Campo per quattro anni consecutivi. Il primo è stato nel 1964, quando c'era ancora Padre Maddalena, e siamo stati in fondo alla Val Visdende in un ambiente molto selvaggio che credo non sia cambiato molto nemmeno ora.

Delle varie gite fatte ricordo particolarmente quella al Passo dell'Oregone al confine fra Italia ed Austria. Dal passo si vedeva una lunga valle ed un paesino lontano.
Ho pensato che mi sarebbe piaciuto poter scendere fino ad arrivare a quel lontano paesino. Non avrei mai immaginato che, ventisei anni dopo, sarei stato proprio in quel paesino (St. Lorenzen im Lesachtal) con mia moglie e mio figlio ed avrei risalito a piedi proprio quella valle (la Frohntal) per tornare in Italia dopo un bel trekking a piedi.

Le tende del Capo Cini del 1965 a nord di Malene nella Conca del TesinoIl 1965 è stato il primo anno di Padre D'Ascenzi e siamo stati nel Tesino e precisamente poco a nord di Malene vicino a Pieve Tesino. Il campo era vicino al torrente Grigno, molto ricco d'acqua, ai margini di un vasto prato dove ogni tanto venivano a pascolare le mucche che andavano tenute lontane dalle tende perché (oltre a sporcare) inciampavano nei tiranti.

Inizialmente avemmo a che a fare anche con uno straordinariamente scorbutico ariete (il maschio della pecora) e per chi non avesse mai avuto contatti con questa bestia, vi dico che si tratta di un animale affatto comodo che, appena gli salta lo sghiribizzo, parte a tutta velocità per dare tremende testate.

In quell'anno facemmo molte gite in montagne e cominciai a sentire per la prima volta la frase per facili roccette, tipica delle guide del CAI, che da allora ho sempre tradotto come una gran fatica.

Una gita molto bella è stata quella a Cima d'Asta col laghetto vicino al Rifugio Brentari ancora pieno di lastroni di ghiaccio tanto che sembrava di stare al polo. Non fu però possibile arrivare fino alla non lontana cima.

Molti anni dopo tornai, assieme a mia moglie, con una gita del CAI proponendomi di arrivare fino alla cima ma anche questa volta il destino volle diversamente. Infatti durante la notte, passata al Rifugio Brentari, cambiò il tempo, venne una gran grandinata e la mattina dopo non potemmo fare altro che scendere.

Nel 1966 il Campo è stato nei boschi vicino a Passo Mauria ed è stato in quest'anno che sono rimasto anche dopo la fine del campeggio per aiutare a smontare tutto. Era l'anno dei mondiali di calcio dove si pensava che l'Italia potesse fare molto bene ed andammo a piedi fino ad un lontano campo scout dove avevano la televisione per poter vedere la partita Italia - Corea, finita poi, come tutti sanno, malissimo.

Quello del 1967 è stato il mio ultimo campeggio e non ho potuto nemmeno a partecipare all'intero periodo perché ero impegnato anche a conseguire il brevetto da sub. Il campeggio era a Pian del Lupo sopra a Chiareggio in Val Malenco lungo il corso del torrente Mallero.

Sono posti bellissimi dove, purtroppo, non sono mai riuscito a tornare. Ricordo una bella gita al lago Palù mentre, essendo arrivato dopo, non ho potuto partecipare alla gita al Passo del Muretto durante la quale i partecipanti furono fermati da uno zelante doganiere svizzero perché negli zaini avevano dei pericolosissimi panini al salame (allora in Italia c'era la peste suina).

Il giornale di Casa Cini

'Mondo Cini', il giornale di Casa CiniLe parole crociate di Andrea Cavallari su 'Mondo Cini'Fra le iniziative di Padre D'Ascenzi ci fu anche quella, nel 1966, di organizzare la stampa di un giornale interno di Casa Cini, fatto interamente dai ragazzi, e che prese il nome di Mondo Cini.

Partecipai a questa iniziativa diventando uno dei redattori e devo dire che non avrei mai creduto quanto fosse complicato preparare un giornale.
Bisogna tener presente che allora non c'erano i computer e non c'era Word e che non avevamo nemmeno i soldi per farlo stampare normalmente per cui veniva realizzato con la tecnica del ciclostile.

Ora in un epoca di stampanti laser molti non sanno neanche cosa sia un ciclostile ma allora era un mezzo diffusissimo ovunque. Si scriveva con una normale macchina da scrivere ma senza nastro su di una speciale matrice cerata che poi veniva usata in una macchina a manovella per stampare decine o centinaia di pagine tutte uguali.

Collaborai ai primi numeri con alcune pagine di enigmistica che contenevano indovinelli, giochi e parole crociate con a base personaggi di Casa Cini ma poi, visto che l'iniziativa non ebbe un gran successo, continuai a collaborare solo come redattore.

Alcuni articoli erano veramente interessanti e recentemente, nell'ambito delle mie ricerche su Pontelagoscuro, ho sfogliato di nuovo i vecchi Mondo Cini per trovare un articolo sull'Urlon dal Barc (a firma Golfieri e Tonini) basato sui racconti di alcuni vecchietti che vivevano allora in una stanza dell'ex-palazzo oggetto della leggenda.

I viaggi di Casa Cini

Oltre al campeggio estivo, i padri di Casa Cini, di tanto in tanto, organizzavano anche dei viaggi culturali, più o meno lunghi, all'Italia o all'estero. Ho partecipato a pochi di questi viaggi ed in particolare mi sono perso quelli più importanti e cioè un viaggio in Provenza ed uno nella DDR (Germania Est).
Curiosamente mia moglie, che allora non conoscevo e che conobbi molti anni dopo, partecipò ad entrambi questi viaggi.

Sua Santita' Papa Paolo VI nel 1966Mi ricordo in particolare un viaggio ad Assisi e Roma, fatto nel 1966, dove Padre D'Ascenzi ebbe il suo da fare a tenere tranquilli tanti sedicenni.
Per diminuire il costo del viaggio spesso dormivamo presso enti religiosi e mi impressionò molto l'enorme Villa Mondragone (che si trova a Frascati) dai lunghissimi corridoi e nel quale, ad ognuno di noi, venne dato alloggio in una minuscola celletta.
A Roma poi fummo ricevuti in udienza (anche se insieme a tantissime altre persone) da papa Paolo VI.

Sempre in quell'anno ci fu un altro viaggio molto più breve ma molto interessante. Andammo infatti a visitare le fabbriche della Ferrari e della Lamborghini dove ci permisero di salire sulla Miura e di sederci al posto di guida.

1966 - Andrea Cavallari sul prototipo della Lamborghini MiuraA quell'epoca la Miura non era ancora entrata in produzione e quello sul quale siamo saliti noi era il prototipo appena presentato al salone di Ginevra. Potemmo salire anche sul telaio, presentato al Salone dell'Automobile di Torino del 1965, che, per la prima volta in auto stradale, montava un motore trasversale centrale.

Nel 1969 partecipai ad un'altra gita per visitare San Geminiano. Ricordo che salimmo su di una altissima torre e che per fare ultimi metri, prima di sbucare fuori e poter ammirare il panorama, dovemmo utilizzare una scala a pioli.

Un altro viaggio al quale ho partecipato e che mi ha molto colpito è stato quello a Venezia per visitare la Fondazione Cini, sull'isola di San Giorgio Maggiore, e che fu alla fine del 1971 o all'inizio del 1972.

Ricordo particolarmente quel viaggio innanzi tutto perché conoscemmo e fummo presentati al Conte Cini, persona veramente squisita e poi perché rimasi molto impressionato dalla modernità delle attrezzature in dotazione alla Fondazione ed in particolare da quanto si faceva presso il centro di Paleografia Musicale diretta dal Padre Ernetti che quel giorno non era presente.

1966 - Andrea Cavallari sul telaio della Lamborghini Miura che era stato presentato al Salone dell'Automobile di Torino del 1965Anche la biblioteca mi colpì molto ed in particolare la stanza blindata ad atmosfera controllata dove venivano conservate le opere più antiche e di valore. In quei giorni c'era stata una polemica sul fatto che il carro armato disegnato da Leonardo in realtà compare anche in un manoscritto più antico.
Il curatore della biblioteca ce lo ricordò e poi, prendendo quello che sembrava un libro rilegato, disse Ecco qui e ci mise in mano il manoscritto in questione. Sicuramente è stata l'opera più antica che mi è mai capitato di avere in mano!

Essendo stato impressionato dalla modernità dell'ambiente rimasi ancora più stupito quando, pochi mesi dopo, la Domenica del Corriere, nel numero del 2 maggio 1972, se ne uscì con un articolo dove si diceva che Padre Ernetti avrebbe inventato un cronovisore e cioè una macchina con la quale si poteva vedere il passato e con la quale aveva recuperato parte del testo e la musica del Tieste di Ennio.

La cosa mi stupì molto ma poi non se ne parlò più, solo recentemente l'argomento è stato ripreso in alcuni libri ma, dopo tanto tempo e dopo la morte dei protagonisti, diventa difficile capire cosa successe veramente.

Le vacanze invernali di Casa Cini

Casa Cini organizzava anche delle vacanze invernali in montagna. Non ho partecipato alle prime e più avventurose quando si andava in posti privi di impianti di risalita e la giornata consisteva in lunghe salite con gli sci per poi brevi ma esaltanti discese.

Bormio visto dalla mia camera al CiukHo cominciato a partecipare solo quando ero già studente universitario e sono stato a sciare nel 1969 e nel 1970. Entrambe le volte siamo stati al Ciuk, un albergo-rifugio sopra Bormio situato presso la stazione superiore della cabinovia.

A quell'epoca Casa Cini era già aperta alla frequentazione delle ragazze e quindi non si trattava più di stare in posti spartani ma eravamo in un normale albergo situato però in mezzo alla natura.
Infatti allora l'unico collegamento con la valle era la cabinovia e quando questa si fermava, si era isolati dal mondo a meno di non scendere con gli sci lungo la pista.

I ragazzi di Casa Cini nella sala da pranzo del CiukL'albergo era gestito dalla famiglia Anzi e mi ricordo che, quando Stefano, figlio dei gestori, vinse il Campionato italiano di discesa libera, il padre ci invitò tutti a brindare con dell'ottimo vino Inferno della Valtellina.

Non ho mai avuto occasione di conoscere Stefano ma ho conosciuto i suoi fratelli e sua sorella, tutti sciatori eccezionali. Ricordo che con noi c'era l'allora campione provinciale ferrarese e lui ed il componente più giovane della famiglia (che allora aveva otto o nove anni) fecero una gara a chi arrivava prima in paese.
Vinse il nostro campione provinciale ma di pochi metri e solo perché era avvantaggiato dal maggior peso rispetto al ragazzino.

Io invece iniziai allora ad imparare a sciare. Nel campo scuola c'era un curioso skilift a nodi composto cioè da una corda che correva ad un metro dal terreno con dei bozzi di gomma, ad intervalli regolari, ai quali attaccarsi.

Una volta imparato un po' ci divertivamo molto perché, per fare uno scherzo ad un amico o per attaccare discorso con una ragazza, ci si poteva tirar su con forza per la corda fino a tamponare quello davanti o lasciarsi scivolare lungo la corda per farsi tamponare da quello dietro.


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