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Andrea Cavallari - Università


Università di Ferrara - Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Dopo la Maturità decisi di iscrivermi ad Ingegneria. Allora a Ferrara non c'era il corso completo ma era possibile frequentare i primi due anni di Ingegneria presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, dopo di che era necessario trasferirsi ad un altra Università.

Chi, come me, proveniva dal Liceo Classico era svantaggiato rispetto a chi aveva studiato allo Scientifico in quanto non aveva mai affrontato prima l'Analisi matematica. Comunque questo handicap era di fatto azzerato appena si fosse superato l'esame di Analisi I che noi del Classico prendemmo molto seriamente superandolo nella prima sessione di esami mentre alcuni dello Scientifico, che l'avevano preso sottogamba avendo già studiato la materia, dovettero ridarlo.

Dei miei tanti compagni di studio ho perso le tracce già da moltissimi anni, in molti casi già dal successivo trasferimento a Bologna. Infatti ci fu chi andò a studiare all'Università di Padova e chi, pur iscrivendosi all'Università di Bologna, non seguì i corsi di Ingegneria Elettronica.

Come tutti gli studenti giudicavamo alcuni professori alquanto strani, se non addirittura pazzi, ma, ovviamente, questo giudizio non era affatto condiviso dai loro colleghi che giudicavano perfettamente giusta qualunque cosa facessero. Gli studenti più anziani poi raccontavano cose incredibili che sarebbero accadute in passato con altri professori già in pensione.

Ci fu un solo caso in cui anche i colleghi si trovarono d'accordo con gli studenti nel considerare alquanto strano un professore ma ciò non fu per come insegnava bensì perché scoprirono che da svariati mesi (ne ignoro il motivo) non ritirava più il suo stipendio! E' inutile ora rivangare questi antichi pettegolezzi ma non posso esimermi dal dire qualcosa sul funzionamento della segreteria.

Dopo le riforme del 1968 le Università erano state travolte da un gran numero di studenti ma nessuno aveva pensato di adeguarne le strutture. La Segreteria dell'Università di Ferrara continuava quindi a rimanere aperta per gli studenti con un solo sportello e per sole due ore al giorno. Al termine delle due ore, anche se c'era ancora molta gente in fila, si chiudeva.

Per di più gli studenti avevano un mucchio di incombenze anacronistiche per le quali bisognava per forza rivolgersi allo sportello. Ad esempio per sostenere un esame non bastava mettersi in lista dal professore ma bisognava prima compilare un apposito modulo (detto statino) ed andare in segreteria a farselo vidimare.

Dato che l'ufficio, di solito, chiudeva prima che fossero finiti gli studenti che ne avevano bisogno, per essere sicuri di non fare la coda per niente era necessario mettersi in coda molto prima che la segreteria aprisse. Ho passato così molte lunghissime mattine in piedi ad aspettare che la coda avanzasse.
La cosa è durata molto a lungo finché, quando mi ero già trasferito, si affrontò il problema perché (come lessi sul giornale) uno studente, che, dopo aver fatto ore di coda, si era visto chiudere in faccia lo sportello proprio quando toccava a lui, aveva rotto con un pugno il vetro dello sportello cercando di acchiappare l'impiegato che era prontamente fuggito.

Allora era ancora previsto che, per poter sostenere un esame, bisognasse prima ottenere la firma di presenza dal relativo professore ma, essendo aumentato a dismisura il numero degli studenti, era impossibile per i professori ricordarsi i volti di tutti. Molti avevano considerato la cosa come una pura formalità burocratica ma alcuni, ad ogni lezione, facevano circolare fra gli studenti un foglio dove segnare il proprio nome e cognome.

Uno di questi professori si rese conto che alla fine i nomi presenti erano visibilmente di più degli studenti che erano effettivamente nell'aula e che tra gli studenti più assidui vi era un certo Giuseppe Garibaldi ed una certa Sofia Loren. Allora si mise a fare l'appello utilizzando il foglio in questione e spuntando i nomi di coloro che rispondevano presente ed ovviamente evitando di chiamare Giuseppe Garibaldi e Sofia Loren.

Allora lo sport nazionale diventò cercare di far chiamare nell'appello qualche personaggio storico ma anche Cristoforo Colombo e poi molti altri non furono citati nell'appello finché finalmente ridemmo molto quando Amilcare Barca (generale cartaginese evidentemente non tanto noto) fu chiamato all'appello risultando essere assente.

Molto di più ridemmo quando il caso fece sì che alla lezione fosse presente uno studente greco dal cognome alquanto strano. Il professore, visto il cognome segnato sull'elenco, lo saltò a piè pari cosicché, alla fine dell'appello, lo studente si alzò dicendo di non essere stato chiamato. Il professore rispose Ah, sì ... e come si chiama al che lo studente, bel bello e forse ignaro del significato del suo cognome, disse Kazopulos. Il professore, visibilmente imbarazzato, replicò Ah, ... umm ... sì, il suo cognome c'è ... non l'avevo visto.

Varie materie importanti prevedevano due ore di lezione consecutive con il medesimo professore. La tradizione imponeva quindi di fare il quarto d'ora accademico per entrambe le ore ma, in genere, i professori preferivano fare il solito quarto d'ora accademico all'inizio della prima ora, spiegare per un'ora e mezza continuata e poi smettere con un quarto d'ora di anticipo.

Per i poveri studenti stare attenti e prendere appunti per un'ora e mezza di fila era una bella fatica, specie per chi, come me, proveniva dal Liceo Classico e non aveva mai studiato prima Analisi matematica. Talvolta accadeva che sia io che il mio compagno, con il quale andavo a lezione e che proveniva dalla mia stessa classe, perdessimo il filo del discorso e quindi non riuscissimo più a seguire la lezione e a prendere appunti.

In questi casi dovevamo rimanere lì a lungo senza far nulla dato che era impensabile alzarsi ed andar via a metà lezione. Per questo motivo mi ero portato una piccola scacchiera che dal basso non poteva essere vista essendo l'aula molto grande e tutta a gradoni ed in simili emergenze giocavamo a scacchi.

Una volta un cavallo bianco che era stato mangiato è caduto per terra ed è finito sul gradone sotto il nostro. Ho quindi battuto sulla spalla dello studente che era davanti a me e che seguiva attento la lezione e gli ho detto Scusa, hai visto un cavallo bianco? Costui si è girato con l'orrore dipinto negli occhi: evidentemente pensava che fossi improvvisamente uscito di senno ma poi ha visto la scacchiera e tutto si è risolto.

Non ho più incontrato quello studente ma, se per caso leggesse queste note e si rammentasse quel lontano episodio, sarei curioso di sapere cosa pensò in quel momento.

Un altra volta vedemmo un nuovo studente che non conoscevamo che, dopo essersi avvicinato ad una bacheca posta nel corridoio, si era messo a ridere pazzamente e non riusciva più a smettere. Ci siamo avvicinati vedendo che nella bacheca era esposto solo l'orario delle lezioni con i nomi dei vari professori e non capivamo il motivo di tanta ilarità.

Quando finalmente costui riuscì a smettere di ridere venne spiegato l'arcano: lui era di Genova e si era appena trasferito a Ferrara e guardando i nomi dei vari professori aveva scoperto che uno di loro aveva un nome che per lui era ridicolissimo. Infatti il professore in questione, essendo nato a Rovigo, era stato chiamato come il Santo Patrono di quella di città (San Bellino) che non solo ha un nome raro e poco usato ma anche estremamente simile ad una diffusissima imprecazione genovese dal significato alquanto volgare.

Mi sembra che questo studente si chiamasse Stefano e se mai leggesse questa pagina, lo saluto.

Durante l'estate del secondo anno, dato che all'Università di Ferrara era presente solo il Biennio di Ingegneria, feci domanda di trasferimento all'Università di Bologna dove sostenni i successivi esami ed iniziai a frequentare i corsi del terzo anno di Ingegneria Elettronica.

Università di Bologna - Facoltà di Ingegneria

All'Università di Bologna ho conosciuto tante persone ma molte le si vedeva solo per qualche tempo quando si preparava lo stesso esame e quasi tutte le conoscevo solo di vista o con il solo nome proprio. Ricordo uno che era noto perché aveva il libretto numero 20.000 e due testimoni di Geova con i quali discutevamo dell'interpretazione della Bibbia e del significato in greco della parola σταυρος [1]. Qualche anno dopo ho saputo che, conformemente alle loro idee religiose, avevano preferito andare in galera piuttosto che fare il servizio militare.

Con lo stesso Alfonso, col quale ho studiato durante gli anni trascorsi all'Università di Bologna, ci siamo persi di vista qualche anno dopo la laurea. Una ventina d'anni dopo ci siamo rivisti e frequentati per qualche tempo per poi perderci di vista nuovamente. Con Roberto, ex mio compagno di classe col quale ho studiato durante il primo anno d'Ingegneria, ci eravamo persi di vista già prima della laurea.
Saluto comunque tutti quelli che mi hanno conosciuto allora e se ne hanno voglia, mi mandino almeno una mail.

Allora la Facoltà di Ingegneria non si trovava in centro nella zona universitaria ma era ospitata in un edificio costruito sulla collina appena fuori Porta Saragozza. L'edificio era stato progettato, tra il 1931 e il 1935, dall'architetto Giuseppe Vaccaro espressamente per ospitare la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri.

Aveva grandi aule e lunghi corridoi ed una torretta sulla quale, purtroppo, non riuscii mai a salire. Dove vi erano i laboratori le porte erano grandi e tutte di ferro mentre, al centro del corridoio, correva una trincea, dove porre cavi e tubi, ricoperta da piastre di ferro per cui, quando li si percorreva, tutto rimbombava e sembrava di essere ad Alcatraz.
Ovviamente si pensava che questo edificio venisse frequentato solo da uomini (credo che allora le donne iscritte fossero quattro o poco più) per cui non esisteva la suddivisione dei gabinetti fra uomini e donne e c'erano solo quelli con la turca per gli uomini.

Durante tutti gli anni trascorsi presso l'Università di Bologna ho sempre studiato assieme ad Alfonso che, come me, aveva frequentato il Liceo Classico di Ferrara ma non nella sezione B bensì nella A. Trascorrevamo quindi molto tempo assieme e talvolta ci inventavamo delle cose buffe inerenti a ciò che stavamo studiando tanto per mettere una risata in mezzo a tante cose serie.

Avevamo quindi fatto una squadra di calcio con i nomi dei principali matematici che, quando veniva letta, suonasse come Albertosi, Burgnich, Facchetti, ... che allora era la formazione della Nazionale dei Mondiali del Messico ed avevamo molto riso per il Teorema di Culmann [2] immaginandoci un supereroe come Batman (l'uomo pipistrello) fornito di Culplano (un dirigibile), di Culmobile e di Culrifugio (lascio al lettore immaginare che forma avessero tali oggetti).

Il nostro capolavoro, però, fu la storia del numerino piccino piccino che scrivemmo in un pomeriggio nel quale non avevamo molta voglia di studiare. Dato che tale storia è sopravvissuta agli anni e si trova tuttora su Internet ma con qualche inesattezza sulla sua nascita ed evoluzione, ho preparato una apposita pagina nella quale racconto La vera storia del numerino piccino piccino.

Nel corso degli studi abbiamo incontrato tanti professori bravi e dei quali conservo un ottimo ricordo (uno per tutti l'Ing. Zanobetti che aveva i modi e l'aspetto di quello che un tempo immaginavamo dovesse essere un ingegnere) ma ve ne erano anche che non apprezzavamo affatto (specie agli esami) perché inutilmente pignoli e severi sulle piccolezze.

In realtà molti di costoro non erano i professori incaricati ma facevano parte di quell'entourage di persone che allora circondava un professore e spesso li aiutava negli esami interrogando preliminarmente gli studenti. Di episodi da raccontare ce ne sarebbero vari ma non ne vale la pena. Ce n'è però uno che non posso non riportare perché dà un esempio delle assurdità con le quali si scontrava talvolta un povero studente.

Per altro riguarda una materia che mi piaceva molto (Fisica tecnica) così come apprezzavo chi la insegnava che all'esame finale mi promosse con un bel 30. La materia era molto vasta ed il relativo esame molto pesante per cui era possibile farsi interrogare, vario tempo prima dell'esame, da degli aiutanti del professore su parti diverse del programma.

Ciò permetteva allo studente di spezzare l'esame in due parti ed al professore, che poi faceva il vero esame, di interrogare più velocemente lo studente sulle parti già affrontate e di esaminarlo in maniera più approfondita sulle parti più importanti con magari una ulteriore domanda finale su qualcosa di specifico per dare il 30 (a me, per ultima cosa, mi chiese di parlare dei frigoriferi ad assorbimento e del perché talvolta si usassero ancora nonostante il loro scarso rendimento).

Chi commise il fattaccio non fu il professore ma un suo aiutante (non ben definito) del quale ho sempre ignorato il nome. Durante l'esame preliminare andai molto bene ed alla fine costui mi chiese una complicata dimostrazione alla fine della quale si ricavava una lunga formula. Risposi correttamente ed una volta arrivato a ricavare la lunga formula, gli dissi anche che il libro riportava che, tramite artifici matematici, era possibile trasformare questa formula in un altra che pure gli indicai correttamente.

A questo punto mi chiese quali fossero questi artifici matematici e gli risposi che non lo sapevo in quanto il libro non li riportava. Mi intimò allora di ricavarli. Ci provai ma quando, dopo qualche minuto, non c'ero ancora riuscito, mi disse che se non ero capace di trovarli non potevo fare l'ingegnere e mi mandò via.

Chiesi agli studenti presenti, che erano in attesa di sostenere l'esame, se sapessero quali fossero questi artifici o almeno dove potessi trovarli ma nessuno lo sapeva. Allora rimasi finché l'aiutante del professore non ebbe finito di interrogare i presenti e gli chiesi di dirmi dove potessi questi artifici matematici dato che il libro non li riportava.

Costui prese un foglio di carta, scrisse la formula da cui partire e ci pasticciò intorno per parecchi minuti senza cavare un ragno dal buco. A questo punto mandò a prendere un libro e mi fece vedere dove questi artifici erano riportati: si trattava di più di dieci pagine di formule scritte fitte, fitte!

Non dico che avrebbe dovuto rifarmi l'esame sul momento ma almeno avrebbe dovuto avere il buon gusto di ammettere di essersi sbagliato, invece, dopo avermi mostrato il libro, ebbe la spudoratezza di andarsene senza dire nulla mentre io, completamente frastornato, me ne andavo a piedi verso la stazione per tornare a Ferrara scuotendo la testa e mormorando improperi all'indirizzo di costui.

L'esame di Scienza delle costruzioni era considerato da tutti il più difficile di tutti ed andava superato dagli studenti di tutti i rami di Ingegneria che solo così, una volta laureati, avrebbero potuto affrontare l'esame di Stato e diventare Ingegneri dato che il superamento dell'esame di Stato abilitava alla professione di Ingegnere e permetteva, previa iscrizione all'Albo, di firmare progetti.

Il mio esame fece nascere una leggenda metropolitana che, a differenza di altre leggende metropolitane, era vera. Come per gli altri esami lo avevo preparato assieme ad Alfonso ma poi, proprio per la difficoltà dell'esame, avevamo effettuato un lungo ripasso assieme a Danilo che studiava Ingegneria Meccanica e con il quale avevo frequentato le scuole elementari tanti anni prima.

Mi sentivo quindi preparato e speranzoso di meritare un buon voto. L'esame andò abbastanza bene ma, proprio sull'esercizio finale svolto davanti al professore, mi trovai in difficoltà e riuscii a risolverlo solo dopo aver imboccato alcune strade sbagliate. Quando il professore disse approvato con 20 gli dissi che mi sentivo preparato e che quindi preferivo rinunciare al venti e tornare più avanti.

Data l'importanza della materia agli esami assistevano molti studenti assiepati nei banchi dell'aula e quando rifiutai il 20 successe un pandemonio con molti studenti che commentavano ad alta voce la cosa e vari che gridavano Lo dia a me! Lo prendo io! Anche il professore rimase interdetto e quando si rese conto che preferivo veramente ridare l'esame, mi disse che teneva in sospeso il 20 e che, se proprio volevo, potevo ripresentarmi più avanti.

La settimana successiva c'era un'altra sessione d'esame e così andai ad assistervi anch'io e mi sedetti nei banchi dietro agli esaminandi dove c'erano molti altri studenti che ascoltavano gli esami. Negli intervalli fra un esame e l'altro scambiai qualche parola con il mio vicino di banco che mi raccontò quella che secondo lui era una storia incredibile.

Mi raccontò infatti che correva una voce secondo la quale, la settimana prima, uno studente avrebbe rifiutato un 20 ma che lui non ci credeva e che secondo lui si trattava di una balla (non disse né una bufala, né una leggenda metropolitana perché allora questi termini non esistevano ancora).

Sorridendo gli dissi che era tutto vero e che anzi quello studente ero io ma ciò non lo convinse affatto che la storia fosse vera e continuò a pensare che non vi fosse nulla di vero e che anch'io gli stessi raccontando una panzana. Con ciò si dimostra che, talvolta, anche una leggenda metropolitana può essere vera.
Dovrebbero tenerlo presente anche coloro che, senza approfondire l'argomento, definiscono una bufala tutto ciò che esula dalla norma o dalle loro convinzioni.

Al momento della laurea mi successe un fatto che può dare un'ulteriore idea delle assurdità e delle persone con le quali il povero studente si doveva talvolta scontrare. Ovviamente non farò nomi ma dirò solo che riguarda un professore (allora molto giovane) che insegnava uno dei tantissimi esami complementari che parlavano di elettronica.

Si trattava di un esame che normalmente veniva fatto al terzo anno ma che io avevo inserito negli anni successivi unicamente perché, in precedenza, uno sciopero della segreteria, che faceva sì che gli esami venissero registrati in ritardo, rischiava di farmi perdere una piccola borsa di studio che avevo ottenuto dalla Banca Commerciale Italiana.

Nel 1973, oltre a sostenere svariati esami, avevo iniziato a lavorare sulla mia tesi che riguardava i codici a correzione d'errore e che aveva come relatore il Chiar.mo Prof. Ing. Leonardo Calandrino. Ai primi di novembre avevo finito di sistemare, secondo le indicazioni avute dal relatore, quella che pensavo potesse essere la prima parte della mia tesi.

Quando però presentai il tutto al mio relatore e gli dissi che ora volevo dedicarmi alla parte successiva mi disse Lei pensa che serva una parte successiva? A me sembra che quanto ha fatto sia sufficiente. Ne fui contentissimo e gli dissi che se lui riteneva che la tesi andasse bene così non avrei certo insistito per ampliarla ulteriormente anche perché, così facendo, avrei potuto laurearmi nella sessione di ottobre del quint'anno anziché in quella di febbraio come avevo preventivato.

Per di più, laureandomi in novembre, avrei potuto partecipare al concorso ad ufficiale per svolgere il servizio militare nei Servizi Tecnici anziché nella varie Armi. Questi concorsi venivano banditi solo ogni sei mesi e per parteciparvi era necessario essere già laureati all'atto della presentazione della domanda di ammissione al concorso stesso.

L'unico ostacolo rimanente era superare quest'esame complementare dato che per laurearsi era necessario consegnare in Segreteria il libretto, con tutti gli esami superati, almeno quindici giorni prima della sessione degli esami di Laurea che era fissata per il 28 novembre. Pensavo di avere tutto il tempo necessario e mi presentai fiducioso a quest'ultimo esame.

Il professore mi chiese varie cose a cui risposi correttamente e poi mi chiese di spiegargli un circuito che era riportato nel libro di testo. Gli spiegai come funzionava il circuito e quali erano le tensioni e le correnti presenti nei vari punti del circuito. Allora mi chiese perché in un punto c'erano certe tensioni e gli risposi Non mi ricordo cosa dica il libro ma si può facilmente ricavare dalle resistenze presenti in questi punti e gli feci i calcoli relativi.

Costui, senza dire nulla sui miei calcoli, mi chiese di nuovo cosa dicesse il libro al che gli risposi che non me lo ricordavo ma che lo avevo spiegato ugualmente per un altra strada. Allora disse Io voglio sapere come lo spiega il libro, se non lo sa si può accomodare e tornare un'altra volta.

Nel contempo aprì il libretto, che prima non aveva letto, dicendo Questo è il primo esame che dà del terz'anno? ma, quando vide il lungo elenco degli esami che avevo già superato e con dei bei voti, rimase alquanto interdetto ed ancora di più lo rimase quando gli spiegai la faccenda della laurea, del concorso ad ufficiale e della prossima scadenza.

Manifesto per la Laurea di Andrea CavallariAllora, rendendosi conto di avere alquanto esagerato, mi disse Nei prossimi giorni io sono in Spagna ma rientro la sera prima dell'ultimo giorno utile per lei, quindi lei venga qui quel giorno alle dieci e dopo avrà tutto il tempo di portare il libretto in Segreteria.
Uscii alquanto seccato ma la mia arrabbiatura aumentò a dismisura quando finalmente potei guardare qual era la spiegazione che dava il libro e che lui voleva assolutamente sapere. Ebbene il libro diceva com'è evidente e null'altro!

Il giorno prefissato andai a Bologna e per fortuna, per ogni evenienza, mi feci accompagnare da mio padre. Alle dieci il professore non era arrivato ma non preoccupai dato un certo ritardo era codificato dalla tradizione, alle dieci e mezza cominciai a preoccuparmi ed alle undici era preoccupatissimo. Parlammo con un bidello spiegando tutta la faccenda e costui ci disse che il professore in questione era arrivato tardi dalla Spagna la sera prima e sicuramente si era dimenticato della cosa e stava ancora dormendo.

Ci disse anche che però, se il professore si fosse svegliato, sarebbe sicuramente venuto in Istituto ed avrei potuto dare l'esame. Dato che il libretto andava assolutamente consegnato in Segreteria entro l'una e mezza, suggerimmo di telefonare al professore ricordandogli il suo impegno ma il gentile bidello ci spiegò che, se avessimo fatto così, molto probabilmente il professore si sarebbe seccato e mi avrebbe bocciato nuovamente. Era quindi necessario che il professore si svegliasse per conto suo.

Siamo quindi andati alla cabina del telefono che c'era nei giardinetti sotto Ingegneria e mio padre, che avendo fatto la guerra in Russia nel Genio radiotelegrafisti aveva la voce giusta e specialmente non conosciuta dal professore, lo ha chiamato a casa e quando, dopo molti squilli, gli ha risposto una voce assonnata ha detto seccamente Cassa di Risparmio? al che si è sentito rispondere Eh, ... oh! ... Come? ed il dialogo è così proseguito Cassa di Risparmio? Parlo con la Cassa di Risparmio? - No ... ha sbagliato numero - Mi scusi e poi mio padre chiuse la telefonata.

Tornammo ad Ingegneria e verso mezzogiorno, arrivò il professore in questione, così potei superare l'esame e dopo un gran corsa, portare in tempo il libretto in Segreteria che allora si trovava nella lontana via Zamboni riuscendo a laurearmi il il 28 novembre 1973.

Alcuni particolari del manifesto per la Laurea di Andrea Cavallari

Questo mio laurearmi quattro mesi prima di quello che avevo preventivato fece un certo scalpore fra i miei amici e fu debitamente ricordato nel manifesto satirico che allora gli amici facevano a chi si laureava e che a Ferrara veniva tradizionalmente posto sotto il portico del Teatro vicino all'angolo detto dei 4S (che significa studenti, sempre, senza, soldi).


[1] - In greco antico il significato principale di σταυρος è palo ed è per questo che i Testimoni di Geova sostengono che Gesù Cristo non sia stato crocifisso ma sia stato ucciso attaccato ad un palo. Noi invece portavamo loro le citazioni di brani dove σταυρος ha il significato di croce o anche di palizzata.   <<

[2] - Karl Culmann (1821 - 1881) studiò la geometria proiettiva e fu considerato il fondatore della statica grafica. Insegnò al Politecnico di Zurigo. Il Teorema di Culmann dice «Dato un sistema di forze, i lati corrispondenti di due poligoni funicolari si incontrano in punti giacenti su una medesima retta parallela alla congiungente i due poli dei due poligoni delle forze impiegati per la costruzione dei due poligoni funicolari».   <<


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